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La terza stagione di Better Call Saul si è da poco conclusa lasciandoci importanti spunti di riflessione su quanto visto fin qui. A fronte di un intreccio piuttosto semplice e assenza di esasperati momenti di tensione, la Serie ha restituito a un pubblico ormai fidelizzato uno spettacolo gradevolissimo e minuziosamente cesellato. L’attenta indagine psicologica che la coppia Gilligan – Gould ha fornito dei personaggi è stata alla base dell’intelaiatura dell’intero show e in particolare di questa terza stagione. Simbolismo, strizzate d’occhio a Breaking Bad e incredibile cura scenografica si sono accompagnati a temi esistenziali criticamente indagati.
Ripercorriamo allora queste tre stagioni di Better Call Saul analizzandole alla luce dei profondi interrogativi morali e umani che hanno reso grande lo show.
1) La morale del bene
In Better Call Saul emerge costantemente la morale del bene. Del ‘fare la cosa giusta’. Dell’agire seguendo la retta via. Ma a ben guardare, con quel relativismo tipicamente tardo-moderno, Vince Gilligan ci mostra che non esiste una legge morale unanimemente condivisa. Ogni personaggio se ne costruisce una personale, modulata alle esperienze soggettive e al proprio credo. Mike, nel fare i conti col suo senso di colpa per la morte del figlio, riversa ogni speranza e sentimento nei confronti della piccola nipotina, quella dolce eredità filiale. Jim affianca l’iniziale cura per il fratello Chuck all’amore per Kim. E su di lei profonde le sue attenzioni e cure, spesso a discapito di terzi. Da ultima la stessa Kim segue un’etica dell’integrità, dell’onestà e del rispetto per il prossimo. Ma anche lei, come vedremo nel punto 4) rimane invischiata in una morale del compromesso.








