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Clark: come rendere spettacolare la nascita di un mito

Il biopic non passa mai di moda, trova sempre un pubblico a cui rivolgersi e da un punto di vista narrativo rappresenta uno dei metodi più efficienti, perché, per quanto non sia scontato e banale, adattare una storia reale a una rappresentazione è sicuramente più semplice che creare dal nulla un intero mondo. Poi ovviamente si sfocia nel discorso che ogni storia biografica non può dipendere solo da se stessa, ma necessita un romanzamento, una narrazione alternativa che arricchisca il piatto, oltre che un interprete in grado di ricoprire il ruolo del protagonista, che ha sempre una forte personalità ben distinta. E Bill Skarsgard è l’eccellente interprete di Clark Olofsson, un ladro passionale che, senza rendersene conto e senza volerlo, ha guidato una rivoluzione.

Bill e Clark sono nati per incontrarsi

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Clark (640×360)

L’interprete è quello giusto. Bill Skarsgard sembra nato per interpretare un personaggio simile, così espressivo e passionale, simbolo di ribellione e irriverenza. Il Clark Olofsson della serie è un improbabile mix tra Renato Vallanzasca e Alex DeLarge, perfettamente equilibrato tra assurda realtà e follia criminale. Skarsgard rende accuratamente l’inaffidabilità del personaggio, senza sbavature o eccessi, dando assoluta credibilità a un ruolo difficilissimo, perché per quanto già di per sé esagerato, lo stile narrativo della serie impone una continua crescita del personaggio, che mantiene fissa la sua straripante personalità ma che passa dall’essere un teppista sbandato di quartiere al nemico pubblico numero uno, celebrato e amato da stampa e pubblico a casa. La parabola di Clark è davvero perfetta dal punto di vista dei tempi scenici, nonostante il suo viaggio da una sponda all’altra dell’Europa e del Mediterraneo sia lungo e confusionario, ogni tappa è importante per l’affermazione, più che l’evoluzione, del Clark Olofsson criminale professionista, che aumenta il livello dei suoi affari in modo vertiginoso ma assolutamente naturale, passando da furti in villa finiti male e atti di vandalismo a traffici internazionali di droga e rapine alle banche più importanti della Svezia. Tutto questo con la stessa risata da maniaco provolone che lo contraddistingue, che si tratti di intortare ricchissime coppie madre/figlia o un capo di polizia totalmente svampito, se non anche il primo ministro svedese, vero antagonista di un personaggio totalmente apolitico, anarchico e senza alcun tipo di freno inibitore.

La sindrome di Stoccolma

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Clark (640×360)

La serie Clark viene presentata come la storia del tizio che ha “inventato” (già) la sindrome secondo la quale gli ostaggi si innamorano dei propri rapitori tanto da schierarsi dalla loro parte. Ma per Clark Olofsson è tutta una quesitone di assoluta naturalezza, perché la sua folle mente non architetta il tutto con l’obiettivo di mettersi dalla parte dei buoni, di essere considerato un eroe, bensì perché prima ancora dei furti e delle rapine, in Clark balena l’idea della fuga dalla realtà, di quella libertà e di quella spensieratezza che non ha mai potuto provare nella sua vita, perché costretto alla tristezza e all’abbandono, sensazioni imposte dalla condizione sociale della sua famiglia, finita sul lastrico e distrutta dai vizi di un padre prima violento e poi assente. E per quanto Clark sia il contrario di quell’uomo, per quanto sia un gentleman d’altri tempi in confronto a lui, oltre che un seduttore nato, si percepisce pienamente il filo conduttore che lega la sindrome di Stoccolma da lui “inventata” allo stesso rapporto con il suo vecchio, di cui era ostaggio, in un certo senso, e con cui non poteva di certo ribellarsi, pur senza ereditare violenza e spirito autodistruttivo. Clark in fin dei conti ama suo padre. Il suo sguardo glaciale e imprevedibile è segnato da una profonda ferita, raramente esplicita. La ferita di un bambino abbandonato il cui tempo si è fermato a quando le uniche preoccupazioni erano il gioco e la frenesia dell’infanzia, e che continua a vivere in un loop senza regole e apparentemente senza una fine. E come sua madre era protettiva con lui, prima di arrendersi alla follia, così egli lo è con i suoi ostaggi, li accudisce, si prende cura di loro e gli mostra un assaggio della sua vita, così frenetica e attraente, libera e spensierata.

clark
Clark (640×360)

E comunque al di là della matrice del tutto, è importante considerare l’intera storia e non soffermarsi al nocciolo della questione. L’episodio della rapina di piazza Norrmalm è l’esempio perfetto di quanto sia rocambolesca l’intera ascesa di Olofsson, che si ritrova lì per l’assurdo motivo di risolvere un caso di interesse nazionale che manteneva l’intero paese e oltre con gli occhi incollati allo schermo. Clark si ritrova lì completamente per caso, ignaro di quanto stia per succedergli, perché il suo obiettivo immediato è quello di portare a termine la rapina (cosa francamente impossibile), il che fa capire quanto fossero instabili i suoi pensieri. In realtà è il turning point perfetto che, sempre senza alcun merito sportivo, lo trasforma in un eroe nazionale, dando il via alla seconda parte della sua carriera criminale, quella della consapevolezza e dell’eccesso smodato. Ma come ogni super eroe o super cattivo Clark Olofsson ha il suo punto debole: le donne. Dall’edipico amore per sua madre in poi, ogni creatura femminile rappresenterà l’oggetto del suo desiderio, il grande motore delle sue azioni che, pur accompagnandolo nella sua ascesa e nei suoi viaggi folli, come nel più classico degli abusi, lo condurrà alla sua stessa fine.

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