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Broadchurch contro la cultura dello stupro

Prima la pedofilia e l’infanticidio, ora lo stupro: non si può dire che Chris Chibnall – creatore di Broadchurch e prossimo showrunner di Doctor Who – non sia attento ai temi sociali. Anzi, sembra avere l’apprezzabile capacità di raccontare le sue storie proprio partendo da questi temi e facendo ben trasparire la sua posizione.

E infatti Chibnall non è nuovo a queste prese di posizione: già in Law&Order UK ha affrontato temi importanti, tra cui proprio lo stupro, da cui muove la storyline della terza e – purtroppo! – ultima stagione di Broadchurch. Lo stupro, tra l’altro, di una donna matura, cosa di cui si parla davvero poco. Di solito, infatti, si tende a raccontare solo di quello subito da ragazze giovani o giovanissime, forse perché attirano di più la simpatia o le critiche del pubblico.

Perché come si può accusare una donna di mezza età di ‘essersela andata a cercare’? Soprattutto se la donna in questione non si può considerare ‘attraente’ secondo quelli che sono gli standard (spesso troppo alti) imposti dalla nostra società.

E infatti Trish Winterman è una donna assolutamente normale, una lavoratrice, una madre, una (ex) moglie. Una donna come tante: proprio per ribadire che non importa cosa tu faccia o come tu ti presenti, se sei una donna sei automaticamente a rischio.

Trish indossava un vestito normale, stava passando una serata normale, alla festa del compleanno di una sua amica, e mentre tornava a casa è stata violentata. Questa la presentazione della situazione. E né Hardy né Miller pensano – neppure per un momento! – che possa essersi inventata tutto, che non ha ‘detto di no’, che ‘se l’è cercata’, specie dopo che vengono ricostruite le ultime ore passate da Trish prima dello stupro.

Perché Trish non è una santa. Trish è una donna, Trish è una persona e come tale fa i suoi errori. Come andare a letto con il marito della sua amica la mattina della festa. Come bere un po’ troppo alla festa. Eppure, ancora una volta viene ribadito che non se l’è cercata.

Perché è la verità: nessuna donna se la cerca. Un no significa no. Persino quando quel no non viene pronunciato. Quante volte capita che una donna in quei momenti non sia del tutto cosciente? O sia troppo spaventata per dirlo, quel no? Questo dovrebbe significare che non sia una violenza? Per alcuni uomini (e pare anche per alcune donne) non lo è affatto. Anzi, fanno i gradassi nei gruppi facebook, così come al bar, incitando a commettere quello che – a tutti gli effetti – è un reato.

Perché no, noi donne non siamo fatte per il piacere degli uomini. E abbiamo il diritto di decidere a chi donare il nostro corpo. Come di cambiare idea e non volerlo più fare in quel momento, che sia per un motivo o per un altro.

Perché niente può giustificare uno stupro. Ed è questo il senso della terza stagione di Broadchurch. Non importa chi sia la vittima. Perché sì, oltre Trish ci sono state altre donne stuprate dallo stesso uomo: donne più giovani e attraenti, ma neanche per loro c’è giudizio. Sono tutte vittime.

Vittime, purtroppo, di una società che risente ancora troppo del retaggio maschilista, che considera la donna ‘un angelo del focolare’, che dovrebbe occuparsi della casa e dei figli, le uniche cose che danno senso alla sua esistenza. Ed è un po’ il senso di quel Fertility Day – campagna fortemente promossa e voluta dal Governo – che tanto ha fatto discutere solo pochi mesi fa.

Ma la donna è tanto altro. Una donna può essere moglie e madre, ma può essere anche professionalmente soddisfatta. Può essere femminile e vestirsi ‘provocante’ senza per questo doversi veder ridotta a mero oggetto sessuale. Può scegliere di non avere figli e non per questo sentirsi inferiore o egoista.

In parole povere, una donna può essere ciò che vuole. E non per questo deve essere punita. Ed è proprio questo il senso profondo della terza stagione di Broadchurch.

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