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Il Muro del Rimpianto – Community, la rivoluzione mancata della comedy

Ogni narrazione è un percorso, una strada che ci accompagna attraverso luoghi nuovi e inesplorati. Fruirne è come viaggiare: all’immobilità fisica contrapponiamo un moto immaginativo. Non c’è in fondo molta differenza tra chi viaggia e chi si mette di fronte a una storia: ci sarà chi ha più l’attitudine del viandante, chi del pellegrino, chi dell’esploratore, ma poco cambia. Ogni volta che ci troviamo dentro a una narrazione nuova, dunque, che sia letteraria, filmica o seriale, ci stiamo incamminando lungo un sentiero sconosciuto e non sappiamo cosa ci attenda. Seguendo il paragone, l’elemento che più si lega al nostro ruolo di spettatori è il bivio. O meglio, la potenzialità del bivio. In questo concetto risiede il nostro più grande potere di fruitori: noi siamo sì, in parte, passivi nell’esperire quella storia, ma siamo attivi nell‘immaginarne possibili deviazioni. Con le serie questo poi capita spesso: finisce un episodio sul più bello e noi ci chiediamo, almeno fino alla visione di quello successivo, quale possibile strada prenderà la storia, a quale opzione cederà la narrazione. Quando poi scopriamo cosa accade, ecco che una delle strade che ci si erano prospettate nella mente viene come sbarrata da un muro. Talvolta non ce ne rendiamo nemmeno conto, ma altre non riusciamo a togliercelo dalla testa: eccolo lì a privarci del diritto di intraprendere quella strada, di scoprire quel mondo, di dare quel senso alla storia. É in momenti come questo che si fa largo in noi il rimpianto per quello che sarebbe potuto essere e non sarà. Andiamo avanti – viandanti, pellegrini o esploratori – lungo la via di quel racconto, ma nella testa torna spesso un pensiero, un’immagine: il Muro del Rimpianto.

Community non è una comedy qualsiasi. È stata e rimane un progetto tanto ambizioso quanto innovativo, portatore di un nuovo modo di fare commedia in televisione e quasi capace di rivoluzionare completamente un genere televisivo che sembrava essersi già lasciato alle spalle il meglio della sua produzione. Eppure la parola chiave rimane proprio quel “quasi”: Community è stata quasi capace, è quasi riuscita, è quasi diventata una serie cult. Perché ciò che permane ripensando ai fasti delle prime stagioni della comedy NBC è la sensazione persistente di amaro in bocca, il rimpianto per ciò che la serie avrebbe potuto rappresentare se solo avesse mantenuto costante la sua carica sovversiva per tutta la sua corsa.

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La premessa delle prime stagioni di Community, che ha aperto la strada a molta della produzione seriale contemporanea di qualsiasi genere, è che non esiste ragione alcuna per cui una serie tv non possa impiegare gli stessi mezzi del cinema, portando sul piccolo schermo grandiose ricostruzioni dei più famosi tópoi cinematografici. La trama orizzontale di Community, seppur saldamente presente e inizialmente ben sviluppata, lascia tuttavia ampio spazio a episodi dell’impronta fortemente auto-conclusiva che ambiscono a distinguere la serie da ogni altro prodotto televisivo fino ad allora presente nel panorama seriale. Stiamo parlando di episodi come Modern Warfare, Epidemiology, A Fist Full of PaintballsFor a Few Paintballs More, Remedial Chaos Theory, Pillows and Blankets, App Development and Condiments (puntata in pieno stile Black Mirror di cui vi abbiamo parlato qui), che spaziando dal western alla fantascienza, fino al mockumentary e all’horror, dimostrano come Community sia riuscita più di ogni altra serie a vincere la scommessa dell’innovazione in televisione.

Le prime stagioni di Community ci hanno abituato a un mix esplosivo di comicità e azione, ricorrendo a un umorismo brillante basato molto più sull’azione e sull’interazione dei personaggi che non sulla loro evoluzione. L’alternarsi di episodi più classici, dalla normale ambientazione universitaria (se di normalità si può parlare quando ci si riferisce al Greendale Community College), con puntate a tema che strizzano l’occhio al grande schermo, diventa la cifra distintiva di Community, la ricetta vincente per il successo di una comedy davvero rivoluzionaria.

La magia di Community va però a esaurirsi sorprendentemente presto, quando la serie ha appena superato la metà della sua corsa.

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Infatti, dopo tre stagioni in continuo crescendo, qualcosa si spezza. Dan Harmon, creatore e showrunner della serie, viene licenziato e sostituito da David Guarascio e Moses Port, che non riescono né a mantenere l’impronta originale del loro predecessore né a imprimerne una propria, facendo sì che Community perda quella sua unicità che fino ad allora l’aveva consacrata come prodotto cult. La trama della serie incespica, vengono introdotte storie d’amore banali che hanno poco a che vedere con lo spirito originario della serie (ve li ricordate Troy e Britta? Se siete fortunati avete rimosso questa storyline inutile e imbarazzante), si ripetono gag che ormai iniziano a stancare, i personaggi appaiono sempre più spesso come l’ombra di loro stessi.

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Nelle sue ultime tre stagioni Community diventa un prodotto sempre più stanco e ripetitivo, nonostante non manchino occasionali episodi di altissimo livello che illudono lo spettatore che la serie possa ancora ritornare alla qualità rivoluzionaria che l’aveva contraddistinta al suo esordio. Il ritorno di Dan Harmon nei panni di showrunner all’inizio della quinta stagione non basta a ridare smalto a una serie che, già lontana da ciò che era, deve anche affrontare l’addio di quasi la metà del cast principale, con l’abbandono da parte di Chevy Chase (Pierce Hawthorne), Donald Glover (Troy Barnes) e Yvette Nicole Brown (Shirley Bennett).

Non solo i nuovi personaggi introdotti nelle ultime due stagioni per sostituirli non fanno breccia nel cuore degli spettatori, ma anche coloro che fino ad allora si erano dimostrati tra i più riusciti di Community perdono smalto, diventano poco più che macchiette stereotipate. Prendiamo per esempio Abed Nadir (Danny Pudi), beniamino dal pubblico fin dai primissimi episodi. Abed risulta forse il personaggio più interessante di Community e indiscutibilmente il più iconico, quello le cui citazioni vengono continuamente riprese dai fan, l’amabile fanatico di tutto quanto riguarda la cultura pop e centro focale del gruppo dei Sette di Greendale. Finché il gruppo è al completo, ossia fino alla fine della quarta stagione, il personaggio di Abed funziona, proprio in virtù del suo ruolo spesso dichiarato – ricordiamoci che il ragazzo ama strizzare l’occhio allo spettatore e fare accenno a una dimensione in qualche modo meta-televisiva di Community – di regista rispetto alle dinamiche complessive che coinvolgono gli altri protagonisti. Quando però a uno a uno i componenti del gruppo lasciano la serie, Abed perde il suo ruolo e di conseguenza anche buona parte di quella caratterizzazione che l’aveva reso il miglior personaggio della serie nelle sue prime stagioni.

Purtroppo Abed non è l’unico personaggio che sembra smarrirsi con il procedere della seria, ma la sua caduta è anzi anticipata da quella di Britta Perry (Gillian Jacobs), colei che inizialmente era stata introdotta come la protagonista femminile di Community. Il ridimensionamento del ruolo di Britta fin dalla seconda stagione non sarebbe di per sé negativo, anzi favorisce in parte l’emergere di quella coralità che è il punto di forza della migliore Community, ma diventa problematico nel momento in cui la via scelta per giustificarlo è la totale distruzione del personaggio. Da donna indipendente e sicura di sé, capace di tenere testa a chiunque, Britta si trasforma nella barzelletta del gruppo, imbranata e in alcuni momenti inspiegabilmente stupida.

Dunque giunti alla fine della quinta stagione di Community sembra non essere rimasto niente di quello che la comedy era in partenza, né l’irriverenza, né l’originalità, e nemmeno dei protagonisti sembra essere rimasto molto.

Quella di Community è una caduta che nemmeno il cambio di network – da NBC a Yahoo! Screen – riesce a frenare. La sesta e ultima stagione, distribuita dalla nuova piattaforma, è la peggiore della comedy, complice anche il nuovo format delle puntate che dai 20 minuti canonici vengono allungate fino a 30 minuti, durata poco compatibile con la comicità situazionale tipica di Community. Il flop è stato tale da decretare di fatto la fine di Yahoo! Screen, oltre che quella della serie.

Insomma, quella della comedy è stata una vera e propria parabola discendente che ha quasi sancito il fallimento di Community come progetto che vuole sovvertire le convenzioni della tv. Ancora una volta però c’è di mezzo un “quasi”, perché la verità è che la serie sta vivendo, complice la sua presenza in tempi recenti su Amazon Prime Video e Netflix, una nuova riscoperta da parte del pubblico, che sembra disposto a dare nuova fiducia a Community. Si sono fatte sempre più insistenti le voci circa la realizzazione di un film conclusivo – a cui si accenna più volte anche all’interno della serie stessa – che coinvolga il cast e il team di autori originali e che potrebbe decretare una volta per tutte il trionfo della serie.

In attesa e nella speranza mai sopita che il famigerato film possa una volta per tutte concludere l’esperienza di Community in modo da adombrare gli insuccessi delle ultime stagioni, non possiamo che rimpiangere cosa la serie sarebbe potuta diventare e quanto avrebbe potuto lasciare il segno nel mondo della televisione se non fosse rimasta intrappolata nel terrificante universo del “quasi”.

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