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Dopo una sesta stagione che aveva lasciato perplessi molti fan, Black Mirror (puoi guardarla qui) è finalmente tornata a fare ciò che sa fare meglio: parlare del futuro anticipando il presente. La settima stagione, disponibile su Netflix da aprile 2025, riporta in scena la visione tagliente e provocatoria di Charlie Brooker, che torna a indagare le derive sociali e tecnologiche con uno sguardo cinico, lucido e inquietantemente attuale. Lontano dai toni più grotteschi e autoconsapevoli della scorsa stagione, questo nuovo ciclo di episodi riporta in auge quello stile che ha reso la serie un fenomeno globale: racconti distopici, ma perfettamente plausibili, che fanno riflettere, inquietano e, spesso, colpiscono dritti allo stomaco.
Il vero colpo di scena, però, è che Black Mirror non ci sembra più un’ipotesi futuribile, ma uno specchio fedele della nostra quotidianità. I temi centrali — la mercificazione della privacy, la perdita di empatia, l’invadenza delle corporation tecnologiche — sono già sotto i nostri occhi, incarnati da realtà come l’intelligenza artificiale generativa, la sorveglianza sociale, e i social media spietati. I nuovi episodi ci ricordano che non servono viaggi nel tempo o tecnologie lontane anni luce: l’orrore è già qui. Ecco perché questa settima stagione è forse la più attuale e necessaria degli ultimi anni. Black Mirror è tornata, e lo ha fatto nel modo più disturbante possibile: raccontandoci ciò che fingiamo di non vedere.
L’inquietudine del riconoscibile: un futuro che è già arrivato

Quello che colpisce di questa nuova stagione è quanto poco ci sembri “fantascienza”. Gli episodi non ci parlano di futuri improbabili o di tecnologie alienanti e irrealizzabili. Parlano di noi, adesso. La vera forza di Black Mirror 7 è nella sua capacità di rendere l’inquietudine quotidiana la vera protagonista. È un disagio che nasce non dall’assurdità delle invenzioni, ma dalla loro plausibilità. Gente Comune ad esempio, mostra un sistema sanitario gestito da un’AI con approccio statistico alla vita umana. Qualcosa che, oggi, non è affatto lontano: basta pensare ai triage algoritmici già sperimentati in alcuni ospedali americani. Il brivido arriva quando ci rendiamo conto che non stiamo guardando un futuro distopico, ma un presente già in fase di test.
Lo stesso vale per Eulogy, dove una tecnologia consente a un uomo di rivivere i ricordi attraverso una fotografia. La settima stagione riesce così a sintetizzare l’angoscia diffusa che proviamo davanti a una tecnologia sempre più pervasiva ma sempre meno trasparente. Non c’è bisogno di immaginare un futuro dominato dalle macchine: le macchine sono già tra noi, e la loro influenza non è più una possibilità, ma una certezza (la Recensione della nuova attesissima stagione).
Il ritorno alle origini di Black Mirror: tecnologia e distopia quotidiana

La settima stagione di Black Mirror segna un ritorno alle origini, riprendendo temi e atmosfere che avevano reso la serie un punto di riferimento nella critica sociale e tecnologica. Episodi come Gente comune e Eulogy esplorano le implicazioni etiche di affidare la nostra salute e i nostri ricordi a entità commerciali, sollevando interrogativi sul valore della vita umana in un sistema dominato dal profitto. La narrazione si sviluppa come un thriller psicologico, con una tensione crescente che culmina in finali inquietanti. Le performance degli attori principali aggiungono profondità ai personaggi, rendendo le storie ancora più coinvolgenti. Hotel Reverie esplora il confine tra realtà e finzione, seguendo la storia di una star di Hollywood che accetta di reinterpretare un classico film romantico immergendo la propria coscienza nella storia grazie a una tecnologia basata sull’intelligenza artificiale.
Mentre esplora questo mondo virtuale, la protagonista interagisce con versioni digitali dei personaggi originali del film, aspettandosi un’esperienza di recitazione lineare. Tuttavia, le cose prendono una piega inaspettata quando si rende conto che questi personaggi generati dall’IA sono molto più complessi e coinvolgenti dal punto di vista emotivo di quanto avesse previsto. I confini tra realtà e finzione iniziano a sfumare, e la protagonista fatica a seguire il percorso prestabilito della sceneggiatura, iniziando a chiedersi se queste entità siano semplici programmi o qualcosa di più (Black Mirror: Netflix cancella dalla piattaforma una delle storie più iconiche della serie).
Il potere dell’empatia e la sua assenza algoritmica in Black Mirror 7

In Eulogy, uno degli episodi più intensi e struggenti della sesta stagione di Black Mirror, la memoria diventa campo di battaglia tra tecnologia e dolore umano, tra il bisogno di ricordare e quello di dimenticare. Il protagonista, viene spinto a partecipare alla rievocazione immersiva della sua ex, Carol, grazie a un kit tecnologico in grado di ricostruire ricordi tridimensionali a partire da vecchie foto. Ma il vero nodo dell’episodio non è tanto la tecnologia in sé, quanto ciò che essa fa emergere: una verità personale rimossa, manipolata, forse volutamente distorta. Questa riflessione si intreccia con la nostra attualità, in cui l’intelligenza artificiale e la realtà aumentata iniziano a proporre esperienze simili: chatbot che replicano persone scomparse, video deepfake usati per “riportare in vita” celebrità, ologrammi ai funerali (qui trovi i 9 migliori Easter egg alle stagioni precedenti).
Tutti strumenti che promettono di lenire il dolore del lutto, ma che ci costringono a chiederci: stiamo davvero onorando chi non c’è più o stiamo solo cercando conforto in una versione addomesticata del passato? Eulogy ci mostra come i ricordi possano diventare prigioni dorate, dove le persone ricostruiscono la narrazione a proprio vantaggio, fino a dimenticare ciò che di reale — e spesso scomodo — li aveva uniti. Oggi, in un’epoca in cui l’identità è sempre più “scrivibile” (sui social, nelle biografie, nei memoriali digitali), l’episodio ci ricorda che la verità emotiva è ben più complessa di un algoritmo. E che forse, a differenza delle macchine, gli esseri umani non hanno bisogno di ricordi perfetti, ma di accettare le imperfezioni del proprio vissuto. Solo così il dolore può trasformarsi in elaborazione, e non restare intrappolato in una replica artificiale del rimpianto.
Lo specchio di Black Mirror è più nitido che mai

La settima stagione di Black Mirror ci restituisce una serie che non vuole più stupire con effetti speciali, ma colpire con l’evidenza di ciò che già conosciamo. È una narrazione che inquieta proprio perché familiare, e ci ricorda che la distopia non è più un monito da temere, ma una traiettoria già in atto. Ogni episodio è un piccolo esperimento sociale, costruito per farci riflettere su quanto siamo disposti a sacrificare in nome della comodità, della velocità, della connessione (Cristin Milioti ha spiegato il finale «contorto e folle» del sequel di USS Callister).
Charlie Brooker e il suo team sembrano suggerirci che non serve immaginare scenari estremi: basta osservare con attenzione ciò che ci circonda. Ed è proprio questa la cifra stilistica di questa stagione: raccontare il presente con gli strumenti della finzione, per rendere evidente ciò che spesso preferiamo ignorare. In un mondo in cui scrolliamo all’infinito, Black Mirror ci invita a fermarci e guardare. E lo fa con la consapevolezza che la vera fantascienza, oggi, è solo una copia appena più inquietante della realtà.