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Quando nessun posto ti sembra casa, nemmeno Atlanta

Attenzione: evita la lettura se non vuoi imbatterti in spoiler di Atlanta

Atlanta è una serie del 2016 che, grazie alla penna del suo autore Donald Glover, riesce nell’intento di stupire fin dalla prima stagione e proprio per questo ottiene da subito un grande successo e viene portata avanti fino ad una quarta stagione (uscita di recente su Disney plus ). Donald Glover, non solo scrittore e autore della Serie ma anche principale interprete, ci trasporta nella città di Atlanta e ci racconta le sue luci e le sue ombre attraverso i suoi cittadini alle prese con le difficoltà della vita adulta. Atlanta, infatti, delinea perfettamente il percorso tortuoso che ogni trentenne deve fare per trovare il suo posto nel mondo e lo fa ribellandosi alle regole, normalizzando ogni tipo di stereotipo e raccontando la vita per come è davvero: difficile e complessa. Atlanta non mente ai suoi spettatori, li mette piuttosto di fronte alla verità nuda e cruda e affronta molti temi, come il razzismo endemico statunitense, in modo talmente diretto e senza drammatizzazioni da apparire disarmante. Donald Glover sa di cosa parla e si vede, i suoi protagonisti sono alla ricerca di una verità che non sanno neanche loro di rincorrere. E nel loro viaggio continuo si imbattono in mille ostacoli che, in maniera anche piuttosto impacciata, cercano di affrontare. Così il successo è legato solo ed esclusivamente alla fama sul web, la felicità è legata solo ed esclusivamente al successo, in un circolo vizioso che non permette loro di vivere davvero. Il viaggio di Earn e dei suoi complici è un viaggio spirituale (almeno inizialmente, poi diventerà anche fisico) che ha come sfondo sempre e solo Atlanta, cuore pulsante di ogni passione. Non per caso, Donald Glover è nato e cresciuto ad Atlanta e tutto l’odio e l’amore che ha nei confronti della sua città si legge benissimo nella Serie.

Atlanta è la casa di Earn, Alfred (conosciuto come Paper Boi), Darius e Vanessa, personaggi principali di Atlanta. Ognuno col proprio modo e ognuno con i propri problemi, i protagonisti vivono la città in maniera quasi ossessiva rendendola il vero e proprio centro nevralgico del loro mondo. Se Paper Boi deve tutto ad Atlanta, unica città che sembra riconoscere il suo valore nel campo musicale, Darius sembra essere inglobato nella città, sembra essere in simbiosi con essa in maniera quasi dolce. Dall’altra parte Vanessa, che inizialmente può sembrare fuori posto, ama e odia la sua città che non le permette di dare un futuro solido a sua figlia ma che le offre anche una prospettiva di futuro. Per arrivare ad Earn, che ha con Atlanta un rapporto complesso, basato sul rispetto reciproco e allo stesso tempo sull’odio reciproco. Earn torna a casa dopo aver sognato troppo in grande e torna in una casa che non è più quella che ricordava, che sputa in faccia ai suoi abitanti e che non ha problemi a metterli in difficoltà. Ma Earn si reinventa (o almeno ci prova) e con lui si reinventa anche Atlanta, costretta a modernizzarsi e a stare al passo coi tempi.

Insomma, Atlanta non è solo una città, è uno stile di vita che può aiutarti come può risucchiarti nel suo oblio. In fondo l’Atlanta di Glover non è solo una, sono molteplici facce di una stessa città che convergono tutte verso un unico scenario. C’è L’Atlanta dei nostri protagonisti, una città piccola capace di inglobare ogni difficoltà e renderli quasi indifferenti C’è l’Atlanta più ampia, che si delinea attraverso la comunità, una comunità piuttosto inerme che deve sottostare a regole più grandi. E poi c’è Atlanta, la vera Atlanta, quella che fa da specchio all’intero paese, agli interi Stati Uniti d’America, quella che racchiude in sé tutte le contraddizioni dello Stato. Che poi è l’Atlanta cui Glover tiene di più, o almeno quello su cui vuole maggiormente porre l’accento. Atlanta è casa ma è anche America e questa è l’America (per citare il titolo di una canzone proprio di Donald Glover, This is America): un paese che sembra fare delle contraddizioni un credo e in cui ogni giorno varie minoranze, tra cui gli afroamericani, devono affrontare queste contraddizioni.

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Insomma, Atlanta vive di vita propria e come ogni altro essere vivente porta avanti un arco narrativo ciclico, che torna spesso sui suoi passi e che non dimentica il passato. Earn e gli altri, infatti, tornano sempre a casa anche se casa non è più il posto ideale in cui tornare. Sembra che Atlanta li continui ad attirare a sé come fosse una madre possessiva ed ossessiva. Eppure loro tornano: se nella terza stagione provano a distaccarsi dalle grinfie di una città che sembra non rappresentarli più, nella quarta stagione siamo di nuovo ad Atlanta, dove tutto è iniziato e dove sembra naturale che tutto finisca. Nel primo episodio della quarta stagione Darius (che come sempre dispensa pillole di saggezza che spesso non vengono colte), rivolgendosi ad Alfred, si interroga sul passato di quest’ultimo e chiede: “Non ti piace LA, non ti piace New York…insomma dove vuoi andare? “. Come a dire, non puoi andare da nessun’altra parte. Per quanto ci provi Al non riesce a stare bene in nessuna altra città che non sia Atlanta. E come lui, anche i suoi amici e compari e concittadini. Darius lo sa e forse è l’unico che coglie la verità per quella che è. Earn e Van, per esempio, sono intrappolati (letteralmente proprio nel primo episodio, in un centro commerciale surreale) nella loro condizione e per quanto possano provare a volerla cambiare (Earn vuole andare in California) sembra impossibile distaccarsi dalla città che conoscono così bene.

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Così Atlanta diventa una trappola, Earn ha dolori al petto al solo pensiero di trasferirsi in California e apparentemente il motivo è l’eventuale lontananza dalla figlia e da Van. Eppure, sotto c’è molto di più, Earn sembra non riuscire ad esistere senza la sua città, senza quella comunità che, anche se non lo ammetterebbe mai, lo ha reso ciò che è e che gli ha permesso di arrivare fino a Princeton per poi ricominciare da capo esattamente da dove era partito. Atlanta è la casa di Earn e dei suoi compari e allo stesso tempo assume le sembianze di un mostro carnivoro che non sembra avere pietà dei suoi stessi cittadini. Come se Atlanta fosse un enorme bosco di fiori di loto (e il richiamo al bosco non è nemmeno tanto sottinteso considerando che Al si perde proprio in un bosco nella terza stagione) in cui chiunque incappi rischia di rimanervi bloccato. Come una delle più grandi leggende greche, Earn sembra perdere coscienza di se stesso più volte e sembra perdersi nei meandri di Atlanta. La città, piena di fiori di loto, inganna i suoi cittadini e fa perdere loro la cognizione del tempo e dello spazio finché, dopo mille ostacoli, non riescono a divincolarsi dalle grinfie di Atlanta. La differenza con la leggenda greca è sola una: mentre la Dea intrappolata nel bosco di fiori di loto riesce, dopo mille anni, a scappare, Earn e Alfred e Van e Darius non scapperanno mai da Atlanta e, che sia in modo fisico o che sia in modo spirituale, lasceranno sempre il loro segno nella città e la città su di loro.