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BoJack Horseman poteva diventare molto più memorabile di così

Ho sempre avuto una forte idiosincrasia nei confronti dei cartoni animati. Non so perchè, non me lo sono mai chiesto, ma mia mamma mi ha confermato: è sempre stato così, era così anche da piccolo. Ero un bambino atipico in quel senso, poco attratto da ciò da cui sono attratti i bambini in genere. Da adulto, ovviamente, le cose non sono cambiate. Ed è per questo che ho fatto una fatica immane ad approcciarmi a BoJack Horseman. Sapevo che dovevo farlo, specialmente perchè avevo l’assoluto bisogno di capire cosa ci fosse dietro un fenomeno mediatico di così vasta portata. Non sapevo cosa aspettarmi esattamente, mi ero fatto un’idea certo, ma dovevo vedere poi se quell’idea corrispondesse effettivamente a realtà. E puntualmente no, non corrispondeva. Ne è uscito fuori uno scenario completamente rivoluzionato rispetto a quelle che erano le mie aspettative. Nel bene e nel male.

Mi avevano parlato di BoJack Horseman come una serie profonda e brillante. Ed è vero, lo è. Assolutamente. Ma mi aspettavo di più: partiamo da questo, dalle note dolenti. Me la aspettavo più profonda e più brillante. Specie nelle prime due stagioni, mi sono ritrovato a essere deluso più e più volte per come semplificasse troppo l’introspezione. Per come si preoccupasse troppo di essere a misura di ogni fascia di pubblico, piuttosto che di essere se stessa al 100% (come poi avvenuto nella splendida sesta e ultima stagione). Mancava di non detti, BoJack. Chiamava le cose con il loro nome, sempre, senza lasciarti lo spazio di provare a capirle da solo. I primi due capitoli di questa comunque geniale saga animata sono intrisi di alcuni tentativi di dare vera profondità alla storia (su tutte la 2×11, il primo vero ‘squillo’ della serie) contornati però da tanti, troppi momenti insignificanti. Troppe perdite di tempo. Ma mi sono detto che nonostante questo dovevo andare avanti. Dovevo capire, non poteva essere tutto là. E no, non era tutto là.

Dalla terza stagione in poi, infatti, BoJack Horseman ha cominciato lentamente a migliorare. A trovare un po’ più di continuità nell’approfondire davvero le cose, l’essere, l’esistenza. Il problema di dover spiegare troppo, sempre troppo i sentimenti e le elucubrazioni dei personaggi senza lasciare chissà quanto spazio all’intuizione e all’immaginazione rimaneva, ma si cominciava a intravedere un progressivo sottostrato di cambiamento. Nonostante ci fosse sempre e comunque la sensazione di star assistendo a un manuale dell’introspezione per spettatori che sono meno portati a sguazzarci dentro, la serie ha cominciato ad assumere una natura più ibrida, e a vergognarsi meno di essere se stessa.

C’era qualcosa, però, che continuava a non tornarmi. Nonostante i miglioramenti percepibili, continuavo a dirmi che c’era di più. Ci doveva essere di più. E quel di più ha cominciato a concretizzarsi a partire dalla puntata 3×11, quella della morte di Sarah Lynn. Il primo episodio di BoJack Horseman che mi ha letteralmente sconvolto. Sballottato la mia anima da una parte all’altra della stanza, senza soluzione di continuità, lasciandomi in preda a una sensazione straniante: come poteva una serie fino a quel momento godibile ma mai stravolgente, avermi dilaniato in un unico episodio, da un secondo all’altro, come quasi mai nessuna altra serie aveva fatto?

Bojack Horseman

Da quel momento in poi ho cominciato a capire cos’era davvero BoJack Horseman, e perchè mezzo mondo era impazzito per questa bizzarra serie in cui umani e animali antropomorfi convivono armonicamente. Perchè è vero, ci sono state un sacco di perdite di tempo e puntate inutili, ma ci sono stati anche alcuni episodi colorati da connotati di specialità che non avevo mai visto prima d’ora. Quello di Sarah Lynn era solo il primo, ne sarebbero seguiti altri: la 4×11, sulla vita di Beatrice Horseman. La 5×06 (probabilmente la migliore in assoluto) in cui BoJack fa uno straziante monologo sulla morte della madre, in una rottura della quarta parete durata oltre 20 minuti. E in generale la maggior parte della sesta stagione, con menzione speciale alle ultime due puntate.

In quelle puntate, si vede piena tutta la matrice trascendentale di BoJack Horseman. Perchè lì BoJack parla direttamente all’anima dello spettatore, senza passare dalla realtà. La trascende, appunto. Rendendo la realtà quasi superflua, e collocandosi su un piano di narrazione psicoemotiva che non esiste da nessun’altra parte.

Qualcosa di introvabile. Qualcosa di speciale.

E così, dopo averci fatto letteralmente viaggiare sulle montagne russe, tra puntate inutili e puntate talmente belle e profonde da esser destinate a rimanere scritte a caratteri cubitali, e in maniera indelebile, sul taccuino della nostra anima, BoJack Horseman è giunta al suo atto conclusivo. Un atto triste e delicato, ma con una punta di speranza finalmente visibile, vivida. Coi saluti di BoJack al suo vecchio mondo: a Todd, personaggio di cui in fondo non abbiamo mai capito niente. A Mr. Peanatbutter, superficiale e sempre uguale a se stesso, ma amico fedele e disinteressato di BoJack fino all’ultimo. A Princess Carolyn, con un ultimo ballo che sa di definitivo addio. E poi a lei. Diane.

BoJack Horseman

Due anime affini che non sono riuscite mai a incontrarsi in modo definitivo, che non hanno mai ‘impattato’ del tutto, nonostante sembrassero essercene tutti i presupposti. Un po’ per paura, un po’ perchè troppo indecisi e tormentati entrambi. Ma due anime che rimarranno legate in eterno, di certo. E che hanno dato vita senza dubbio alla più bella non storia d’amore di sempre, nelle serie tv.

BoJack e Diane possono cambiare ma saranno sempre loro, quando sono insieme. Meravigliosamente irrisolti, eternamente irrisolti. Sarebbero potuti essere di più. E sarebbe potuta essere di più anche BoJack Horseman, che non ha avuto il coraggio di osare. Di regalarci più momenti come questi, finendo col riempirci troppo spesso di comicità evitabile e introspezione imboccata col cucchiaino. Ed è un peccato colossale quando scopri che BoJack Horseman poteva essere questo, sempre.

Sarebbe potuta essere molto più memorabile di così. Lo è stata comunque, e mentre ci ha salutati sulle leggiadre note di Mr. Blue ce ne siamo resi conto una volta per tutte anche noi più scettici. La mia idiosincrasia per i cartoni animati è sempre là, destinata a non passare mai probabilmente. Ma se non avessi visto questa serie mi sarei fatto un torto colossale. Ora l’ho capito.

Perchè sono stato sballottato in un turbinio di sensazioni contrastanti a cavallo tra lo sdegno, la noia, la riflessione, qualche risata, l’introspezione più pura e alcuni colpi all’anima che non dimenticherò facilmente. E nessuna, ma proprio nessuna serie mi aveva mai fatto sentire così.

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