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Si dice che l’attesa del piacere sia essa stessa il piacere. Oggi me la sento di dissentire. Quando il piacere sta nella possibilità di avere a disposizione la nuova stagione di una delle serie che più ami in assoluto, l’attesa non è altro che uno snervante supplizio. Ho dovuto attendere – abbiamo dovuto attendere, perché lo so che siamo in tanti – due anni per poter mandare in play la settima stagione di Black Mirror (qui la recensione). Un’attesa tutto sommato limitata, considerando che tra la quinta e la sesta stagione di anni ne erano passati quattro. Anche due anni comunque non sono pochi. Ma per fortuna, almeno per quanto mi riguarda, ne è valsa la pena.
I sei episodi della nuova stagione di Black Mirror sono stati distribuiti il 10 aprile su Netflix. Per quanto i fan della prima ora siano convinti che il tempo e l’acquisizione dei diritti da parte di Netflix ne abbiano limitato ispirazione e innovazione, pur essendoci stati negli anni episodi al di sotto delle aspettative credo che la settima stagione abbia fatto il suo dovere. Ognuno dei sei nuovi episodi ha avuto qualcosa da raccontare, e i continui easter egg che rimandano ad alcuni degli episodi e degli elementi più iconici delle stagioni passate – penso per dirne solo due alla super citata San Junipero e alla super cantata Anyone who knows what love is (will understand) – sono la realizzazione più alta di quel piacere tanto atteso di cui parlavo prima.
Realizzare una serie antologica dagli episodi così indipendenti ma allo stesso tempo così legati non deve essere stato semplice. Ma se dovessi scegliere l’episodio della nuova stagione che più di tutti mi ha lasciato qualcosa non esisterei a dire Hotel Reverie.
Hotel Reverie: la trama della 7×03 di Black Mirror

Prima di entrare nel vivo dell’analisi dell’episodio, non possiamo non passare da un accenno di trama. Che poi ve lo dico già: niente di questo articolo sarà spoiler free. Quindi, se non avete ancora visto l’episodio e non volete rovinarvi la sorpresa, mi tocca a malincuore dirvi di tornare qui in un altro momento, a cose fatte. Per chi invece non ha problemi con le anticipazioni, ecco a grandi linee gli input narrativi da cui parte la 7×03 di Black Mirror.
Brandy Friday è una celebre attrice hollywoodiana dell’epoca contemporanea, insoddisfatta dei ruoli che le vengono offerti. Dorothy Chambers è invece una celebre attrice degli anni Quaranta morta per overdose di barbiturici in giovane età. È anche il volto di Clara, protagonista del grande classico romantico Hotel Reverie. Quando un’azienda tech propone alla casa di produzione del film, ormai in crisi, di produrre un remake del proprio prodotto di punta utilizzando non un normale cast con delle normali riprese, ma una rielaborazione del cast e dei personaggi realizzata con l’intelligenza artificiale, è proprio Brandy a ottenere il ruolo da protagonista in origine maschile, il dottor Alex Palmer.
L’ingresso della coscienza di Brandy nel film ci apre però a una realtà nuova. Lungi dall’essere semplici rappresentazioni programmate per svolgere solo i loro ruoli in Hotel Reverie, i personaggi sono in qualche modo connessi alle vite degli attori che hanno prestato loro il volto. E nel momento in cui un guasto isola le due protagoniste dal resto del cast e dalla “troupe” nel mondo reale, il rapporto tra Brandy e Dorothy prende vita propria rispetto a quello di Alex e Clara.
Quante volte abbiamo sognato di conoscere dal vivo il nostro idolo?

Questo episodio di Black Mirror è per Brandy Friday la realizzazione di questo sogno. In un primo momento non si accorge nemmeno di avere questa possibilità: certo, ha davanti a sé Dorothy, può vederla e toccarla. Ma quella che crede di vedere e toccare è “semplicemente” Clara, il personaggio di un film. Qualcosa però a poco a poco cambia. Una moltitudine di errori, primo fra tutti il fatto di aver chiamato Clara con il nome della sua attrice, scatena una crescente consapevolezza di avere a che fare con molto più di una sorta di ologramma. Può dire battute diverse da quelle del suo personaggio, può pensare con la sua testa. Può provare emozioni diverse, vere, sue.
L’attrazione tra le due donne è palese, ma durante le riprese del remake di Hotel Reverie non riesce ad assumere i tratti di un sentimento vero e proprio, essendo le due comunque instradate dai ruoli che – più o meno consapevolmente – stanno interpretando. Con la disconnessione però le carte in tavola cambiano, e il personaggio di Clara si trasforma sempre di più nella persona che è, o per lo meno è stata, Dorothy. Anzi, nella persona che Dorothy non ha mai avuto la possibilità di essere liberamente.
Hoter Reverie ci regala la possibilità di vedere un’umanità e una vita crescenti.
Pienamente convinta di essere il suo personaggio, Clara/Dorothy comincia a prendere lentamente consapevolezza di essere altro da sé, di essere molto di più. E dopo un primo momento di negazione e smarrimento, decide di prendere in mano la sua vita nella sua realtà, per quanto fittizia. Si apre a emozioni tutte sue, creando un abbraccio sempre più forte tra l’interprete e il personaggio, tra quelle che sono a tutti gli effetti due facce della stessa entità. Si rende conto di aver vissuto da sempre in una menzogna e, lungi dal tirarsi indietro, realizza la sua verità. Decide di prendersi la libertà che da viva, nell’America degli anni Quaranta, non si era potuta permettere. Per la prima volta, paradossalmente sul set riprodotto e bloccato di un film in bianco e nero, è lei ad avere in mano le redini della sua esistenza.

Insieme a Dorothy c’è Brandy, una donna nera del ventunesimo secolo che interpreta un uomo bianco del ventesimo. Eppure l’esperienza sul set di Hotel Reverie si traduce anche per lei in una riscoperta di sé, in vesti così diverse da quelle che di solito sono le sue. Brandy prima si prende il ruolo che vuole, poi lo plasma a sua immagine e somiglianza. Sono la sua naturalezza, la sua schiettezza e la sua dirompente personalità a far innamorare Dorothy, non certamente le battute trite e ritrite del dottore che deve interpretare. Così abituata a dover essere Brandy Friday, attrice, è proprio sul set che riprende il suo ruolo più vero. Quello di Brandy, persona. E lì dentro si sente realizzata più di quanto non lo sia fuori.
Hotel Reverie è tra tutti gli episodi di Black Mirror quello che più mi ha ricordato il gioiello che è stato San Junipero.
Siamo ancora in una sorta di mondo parallelo in cui le persone riescono finalmente a esprimere la versione più profonda e pura di loro stesse. Vedere Brandy e Dorothy non può che ricordare ai fan di Black Mirror la storia tra Yorkie e Kelly. Stavolta però la speranza del per sempre felici e contenti è impensabile anche nel futuro. Hotel Reverie è un film, e come tale ha bisogno del suo finale. Fa riflettere però come questi due episodi, forse le due più alte rappresentazioni di umanità della serie, limitino questa umanità a mondi paralleli. Perché è così difficile essere noi stessi nel mondo in cui viviamo? Cosa è davvero reale e cosa no? Quello che i personaggi vivono lì è vero o è solo una sorta di sogno a occhi aperti che non ha alcun significato?
Come disse un vecchio saggio chiamato Albus Silente, “Certo che sta accadendo nella tua testa Harry, ma perché mai dovrebbe significare che non è reale?”. San Junipero lo è, Hotel Reverie lo è. E per quanto le persone attorno a Brandy non sembrino rendersene conto, ciò che ha passato con Dorothy è a tutti gli effetti parte della sua vita. E allora la domanda diventa un’altra: consapevoli del fatto che è una fase destinata a finire, ne vale davvero la pena? Assolutamente sì. Perché, almeno in questo, il mondo reale e quello artificiale non sono poi così diversi.