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American Horror Story 6 è stata la più spaventosa delle stagioni

American Horror Story è un’antologia delle più profonde paure dell’americano medio, e con My Roanoke Nightmare è stato raggiunto l’apice del realismo. Vediamo perché.

L’America è infestata da spettri e show televisivi

Se ripensiamo alla sesta stagione di American Horror Story, la prima parola che dovrebbe venirci in mente è dualità: dualità tra il mondo colorato ma ingannevole dello spettacolo e quello oscuro di Roanoke; tra i cambiamenti continui cui sono soggetti gli esseri umani e la decadenza sempre uguale degli spettri; tra la vita e la morte, e la vita che diventa morte in un attimo.

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Beh, credo che gli autori di AHS abbiano voluto inserire nello show questi accostamenti di contrari per dipingere la situazione nella quale l’America (e non solo) sembra trovarsi da un po’ di tempo: da una parte la falsità della tv, che sforna decine di programmi chiamati reality per dare al pubblico l’illusione di una verità che non esiste, essendo sapientemente costruita a tavolino. La falsità dell’universo luccicante di Hollywood, che spesso riduce l’arte alla sequela di pettegolezzi sui personaggi famosi spacciata dalle riviste di gossip… La falsità dei volti di mille bellissime conduttrici televisive, che con il bagliore dei loro sorrisi cercano di sopperire alla tristezza del mondo al di là dello schermo.

E dall’altra i fantasmi che infestano il passato, il presente e già il futuro di questo Paese (ma, ancora una volta, è un discorso che potrebbe valere in generale); in American Horror Story, gli spiriti dei coloni che seguono la Macellaia nel suo desiderio di mantenere intatta la supremazia sulla terra rappresentano gli echi di certi nazionalismi duri a morire e di recente risvegliati dalle condizioni di crisi che il mondo sta attraversando: “la mia casa, le mie origini, il mio governo“, ripete Thomasyn mentre trucida gli stranieri ignari che hanno invaso le foreste di Roanoke.

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Non ricorda di essere arrivata anche lei, molti anni prima, su una nave proveniente da un continente diverso. Non ricorda di essersi stanziata sul primo pezzo di terra fertile trovato, di averla lavorata con fatica sino a renderla sua e di aver fatto tutto ciò senza chiedere il permesso di nessuno.

Non lo rammenta, ma è convinta che Roanoke le appartenga e non debba essere toccata da altri all’infuori di lei e del piccolo popolo che le obbedisce.

Quando era ancora in vita, Thomasyn accettò il patto con Scathach perché non sopportava di aver perso il comando della colonia e di essere stata cacciata: la trasformazione in spettro l’ha resa immortale, però l’ha anche condannata a reiterare per sempre gli stessi gesti, le stesse parole, le stesse situazioni… Se avesse scelto diversamente non sarebbe diventata la padrona di Roanoke, ma avrebbe forse riposato in pace anziché essere la custode di una terra che è solo una valle di lacrime.

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Nella sesta stagione di American Horror Story gli showrunner hanno quindi voluto dirci che il mondo è infestato da molti fantasmi, tra cui anche quello letale della superficialità;

perché nella storia nessuno si preoccupa davvero di ciò che accade a Roanoke, del fatto che in quel luogo siano morte decine di persone: ciò che importa è lo spettacolo, che deve continuare persino a costo di calpestare la verità, la giustizia, il rispetto.

E la cosa assurda è che a convincersi di questo non sono soltanto Sidney e gli altri produttori televisivi, né soltanto gli attori che in fondo hanno recitato in situazioni fittizie, che non li riguardavano personalmente: no, i primi a credere che far andare avanti lo show sia essenziale sono i protagonisti reali delle disgrazie di Roanoke, coloro che le hanno sperimentate sulla propria pelle. L’attrattiva della televisione è talmente forte che Shelby, Matt e Lee finiscono per ritenere accettabile e addirittura vantaggiosa l’idea di tornare in un posto dove hanno sopportato l’inferno, e dal quale sono riusciti a fuggire per pura fortuna.  american

Così, anche nel nostro mondo spesso il quieto vivere di ciò che vuoto ma carino (come appunto i reality) viene preferito alla crudezza dei problemi seri, i quali vengono lasciati in un angolo a crescere finché non diventano impossibili da controllare.

Già ventisei anni fa Stefano Benni, nel suo prodigioso “Baol“, aveva previsto che qualcosa del genere sarebbe accaduto:

È una tranquilla notte di Regime. Le guerre sono tutte lontane. Oggi ci sono stati soltanto sette omicidi, tre per sbaglio di persona.
L’inquinamento atmosferico è nei limiti della norma. C’è biossido per tutti. Invece non c’è felicità per tutti. Ognuno la porta via all’altro. Così dice un predicatore all’angolo della strada, uno dall’aria mite di quelli che poi si ammazzano insieme a duecento discepoli. Ce n’è parecchi in città. Dai difensori dei diritti dei piccioni alla Liga artica. Siamo una democrazia. Ogni tanto, sul marciapiede, si inciampa in qualcuno con le mani legate dietro la schiena. Forse la polizia lo ha dimenticato la notte prima. Ho guardato in alto, oltre le insegne illuminate e, obliqua su un grattacielo, c’era la luna.
Le ho detto: Cosa ci fa una ragazza come te in un posto come questo?

Perciò credetemi quando dico che la sesta stagione di American Horror Story è più spaventosa di tutte quelle che l’hanno preceduta, e forse anche di quelle che verranno.

Un saluto agli amici di American Horror Story Italia !

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