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Clickbait non è solo una costola di Black Mirror

Un terribile e inquietante crimine gettato in pasto ai media, il dolore di una famiglia posto sotto il costante e implacabile giudizio dei social network. La presenza costante di telecamere, cellulari, dirette streaming che riprendono ogni singolo istante di vita. Filmati che vorrebbero essere la rappresentazione della realtà nuda e cruda, ma che di fatto travisano la verità, mostrandone solo una minima parte. Clickbait è questo e molto altro.

Clickbait, la nuova serie originale Netflix, ha già conquistato il pubblico con il suo stile narrativo incalzante e ansiogeno.

Clickbait

Come nel caso di Black Mirror, la serie mostra quanto nella nostra vita siano imperanti i social network e i media, al punto da poter essere utilizzati per atroci delitti.

Pia Brewer ha un fratello maggiore, Nick, a cui è molto affezionata, ma con il quale ha un rapporto estremamente conflittuale. D’altronde, Pia è la classica ragazza ribelle, che adora gettarsi a capofitto in discussioni senza né capo, né coda e situazioni complicate. Al contrario, Nick è un padre di famiglia e marito esemplare, con due splendidi figli e una bellissima moglie, Sophie. Ha un lavoro stabile come fisioterapista e allenatore nella scuola dove insegna la moglie. Bello, educato, affascinante e benestante, l’uomo è adorato da tutti. Ma l’unica persona con cui si lascia realmente andare è proprio Pia, la sua sorellina.

Un giorno, dopo un litigio particolarmente acceso fra i due, la ragazza fa una scoperta sconvolgente. Incappa per caso in un video di YouTube, dove c’è proprio il fratello, malconcio e con chiari segni di maltrattamenti sul volto. L’uomo tiene in mano dei cartelli, nei quali confessa di abusare delle donne e di averne uccisa una. E non solo. Alla fine del video, in un ultimo cartello, c’è scritto che, ottenute le cinque milioni di visualizzazioni, verrà ucciso.

Clickbait

Inutile dire che il video diventa ben presto virale. Nel corso del primo episodio, è angosciante la costante presenza dei numeri delle visualizzazioni che continuano a salire in maniera esponenziale, lasciando tutti con il fiato sospeso. Sia i protagonisti, sia il pubblico. Questo grande coinvolgimento dello spettatore nelle vicende a cui sta assistendo è una tecnica narrativa che distingue anche e soprattutto Black Mirror. Un esempio su tutti, l’episodio 3×03 Shut Up and Dance, nel quale lo spettatore avverte un crescendo d’ansia man mano che il racconto procede. Il protagonista, minacciato da misteriosi hacker che vorrebbero rendere pubblici i suoi più sporchi segreti, è costretto a compiere cose indicibili. E noi osservatori possiamo sentire e provare sulla nostra pelle l’ansia del personaggio, che vede il tempo scorrere inesorabile, facendogli temere di non ultimare i compiti assegnati nel tempo prestabilito.

Allo stesso modo, l’ansia dei protagonisti di Clickbait si mescola a quella di noi, osservatori silenziosi di una vicenda drammatica.

Altro elemento in comune con Black Mirror: il tema della giustizia sociale. Le visualizzazioni al video di YouTube aumentano proprio perché Nick ha confessato dei delitti, fra cui un omicidio. Gli utenti, dunque, sono animati dal desiderio di fare giustizia e cliccano sul video nella speranza che l’uomo venga effettivamente ucciso. Il tribunale di internet, si sa, è spietato e Black Mirror è stata la prima serie a trattare l’argomento in maniera approfondita e originale.

Nell’episodio 3×06, Hated in the Nation, la detective Karine Parke viene chiamata a indagare su una serie di misteriosi omicidi che sta sconvolgendo la città. Le vittime sono tutte persone particolarmente odiate, per i motivi più disparati. Il punto è che questi personaggi si sono inimicati l’opinione pubblica con le loro affermazioni e ora ne pagano le conseguenze. Viene infatti scoperto un forum nel quale gli utenti votano con #DeathTo la celebrità che più odiano. Coloro che ricevono più hastag, vengono pertanto giustiziati da un ignoto hacker. Sono dunque gli utenti che si autonominano giustizieri e non si fanno scrupolo a decidere della vita o della morte di una persona, per quanto moralmente discutibile possa essere. Ma a quel punto la domanda sorge spontanea: una persona che con un semplice voto su internet decide della morte di un essere umano, è migliore?

Queste medesime questioni vengono poste in Clickbait, che però, a differenza del suo predecessore non è una serie antologica. In questo caso abbiamo infatti a che fare con una miniserie di sole otto puntate, nella quale viene portata alla ribalta una vicenda drammatica vissuta da diversi punti di vista. Quello della sorella, della moglie, del detective e di altre persone che ruotano intorno a Nick. Senza dubbio la scelta narrativa è molto interessante, così come la presenza costante dei social media, che contribuisce a sottolineare le atmosfere claustrofobiche e opprimenti. A volte si ha quasi l’impressione che la realtà venga schiacciata, compressa e deformata dalle videocamere, dai cellulari onnipresenti che registrano qualunque momento della nostra vita.

Sì, si parla della nostra vita. Perché se ci si pensa bene, Clickbait è una storia che potrebbe davvero rientrare nella nostra quotidianità.

Clickbait

Quante volte si sono verificati casi di post su Facebook o su Instagram nei quali si chiedeva di raggiungere un minimo di like o visualizzazioni? A volte per cause giuste e serie, altre solo per fare un po’ di umorismo e ironia. E quante sono state le volte che noi stessi ci siamo prestati a questi “giochi”, o esperimenti sociali, se così li vogliamo definire?

La risposta è semplice: centinaia di volte. Per non parlare di tutti i video che circolano in rete e che diventano immediatamente virali. E non è un caso che video particolarmente crudi o violenti siano fra quelli con il maggior numero di visualizzazioni. Che la nostra sia una società cinica è un dato di fatto. Così come è un dato di fatto che i social abbiano aumentato questo freddo approccio alla vita. D’altronde, lo schermo del computer o del cellulare crea una sorta di distanza dai fatti che osserviamo e con cui interagiamo. Come se a volte non ci rendessimo conto che ciò che stiamo guardando stia accadendo davvero. Allo stesso modo, gli utenti che in Clickbait, spinti da una improvvisa sete di giustizia, hanno aumentato il numero delle visualizzazioni al video, condannando un uomo a morte certa, hanno vissuto la cosa come un gioco. Per loro era un semplice contest come un altro. La vicenda drammatica della famiglia alla disperata ricerca dell’uomo scomparso, una storia da seguire con il fiato sospeso attraverso i media, un argomento di conversazione sui forum e via chat. Perché fino a che non accade a te, è tutto più semplice. I problemi cominciano nel momento in cui i social influiscono pesantemente e tragicamente con la tua vita. Anche la sorella di Nick, Pia, se la vicenda non avesse coinvolto qualcuno vicino a lei, non se ne sarebbe occupata troppo.

Anzi, la ragazza sembra essere una patita di social. Viene dunque da domandarci se lei non avrebbe fatto lo stesso degli utenti contro cui si scaglia (giustamente) con rabbia, se la questione non l’avesse direttamente coinvolta.

Insomma, sembrerebbe che Clickbait riprenda esattamente le stesse tematiche e riflessioni del suo predecessore Black Mirror.

Ma Clickbait, se si va oltre uno sguardo superficiale, risulta essere un prodotto a parte, piuttosto che una semplice costola di Black Mirror, fatta a sua immagine e somiglianza. Prima di tutto, la miniserie è molto meno cinica della sua “parente” più anziana. Nonostante l’imperante senso di ansia che attanaglia lo spettatore che guarda Black Mirror, lo sguardo con cui si osservano le vicende è più distaccato rispetto a quello che si potrebbe avere guardando Clickbait.

Complice anche il fatto che sia una serie antologica, in Black Mirror non si ha materialmente il tempo di affezionarsi ai personaggi. Inoltre, il punto di vista di chi racconta è sempre esterno. Se le puntate fossero dei racconti scritti, la narrazione sarebbe sempre in terza persona. In un ipotetico libro intitolato Clickbait, invece, ci sarebbero tanti capitoli in prima persona dove ogni singolo personaggio racconterebbe la sua versione dei fatti. In questo caso, dunque, l’immedesimazione è decisamente più semplice. Black Mirror, inoltre, risente fortemente della classica ironia e del black humor britannici. Non manca quasi mai una sorta di compiacimento, quando si assiste alle tragiche vicende dei personaggi. E in più di un’occasione ci si ritrova a pensare che il loro triste destino se lo siano un po’ meritato.

In Clickbait, invece, è molto più difficile mantenere uno sguardo distaccato. Ed è altrettanto difficile dare dei giudizi. I personaggi, nonostante siano approfonditi psicologicamente, sono molto complicati da inquadrare. Cosa che ci impedisce di avere una visione obiettiva dei fatti.

Altra grande differenza fra le due serie: nonostante le premesse, Clickbait non diverge molto da un semplice racconto poliziesco. La tecnologia c’è, è fondamentale ai fini della trama, ma non è tutto. Se in Black Mirror si sente moltissimo il clima distopico, in Clickbait non viene mostrata una tecnologia avanzata rispetto alla nostra. Il fulcro della “serie madre” è la presenza di un mondo così futuribile da averci levato tutta l’umanità. In Clickbait, invece, è proprio l’elemento umano che viene messo in risalto. Anche grazie alla scelta narrativa di mostrare i diversi punti di vista dei personaggi.

L’essenza di Black Mirror è la gelida tecnologia che determina ogni cosa, come una sorta di crudele deus ex machina. Non c’è nessun giallo da risolvere, nessuna matassa che fa sbrogliata per scoprire la verità. Essa è ben presente, visibile agli occhi di tutti. Il mondo controllato dai computer e dai dispositivi elettronici è spietato, privo di redenzione. E, ci accorgiamo con orrore, non è poi così diverso dalla nostra vita di tutti i giorni. Ci si chiede quanto, delle vicende narrate, sia davvero così assurdo e impossibile.

Clickbait, malgrado l’angosciante presenza dei media, ha altri pilastri portanti.

All’inizio, quando l’ansia per il video diventato virale coinvolge protagonisti e spettatore, sembrerebbe di sì. Le questioni sollevate dal primo episodio sono le stesse di Black Mirror. Ma poi ci si interessa maggiormente ai personaggi, alle motivazioni che li guidano. Certo, ci sono sempre elementi ridonanti come i giornalisti accampati fuori da casa Brewer, le dirette social che riprendono ogni sviluppo della vicenda, il tribunale di internet sempre pronto a giudicare. Ma il discorso non è nuovo. Anzi, argomenti simili sono stati trattati approfonditamente anche da parecchi film. The Social Network e Gone Girl di David Fincher, giusto per menzionarne due fra i più noti. La tecnologia, nel caso di Clickbait, è strumento dell’uomo, non protagonista.

Sembrerebbe quindi che Clickbait voglia mettere in primo piano la vicenda umana. Il racconto ha lo scopo di mostrare come, al di là dei social media, la realtà sia molto diversa da come appare. I segreti di una famiglia vengono portati alla ribalta, la patina di perfezione che avvolge la famiglia Brewer viene improvvisamente squarciata. La tragedia era già sepolta sotto la superficie, pronta a esplodere. Ma fino alla fine lo spettatore rimane con il dubbio so cosa sia reale e cosa no. Se in Black Mirror il peggiore volto dell’umanità viene talmente accentuato dall’onnipresente tecnologia da costituire l’elemento preponderante della serie, in Clickbait è una cornice. Una cornice ben studiata, che certo aumenta il valore dell’opera. Ma non ne è l’essenza, malgrado le apparenze.

La differenza sostanziale fra le due serie è proprio questa.

E dopo un’attenta analisi si può affermare con sicurezza che no, Clickbait non è “solo” una costola di Black Mirror. Si tratta di un prodotto a sé stante, con una sua personalità, molto diversa da quella della “madre”.

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