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L’evoluzione di Saul Goodman, Mike, Kim e il destino finale di Howard Hamlin

Attenzione: evitate la lettura se non volete imbattervi in spoiler sul quinto episodio della sesta stagione di Better Call Saul

Quel che restava di Heisenberg giaceva a terra, in una desolata landa di disperazione. Dell’imperatore rimaneva il rimorso, il senso di colpa. Dell’onnipotenza nient’altro che una vana preghiera, destinata a perdersi nell’eco di una risata. Di Hank Schrader l’asettico eco di uno sparo. Poi il buio, l’inizio della fine. La discesa agli Inferi dell’imprevedibile villain, la dissoluzione del suo potere in un batter di ciglia. La gloria accarezzata, il cumulo di cenere. Sullo sfondo, i cinici versi di Ozymandias. Il profetico Shelley, nell’essenza di Breaking Bad. Nelle conseguenze delle proprie azioni, mai tanto tangibili. Un punto di non ritorno, la morte di Hank. Hank, il buono in un mondo che sbeffeggia ogni potenziale catalogazione. Hank, incapace di riconoscere negli occhi del cognato lo spettro che aveva dominato i suoi peggiori incubi. Hank, come Howard Hamlin. Per Jimmy McGill. E non solo lui.

Howard, l’avvocato. L’incarnazione più vivida del blu nella scala di catalogazione del simbolismo cromatico di Better Call Saul. Ancor più della sua allieva prediletta, l’enigmatica Kim. Più di chiunque altro, al pari di Chuck McGill. Un buono, pure lui. Tra i pochi, nonostante tutto. Imperfetto ed errante almeno quanto chi ha l’arroganza di giudicare dal piedistallo della sua presunta moralità, quanto chi usa la legge per un proprio tornaconto, col limite però di attrarre a sé scarsa empatia. Generoso, al punto da sembrare a tratti ingenuo. Equilibrato, non senza fatica. Lucido nel guardare negli occhi Jimmy, riconoscerne gli enormi limiti ma anche le altrettanto significative potenzialità. Nonostante ciò, miope nel sottovalutare quel che è già diventato. Lui che al posto di Chuck cerca, in qualche modo, di pulirsi la coscienza macchiata dal suo suicidio e fa di tutto per regalare una seconda occasione al suo odiato fratello. In cambio, un’eufemistica pernacchia. Perché tra loro ci sarà sempre un’infinita storia. Sempre la stessa storia. Ma forse no. Perché Howard, quello buono ma non scemo, s’è stancato. E allora no, non sarà più la solita storia. Stavolta è finita su un ring. E presto, con ogni probabilità, all’altro mondo.

Better Call Saul

Quando si parla di Better Call Saul, è sempre complesso elaborare delle teorie soddisfacenti che possano anticipare quello che potrebbe succedere. Perché ogni possibile tesi, suffragata da elementi potenzialmente probanti, pare bilanciarsi alla perfezione con tesi opposte grazie alla scrittura sopraffina della narrazione. Ma una certezza pare emergere dal quinto episodio della sesta stagione: Howard Hamlin, la maschera dellapparente rettitudine della legge, s’è incrinato. S’è nascosto dietro un’altra identità, ha svestito l’abito blu e ha indossato una canotta azzurra. È salito sul ring per abbassarsi al livello di Jimmy. Gioca al suo gioco, senza volerlo. Un gioco a cui non sa di non saper giocare, almeno fino a prova contraria. Pur di dargli una lezione, scende dal piedistallo e si snatura. O forse emerge per quel che è davvero, chi non sa d’essere. Tutto, in ogni caso, sembra dare la sensazione che per lui non finirà bene. Ed è sufficiente collegare pochi fili, essenziali e in bella vista, per capirlo. Basti pensare all’investigatore privato da lui assunto per entrare nei meandri della vita di Jimmy. Esplorare il suo lato oscuro, smascherare Saul Goodman. Incastrarlo, incastrandosi.

Howard ancora non lo sa, ma mettere un suo uomo sulle tracce di Jimmy è una pessima idea. Orribile, se si considera che degli angeli custodi seguono a loro volta Jimmy con Kim. E potrebbero presto portare dei microcosmi verso una rotta di collisione che unirebbe tutte le sottotrame di Better Call Saul. Gli angeli custodi rispondono infatti agli ordini di Mike Ehrmantraut, la figura oscura sfuggente però ben conosciuta da Howard dai tempi in cui il sicario lavorava nel parcheggio del tribunale. Howard capirà allora tante cose, forse tutte: perché uno come il mite Mike ha degli uomini che vegliano su ogni singolo movimento della coppia? Capirà presto che i conti non tornano, e in ogni caso ci saranno dei problemi. Perché l’involontaria connessione tra i mondi potrebbe portare Howard sulla strada di Mike. E quindi su quella di Fring. Perché no, anche su quella dei Salamanca. Su quella del cartello, in pratica. Insomma, sulla strada di una morte che a quel punto diverrebbe pressoché certa.

Better Call Saul

Nella migliore delle ipotesi, l’investigazione dell’uomo di Hamlin si fermerebbe alla figura di Mike. E sarebbe un’ipotesi pessima, orribile. Nel più fortunato dei casi, Ehrmantraut cercherebbe un’interazione con Kim (più che con Jimmy) per risolvere il problema nel modo più silenzioso possibile. E con ogni probabilità, verrebbe fuori che l’unico modo per tagliar fuori l’uomo dall’equazione sarebbe la sua morte. Sarebbe una prospettiva interessantissima anche per l’evoluzione di Mike: se fosse costretto a uccidere un uomo del tutto innocente, ancora più innocente di quanto potesse essere per esempio Werner Ziegler, l’evento segnerebbe una tappa decisiva nella definizione del personaggio che abbiamo poi conosciuto in Breaking Bad.

Difficile sbilanciarsi oltre in questo momento, ma è innegabile che la prematura dipartita del legale rappresenterebbe il modo ideale per chiudere la prima parte dell’ultima stagione di Better Call Saul, nel mid-season che vedremo tra due episodi, in cui assisteremo a un evento “doloroso”, secondo quando anticipato da Peter Gould. Uno spartiacque, nella storia di questa serie. E la morte di Howard centrerebbe perfettamente il concetto, perché avrebbe delle conseguenze devastanti: come reagirebbe Jimmy? Come reagirebbe Kim?

La risposta non è semplice, vista l’imprevedibilità spesso offerta dalle azioni dei due personaggi. Ma non esitiamo ad affermare che li porterebbe a dover affrontare i danni collaterali delle loro azioni sconsiderate, come mai hanno fatto finora. Ancor più di un terribile viaggio nel deserto (Bagman), ancor più dell’irruzione in casa di un inquietante boss del narcotraffico (Bad Choice Road), ancor più di tutto. Perché Jimmy e Kim si troverebbero ad affrontare uno scenario che ricorda da vicino quello che visse Walter White quando Hank morì ammazzato di fronte a lui: al di là di ogni possibile divergenza, dei dualismi, le invidie e i muri frapposti tra loro, entrambi non vorrebbero mai che Howard morisse per colpa loro. E non vorrebbero mai sobbarcarsi l’onere morale che l’evento comporterebbe. Si creerebbe un solco tra il piacere dell’inganno, il brivido perverso della truffa, il piacere di buttar giù un ipocrita pallone gonfiato e la sua morte truculenta. La conseguenza delle conseguenze, in alcun modo non messa in conto da loro.

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Vale per Kim, soggetto d’una deriva che mal si abbina comunque (per ora) alla volontà di uccidere come Howard, e par valere ancora di più per Jimmy. Jimmy, d’altronde, è sembrato esser sempre più riluttante di Kim nell’attuazione del piano machiavellico per fregare Howard, e in più di un’occasione ha mostrato non poca preoccupazione per le conseguenze che le azioni potrebbero avere sull’avvocato. L’ambiguità dei sentimenti provati sembra unirlo al vecchio socio del fratello, e non è necessario interpellare uno bravo per dedurre che Jimmy rifletta su Howard tanti dei sentimenti contrastanti che provava per Chuck. Cosa succederebbe allora se la vicenda si concludesse con la sua morte?

Potrebbe innescare l’effetto domino che porterebbe Jimmy ad abbracciare il Saul di Breaking Bad. Perché se da un lato già riconosciamo in lui tanti degli elementi che hanno poi caratterizzato l’avvocato nel corso della sua collaborazione con Walter White, dall’altra i due sono ancora sorprendentemente distanti. D’altronde, quattro lunghissimi anni separano l’attuale timeline principale di Better Call Saul (2004) da quella in cui si è avviata la serie madre (2008), e nel suo percorso par mancare ancora una pietra angolare che ne definisca con maggiore precisione la caratterizzazione con cui l’avevamo conosciuto. La morte di Howard potrebbe quindi diventare per certi versi l’Ozymandias di Saul Goodman, ma al contrario.

Non l’evento doloroso che lo trascina verso la rovina, come accaduto a Walter White con l’uccisione di Hank, ma quello doloroso che innesca un’imprevedibile serie di eventi e lo porterà a diventare il cinico Saul Goodman di Breaking Bad. La morte di Howard potrebbe infatti condizionare in modo decisivo i suoi legami col cartello, ma potrebbe anche rafforzare o distruggere una volta per tutte la sua straordinaria relazione con Kim, lei sì potenzialmente protagonista di un’associazione ancora più evidente con l’esperienza dell’ultimo Walter White. In un senso o nell’altro, è ovvio che destabilizzerebbe fatalmente il rapporto. Potrebbe distruggere quel che resta della sua anima, oppure risvegliare la luce che ancora alberga in quella dell’amata compagna. Se non il contrario, in un capovolgimento delle parti in cui si può prospettare tutto e il suo contrario.

Ognuna delle ipotesi che potremmo avanzare necessiterebbe di un approfondimento sfaccettato e non porterebbe a risposte certe, attualmente introvabili, ma è chiaro che un evento del genere, piuttosto probabile, segnerebbe a fondo l’esperienza di Saul Goodman e lo avvicinerebbe all’amorale avvocato di Breaking Bad, specie se portasse alla fine della storia d’amore che ancora lo tiene ancorato alla vita nella sua essenza più pura. Ma soprattutto rappresenterebbe quel che potrebbe rappresentare nel percorso di Mike: superare la morte di un uomo del tutto innocente, seppure non per mano sua, sarebbe la sua pietra angolare, il suo vero punto di non ritorno. Al pari di quanto l’abbia segnato la morte del fratello Chuck, se non persino di più. Perché in questo caso le responsabilità sarebbero più dirette, tangibile, nette e insindacabili.

In un mondo, quello che avevamo schematizzato in un approfondimento di pochi giorni fa, in cui il fuoco prenderà sempre il sopravvento sul ghiaccio, il ghiaccio rischierebbe così di plasmare il fuoco nel paradosso di uomo, Howard, che con la sua morte innescherebbe un effetto domino, decisivo, che disperderebbe Jimmy nell’icona di tutto quello contro cui si è sempre battuto. Paradossi, degni di una storia in cui le contorte interazioni della moralità troveranno sempre una perversa linearità. E in cui non può esistere il blu senza il giallo o l’arancione. Mai, anche quando si tratta del blu più vivido. D’improvviso tendente all’oscurità.

Antonio Casu

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