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Ryan Gosling, la cruda biografia: non è solo Ken

Il tuo lavoro è sentirlo, feel it, vivere il ruolo. Ryan Gosling quelle parole, ascoltate un tempo lontano, non se l’è mai dimenticate. Ha improntato la sua intera carriera all’immedesimazione emotiva. Ha trasformato ogni personaggio in qualcosa di suo, modellandolo su di sé, rendendolo vivo perché parte di lui. Come ha ammesso Greta Gerwig, regista di Barbie, “Non è mai un attore che guarda il personaggio dall’esterno, commentandolo e giudicandolo: recita prendendo su di sé tutte le potenziali umiliazioni del ruolo come fossero le sue“. Il tuo lavoro è sentirlo, feel it. E a Ryan Gosling viene estremamente facile “sentirlo” perché in ogni parte, in ogni protagonista trova davvero qualcosa di sé, qualcosa che affonda nella sua infanzia, nell’adolescenza, in un passato difficile che porta sempre sulle spalle come un dolce peso dal quale non può né vuole separarsi.

Perfino in Barbie Ryan si rivede in Ken, perché da piccolo è stato Ken e ha voluto essere Ken. Lo è stato perché convinto di non avere qualità, sicuro che la sua parte nella vita fosse nient’altro che un ruolo marginale, riempitivo di una storia più grande, semplice guardaspiaggia senza arte né parte. He’s just Ken. Ma Ken ha anche voluto esserlo: ha desiderato essere un ragazzo perfetto in un mondo perfetto, perché era l’unico modo per sfuggire a una realtà che non sembrava lasciargli speranze.

Ken
Ryan Gosling nella parte di Ken (640×360)

Ryan nasce il 12 novembre del 1980 in Ontario, Canada. Il padre è un venditore dell’industria cartiera, la madre, Donna, una segretaria. A causa del lavoro paterno Ryan viaggia molto, senza stabilità, in un continuo succedersi di luoghi, facce sconosciute e diffidenti, case diverse e precarietà. Ma non è questo il vero problema per lui e per la sorellina Mandi. Ha tredici anni quando le cose in famiglia iniziano a precipitare: il padre accusa sua moglie di infedeltà, i litigi si intensificano e degenerano nel mondo peggiore. Di fronte a Ryan il padre colpisce Donna, la assale.

Interviene la polizia, il caso finisce in tribunale e i due bambini sono affidati alla piena tutela materna.

Ma Thomas, il padre di Ryan, non accetterà mai questa decisione. Continua a tormentare la famiglia, a fare di tutto per vendicarsi di quello che sente come un tradimento da parte loro. In questo senso di paura e precarietà cresce Ryan Gosling. Cresce introverso, fragile e rabbuiato. Ha problemi di apprendimento e un disturbo da deficit di attenzione che lo condizionerà a lungo. Ma c’è di peggio. Ad aggravare le cose contribuisce anche la fede religiosa dei genitori. Sono entrambi mormoni, integralisti, duri e puri. Ryan vive in un ambiente retrogrado e conservatore, soffocato da stringenti obblighi religiosi che permeano ogni aspetto della sua vita. “Mia madre ora lo riconosce“, confessa Gosling. “Sono cresciuto in una famiglia di fanatici religiosi. Lei è diversa ora ma a quel tempo la religione controllava ogni aspetto delle nostre vite, cosa mangiare e cosa pensare“.

Ryan non può trovare conforto neanche nei film. Tutto ciò che non è inerente alla Bibbia gli è negato. Nonostante questo la televisione rappresenta il suo migliore amico. Non lega infatti con i compagni di classe e, anzi, è costantemente preso di mira, emarginato e guardato con fastidio per la sua stranezza. La situazione peggiora a un punto tale che la madre decide di ritirarlo dalla scuola e farlo continuare a studiare a casa. Questo però ne aumenta e peggiora l’isolamento: Ryan ha come unico conforto quel po’ di tv che gli è permesso guardare. È solo un Ken senza alcuna prospettiva, negato negli studi e senza relazioni sociali.

Ryan Gosling
Raquel Welch al Muppet Show (640×360)

Ma è proprio la tv a rappresentare la prima svolta della sua vita. “Ero un bambino solo, non andavo bene a scuola e la tv era il mio unico amico. Poi, un giorno, ho visto Raquel Welch al Muppet Show. È stata la mia prima cotta e ho pensato: ‘Come posso fare per incontrare questa donna? Beh -ho riflettuto- è in tv quindi per incontrarla devo andare in tv anch’io“. Ryan guarda con ammirazione languida la sua Barbie, quella Raquel Welch che gli pare irraggiungibile ma che ha deciso di provare a conquistare. Nel mondo dello spettacolo vede Barbieland, vede un mondo perfetto che però gli è irrimediabilmente estraneo, incapace com’è di compiere il viaggio che lo porti dal mondo reale a quello spazio di colori sgargianti, risate e donne bellissime.

Ryan Gosling ha un disperato bisogno di tirare fuori tutto quello che gli è successo: tutta la rabbia, l’angoscia, la paura, il senso di oppressione, la voglia di libertà e affetti che lo consuma.

Ma vive in uno spazio ristretto, dimenticato da tutti, escluso dal mondo, represso dall’asfittico fanatismo della famiglia. Vorrebbe urlare ma non può far altro che chiudersi sempre più in se stesso vagheggiando una realtà diversa che può a malapena immaginare. Ma quel primo seme, quel desiderio improvviso e ingenuo di un bambino che vuole fare spettacolo, è stato gettato. Ed è pronto a fiorire.

Il caso vuole che Ryan abbia uno zio, una persona apparentemente ordinaria con un lavoro ordinario. Nel tempo libero, però, fa altro. Ryan è curioso: una sera esce e si piazza davanti a una porta illuminata da variopinte luci al neon. L’insegna riporta un numero, il tre, accompagnato da punti interrogativi. È incerto rispetto alla possibilità di entrare ma si fa forza e varca l’uscio. D’improvviso viene travolto dal gaio schiamazzo dei clienti, dalle calde luci della sala, dall’atmosfera vivace e confusionaria: gli pare quasi di essere entrato nella sua amata tv, in quel mondo felice in cui tutti sono amici e c’è sempre il sole. Si guarda attorno, impaurito e affascinato, trascinato totalmente dal vortice di confusione e calore che promana dalla sala. Fissa il palco e lo vede: c’è un imitatore di Elvis. È magnetico, affascinante, domina la scena: tutti gli occhi sono su di lui. Quasi non lo riconosce, poi d’improvviso capisce: la parte più autentica di suo zio è quella, è sempre stata quella. Così pieno di vitalità, istrionico, disinibito. Questo è suo zio, non quello che svolge un lavoro ordinario. La vera recita è quella di ogni giorno che lo vede incasellato, inebetito in un lavoro anonimo.

Barbie
(640×360)

Ryan è conquistato. Inizia ad affiancare e a supportare lo zio nei suoi spettacoli e di colpo scopre un mondo fatto di artisti, una realtà fantastica in cui quello che di giorno è un semplice commesso di market si trasforma di notte nel più straordinario saltimbanco esprimendo così tutto se stesso. Ryan ha trovato la sua Barbieland ed è intenzionato a non uscirne mai più. Ora sa cosa vuole fare, ora sa che il suo presente e il suo futuro è lo spettacolo.

Vuole perseguire il suo sogno.

E non gli importa neanche di dover pagare un indennizzo al padre pur di avere la libertà di iniziare la sua carriera. Tutto pur di rimanere a Barbieland. Inizia a girovagare. Non è un problema, a quello è sempre stato abituato. Ricorda molto bene i traslochi e i lunghi viaggi inseguendo il grigio lavoro paterno. Ora, però, quelle tratte in treno, ore e ore tra paesaggi sempre diversi eppure tutti uguali, non sono più motivo di angoscia ma di speranza, anche se la paura c’è sempre. La paura del fallimento, di scoprire una volta a destinazione di essere solo un Ken.

I fantasmi del passato riaffiorano: il suo senso di inadeguatezza, il carattere introverso, le difficoltà a relazionarsi con l’altro. Qual è il mio talento?, si chiede dubbioso. Ma una cosa la sa con certezza: per scoprirlo deve mettersi in cammino. E allora va, salta da un’audizione all’altra, da una città all’altra finché non arriva al casting per l’All New Mickey Mouse Club. Sono oltre quindici mila i candidati. Attorno a lui ci sono bambini prodigio, talenti assoluti del canto, della danza, della recitazione. Ci sono Justin Timberlake, Christina Aguilera, Britney Spears. “Cosa ci faccio qui?“, pensa. “Non sono un bambino prodigio“. Questo dovettero pensare anche gli autori che gli danno sì una parte ma marginale, sullo sfondo. “Era come se mi avessero vestito da criceto e messo sullo sfondo della canzone di qualcun’altro“. He’s just Ken, mentre attorno a lui sbocciano come bellissimi fiori le Barbie Britney e Christina.

Ryan Gosling
Ryan Gosling e Justin Timberlake ai tempi dell’All New Mickey Mouse Club (640×360)

Ma l’esperienza lo aiuta molto. Impara a ballare, a cantare e recitare. Non è affatto male. Anche questo ricordo farà suo e lo sentirà, lo rivivrà con dolore ed emozione in La La Land. La recitazione lo aiuta a scoprire sempre qualcosa di nuovo su di sé, a conoscersi meglio rivelando i suoi talenti nascosti. La recitazione lo aiuta a fuggire dall’asfittico ambiente di casa sua: fa amicizia, si lega molto in particolare a Justin Timberlake con cui vive per sei mesi in Florida. La madre di Justin diventa perfino il suo tutore legale nel momento in cui Donna è costretta a tornare in Canada per lavoro lasciando lì il piccolo Ryan.

A diciassette anni abbandona gli studi.

Si rituffa nelle audizioni finché non si trova davanti alla parte di un ragazzo ebreo di New York che si trasforma in un neo-nazista. Non ha la benché minima esperienza né di New York,né dell’ebraismo, né del nazismo. E per questo è perfetto per il ruolo. Gli dirà poi Nick Cassavetes a proposito della parte nel film The Notebook: “Il fatto che tu non abbia caratteristiche da protagonista è ciò che ti rende perfetto per essere il mio protagonista“. Ryan Gosling non è il belloccio carismatico stereotipato, nei suoi occhi, nelle sue movenze c’è sempre quell’incertezza di un bimbo introverso dal passato complicato. E questo lo rende unico e originalissimo.

Ryan in The Believer si trova così a interpretare un giovane ebreo neonazista di cui non sa assolutamente nulla o almeno non sa ancora di saperlo benissimo. “Ryan aveva capito qualcosa sulla religione. Il mormonismo è molto esigente, ti isola nello stesso modo in cui fa il giudaismo e lui aveva tutto questo“, dirà il regista Herny Bean. “Il fatto che non fossi giusto per la parte era esattamente il motivo per cui il regista pensò fossi perfetto“, chiarisce Ryan Gosling. È tutto qui: era una tabula rasa, pronto per essere riempito, pronto per sentire, feel it, le vicende di quel bambino ebreo sulla propria pelle. Tutto ciò che Ryan non aveva mai potuto sperimentare a causa dei rigidi divieti materni lo prova ora attraverso la recitazione, diventando quel ragazzo, vivendo quell’esperienza. E nella recitazione, in questa immedesimazione, Ryan Gosling ritrova se stesso: il passato difficile, il suo rapporto con la religione, la rabbia che a lungo non ha potuto sfogare. La recitazione per lui non è finzione ma vita autentica.

Drive
Ryan Gosling in Drive (640×360)

Da quel momento Ryan Gosling diventa protagonista della sua vita: non è più solo Ken, è davvero la primadonna di uno show tutto suo. Ma non può fermarsi: “Cercavo di trovare un luogo in cui esprimere tutte le cose che mi erano successe“. Quel luogo, Ryan ormai lo sa, è il cinema. Ogni film rappresenta un ritorno alla casa materna, un ritorno al dolore e all’angoscia, un modo per rielaborare ogni esperienza e superarla. Aveva rivissuto l’infanzia nel mormonismo in The Believer, ora affronta il suo bisogno di affetti in Drive. Accetta immediatamente la parte del protagonista e passa intere giornate in macchina accanto al regista Nicolas Winding Refn per sentire su pelle quelle emozioni. E le emozioni sono così autentiche, riaffiorano così vive dalla sua adolescenza che il regista modella il personaggio e l’intero film su Ryan, correggendo il tiro.

Drive è un successo clamoroso, un gioiellino da cineteca.

Ryan è sempre più protagonista anche quando lo chiamano per un film in cui crede molto: deve interpretare un pilota di moto che dal lavoro di stuntman passa presto alle rapine. Ancora non sa bene perché ma sente veramente suo quel film. Centrale nella storia è il rapporto d’amore con una donna: una relazione altalenante in cui alla fine l’amore non ha la meglio e l’esito è inevitabilmente tragico. In quella storia rivede la sua infanzia, l’infrangersi dell’amore tra i genitori, il suo dolore e la paura. Ma c’è dell’altro: c’è anche un desiderio che viaggia segreto per tutta la trama. Un desiderio d’amore, di famiglia, che Ryan non ha mai messo da parte anche se ancora non si è reso ben conto di quanto insegua. Se ne accorge, però, d’improvviso nello sguardo della sua Romina, la co-protagonista di Come un tuono. Nella dolcezza, nella bellezza di quell’attrice di cui si innamora perdutamente.

La relazione con Eva Mendes inizia in questo film per non finire più, per arricchirsi anzi di due figlie e di un senso di famiglia che Ryan ha aspettato anni prima di vedere ricomposto. L’intera vita di Ryan Gosling passa dal mondo dello spettacolo, la cosa che sente più autentica per sé: è grazie a questo mondo che impara a recitare, danzare e cantare. Grazie ai film butta tutto fuori, rielabora il suo passato difficile. E sempre grazie al cinema trova quella felicità familiare tanto agognata. È finalmente riuscito a passare dall’altro lato dello schermo, a raggiungere la sua Barbieland dei sogni e ora tutti lo sanno: Ryan Gosling non è solo Ken. Ma tanto di più.

Emanuele Di Eugenio