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Duccio Patanè, un Don Chisciotte sconfitto dai mulini a vento

Boris è e resterà per sempre nei nostri cuori. Ci ha fatto ridere, ma anche riflettere su cosa non va nel nostro Paese. Da fan irriducibili abbiamo amato ogni personaggio, ogni momento, anche il più assurdo, e abbiamo riso nonostante l’amara consapevolezza che non c’è proprio nulla da ridere.

Le battute, che sappiamo a memoria, ci vengono spontanee ogni volta che ci troviamo a vivere una situazione alla Boris. Una serie che è riuscita a radicarsi così profondamente nel nostro immaginario creando dei riferimenti solidi e duraturi. Un materiale iconico nel quale ci immedesimiamo perché ci ricorda moltissime situazioni affrontate nella realtà quotidiana.

Così Boris sfiora quasi la mitologia.

Ha dato vita a dei moderni tòpoi, motivi ricorrenti, e a dei personaggi archetipici che sono astrazione di comportamenti che ritroviamo in tutte le nostre cerchie di conoscenti. La serie non si limita a raffigurarli solo come pallide macchiette, come fanno spesso il cinema e la tv italiani. Tutti i personaggi sono definiti fino all’ultimo dettaglio, contraddizioni e debolezze incluse.

personaggi Boris serie tv

C’è lo stagista sottopagato, la stacanovista acida, il capo buono ma frustrato, l’arrivista, il collega prepotente, le gerarchie ingiuste e così via.

E poi c’è Duccio Patanè, un personaggio in Boris tanto amato quanto sfuggente e criptico. Al buon direttore della fotografia de Gli Occhi del Cuore abbiamo già dedicato un articolo con un identikit molto preciso. Un uomo di mezza età stanco, immerso in un’apatia senza tempo e senza aspirazioni. A differenza di tutti gli altri, soprattutto di René Ferretti, Patanè non cerca neanche più di cambiare le cose che non funzionano. Ha salutato i mulini a vento, ha fatto retromarcia col suo Ronzinante (il peschereccio) e si è voltato dall’altra parte.

Chi non capisce perché l’ha fatto molto probabilmente non vive in Italia, non ha mai fatto colloqui ambigui e non ha mai dovuto accettare compromessi inaccettabili. Nonostante il suo atteggiamento apatico e annoiato, comprendiamo fino in fondo le sue ragioni e finiamo per amarlo incondizionatamente (grazie anche all’interpretazione di Ninni Bruschetta).

E ridiamo alle sue battute… anche se non sono proprio delle battute.

Duccio e Itala

Abbiamo imparato a conoscerlo, come del resto lo conosce bene Ferretti che lo perdona nonostante sul set sia inutile, persino dannoso. E anche noi lo perdoniamo, certi che un tempo, sotto quell’aria stanca e stropicciata, c’era un’altra persona fatta di sogni, ambizioni e speranze oramai infrante. Ora Duccio è passato al lato oscuro della Forza, ma come in Darth Vader c’è ancora del buono in lui.

Quindi, a malincuore, dobbiamo andare oltre l’amore che proviamo per la serie, per i suoi sceneggiatori (quelli veri), per il cast e per Duccio stesso, il quale va visto per quello che è realmente: un personaggio brutto. Come direbbe Stanis:

Brutto, brutto, brutto. Muro.

Mentre René sfida imperterrito i mulini a vento, inciampando ogni giorno tra bisogno di lasciar perdere e desiderio di non mollare, Duccio è la rappresentazione più vivida di come si diventa quando si rimane immobili.

Così abbiamo due facce dello stesso Don Chisciotte.

Da una parte abbiamo la versione autentica, quella che nonostante tutto e ingoiando qualche rospo ancora ci prova. Dall’altra troviamo un uomo solo che ha perso la voglia di combattere, anzi, ostacola gli altri e li spinge ad arrendersi come ha fatto lui. Una persona sconfitta che rappresenta il sonno della ragione. Duccio è un Don Chisciotte piegato, che non lascia mai la sua Dulcinea (la polvere bianca) e se ne va in giro senza meta accompagnato dal suo fido scudiero, ahimè, Alfredo. E sulla falsa riga di Antoine Roquentin (La Nausea di Sartre) si trascina stanco e privo di emozioni tra le mura di cartongesso del set.

È cambiato lui oppure è stato il mondo a cambiarlo?

Duccio Patanè

Andare a pensare nella roulotte non è solo un chiodo fisso. Sembra quasi la sua ultima missione, cioè convertire al suo credo tutti quelli che incontra. Infatti appena stabilisce un contatto con qualcuno, lo invita nel suo camerino e gli offre un tiro. Una sirena che attira le persone e le induce a smettere di pensare, leggere e agire.

Duccio è folle, ma non come Don Chisciotte/René, il quale sfida Lopez e La Rete in nome dei suoi ideali. Non si tratta di quella follia affascinante, letteraria, insomma quella del genio, ma della follia di chi ha smarrito la direzione. Di chi ha scelto di uscire dai giochi e si è creato una realtà alternativa dove può dimenticare e deresponsabilizzarsi. Tanto la colpa non è la sua, è “loro”. Duccio esiste ogni volta che ci giriamo dall’altra parte quando vediamo omertà, regole infrante, quando qualcuno abusa del suo potere e fa raccomandazioni ingiuste. Lui è tutto ciò che permette alle cose di andare come non dovrebbero, come cantano Elio e Le Storie Tese, Duccio è complice dell’Italia dei:

Parcheggi abusivi. Applausi abusivi. Villette abusive. Appalti truccati. Trapianti truccati. Motorini truccati che scippano donne truccate. Papaveri e papi.

Certo, è facile detestare e dare la colpa al Dottor Cane e all’establishment che rappresenta.

Ed è facile odiare Lopez, l’intermediario che traghetta le persone buone dai cattivi. Ma è restando in silenzio e accettando di buon grado il loro gioco che anche noi diventiamo colpevoli. Duccio rappresenta la più bieca rassegnazione e l’accettazione di un mondo marcio e corrotto che non vale la pena cambiare.

Sembra di essere in Canto di Natale. Alessandro è lo Spirito del Natale Passato, una figura luminosa e piena di speranze. René è lo Spirito del Natale Presente: è in bilico, ma resta comunque positivo e allegro. Duccio invece è lo Spirito del Natale Futuro che non ha più nulla da dire. Infatti nel racconto di Dickens l’ultimo spirito rappresenta l’incarnazione stessa della morte.

Duccio è quindi un monito per tutti noi.

Dai più giovani fino a quelli più maturi, dobbiamo tutti tenerlo a mente ogni volta che pensiamo di non farcela, ogni volta che crediamo di averne avuto abbastanza e vorremmo mandare tutto all’aria. Con questo personaggio Boris ci sta dicendo: vedete cosa succede quando qualcuno perde le speranze e si arrende? Non solo smarriamo noi stessi, ma finiamo per ostacolare chi l’energia per cambiare le cose ce l’avrebbe ancora. E da qui nasce il contrasto tra la fotografia tanto ar chilo come la vogliono loro e quella politica di ‘sto fr***tto, cioè lo stagista schiavo che ancora lotta contro i mulini.

Duccio è il capolinea dell’esistenza.

Il cammino verso il lato oscuro inizia quando accettiamo i compromessi da stagista schiavo, come Alessandro, poi a mano a mano ci lasciamo corrompere fino a rassegnarci del tutto. E tra un estremo all’altro ci sono tutti i Biascica, le Itala, i Sergio e persino i Mariano che tra mille ostacoli si sforzano per portare a casa la giornata.

Boris Duccio Patanè

Mentre René è il vero Don Chisciotte della storia, che nonostante i calci in faccia ancora lotta per un ideale (una televisione diversa), Patanè i mulini a vento non li vede proprio. Lui è la rassegnazione, l’Italia più grottesca, quella consapevole del degrado che accetta senza dire niente.

Duccio non esiste in Boris per essere amato, ma per ricordarci che il giorno che diventeremo come lui saremo complici di quel tanto ar chilo che una volta odiavamo e che ci ha dato la motivazione per provare a cambiare le cose. Quando invece sono le cose a cambiare noi, come hanno cambiato Duccio, non ci resta nient’altro da fare che smarmellare tutto.

Ed è coffee break, Signori!

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