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Californication non ha avuto il coraggio di fermarsi in tempo. Ha tre stagioni di troppo

Attenzione: evitate la lettura se non volete imbattervi in spoiler sul finale di Californication

Non si può avere tutto quello che desideriamo, vero Hank? Non c’è libertà senza sofferenza. Non c’è un nuovo inizio che non porti con sé le schegge di un passato vorticoso. Non c’è più New York, quella vera, dopo aver sentito le unghie degli angeli maledetti su un corpo dilaniato dall’ultima guerra. Persa, col sapore agrodolce di una vittoria giudiziaria per molti versi effimera. Eppure sufficiente per ripartire, ripassare dal via e affrontare una nuova vita. Stavolta senza Karen, persa tra le braccia di un alter ego di Lenny Kravitz.

Il finale della quarta stagione di Californication è stupendo. Disilluso e allo stesso tempo romantico, confuso tra i richiami di un passato che ormai non esiste più, un futuro in bianco e nero molto lontano dalla realtà ed un presente che unisce la finzione ad un ultimo viaggio. Il più importante, per un uomo sconfitto che sfreccia tra i sentieri di un tramonto al quale seguirà l’alba di una nuova era. Un finale stupendo, con un solo problema: Californication non si è concluso in quel momento. Non in quel modo. Ed è un peccato, perché sarebbe stato molto meglio così.

Californication

Sia chiaro: il finale della settima stagione, al quale speriamo vivamente non seguirà mai un revival che sarebbe insostenibile anche per i fan più accaniti, è ottimo e coerente con quel che abbiamo visto negli anni. Probabilmente il migliore possibile, sul piano narrativo. Hank e Karen, messi all’angolo dal passare degli anni in un loop senza soluzione, si sono ritrovati e si stringono dolcemente la mano, mostrando la forza di un amore che ha saputo superare le prove più difficili. Il ritorno a New York è provvisorio, ma sembra definitivo. Come il caos calmo che aleggia intorno ai due amanti, sospesi flebilmente tra l’odio più puro e l’amore più incondizionato.

L’iconica Porsche nera è “parcheggiata” nel bel mezzo di una strada isolata, ma sappiamo che starà là per sempre. L’eterno presente diventa futuro, esattamente come è stato Californication fin dall’inizio. Fin dal momento in cui abbiamo ascoltato le note di Rocket Man per la prima volta, con l’ineluttabile impossibilità di superare lo stallo e regalarsi un domani più sereno. Il loro finale, inevitabilmente, sarà sempre aperto: Karen ed Hank sono questo, prendere o lasciare. Una coppia che vive di dubbi e fiammate, più che di risposte. A parte una: l’amore resiste ed è fortissimo. Tanto da diventare una gabbia dorata che mette in secondo piano tutto il resto. Persino la felicità.

Californication

È tutto molto bello. Persino più bello di quel che avevamo visto nel finale della quarta stagione, ma sarebbe stato molto meglio chiudere in quel modo. Anche se con una conclusione più amara e malinconica, lontani dall’idea che Hank e Karen avrebbero potuto crederci una volta ancora. Perché non resta niente di un bel traguardo, se il percorso affrontato non è soddisfacente. E questo non lo è stato: le tre stagioni che hanno separato i due finali non sono state quasi mai all’altezza della vera Californication. Una dramedy pura, irriverente ed equilibratissima nei suoi squilibri, tanto forte da poter rimettere in discussione gli schemi classici della serialità contemporanea.

La serie che abbiamo visto in seguito non ha attirato abbastanza la nostra attenzione. Divertentissima e a tratti geniale, ma monodimensionale e ripetitiva. Di per sé comunque superiore alla maggior parte delle comedy che abbiamo visto negli ultimi anni, ma lontana parente della meraviglia che ci aveva incantato nelle prime quattro stagioni. I personaggi principali, imprevedibili e sfaccettati, sono diventati nel tempo macchiette di se stessi. Confinati in sketch spesso ridicoli che un tempo erano il complemento ideale e non l’ingrediente principale. Talvolta addirittura l’unico.

Californication

Un peccato, se si ripensa alle emozioni che ci avevano regalato alcuni tra i momenti più drammatici della prima era di Californication. Primo tra tutti il terzo season finale, nel quale Karen viene a conoscenza del rapporto sessuale di Hank con la giovanissima Mia. È solo uno dei tanti esempi possibili, perché la struttura della serie era davvero armonica, entusiasmante e solida. Ma si è sgretolata come neve al sole dopo aver mostrato le prime crepe, in nome di un brand fortissimo da spremere fino alla fine. E di un prodotto che ha sacrificato qualità e stile per vivere più a lungo. Sarebbe stato possibile fare di meglio? Forse sì.

La sensazione è che la chiusura dell’arco narrativo con Mia avesse esaurito quasi tutto il potenziale narrativo, ma un maggiore equilibrio tra la componente comica e drammatica, oltre ad un lavoro più attento sul rapporto tra Hank e la sua famiglia, non ci avrebbero fatto esprimere in questi termini. D’altronde, tuttavia, non sempre possiamo avere quel che desideriamo, quindi avremmo potuto metterci l’anima in pace con tre anni d’anticipo. Oppure, in alternativa, tenerci quel che abbiamo visto. Un’opera originale, brillante e sovversiva. Persa sulla strada della monotonia dopo non aver avuto il coraggio di fermarsi in tempo. Nel bel mezzo di un tramonto, sulle note degli Stones.

Antonio Casu 

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