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Essere Ultraman è una maledizione, ma anche guardarlo non scherza 

Ultraman è una serie di fantascienza del 1966 di origine giapponese, ricreata in versione anime su Netflix con una nuova veste, moderna e senza ombra di dubbio più accattivante dell’originale. Questa serie animata, prodotta del colosso dello streaming, è il primo anime interamente realizzato con la tecnica di animazione denominata 3DCG, e diretto da Kenji Kamiyama e Shinji Aramaki.

Sono passati ormai diversi anni dagli avvenimenti dall’invasione degli alieni sulla Terra e dalla loro sconfitta per mano di Ultraman. Il figlio di Shin Hayata, Shinjiro, sembra possedere alcune strane abilità e forze. Proprio attraverso questi poteri, oltre alla scoperta di essere il figlio di Ultraman, passo dopo passo, prenderà sempre più consapevolezza nei confronti della complessa eredità paterna che è chiamato a portare sulle sue spalle.

Prima facciamo un passo indietro, però. Chi è Ultraman? Ultraman è un componente della “Guarnigione degli Ultra”, la quale è in missione per scortare il mostro Bemular al Cimitero spaziale. A seguito della collisione con una navicella della Pattuglia scientifica, un’organizzazione terrestre addetta alla sicurezza del pianeta, la creatura riesce a liberarsi e a rifugiarsi sul nostro pianeta, uccidendo il pilota terrestre Hayata. A questo punto, il soldato Ultra, per salvarlo, decide di fondersi con lui riportandolo in vita. Da questo momento, Hayata può trasformarsi in Ultraman per proteggere la terra dalla minaccia aliena.

Quando la storia ricomincia ormai sono passati molti anni dagli eventi delle prime avventure di Ultraman, ormai divenute un lontano ricordo. Tuttavia, una nuova minaccia incombe e proprio per questo diventa necessario l’intervento di un nuovo eroe per scongiurarla: il giovane Shinjiro. Questi scopre infatti di avere poteri speciali, di poter adottare l’identità dell’eroe, rispolverando una leggenda mai dimenticata, al fine di mettere in salvo la Terra dalla malvagità di un nuovo nemico alieno.

Fosse così facile non ci sarebbe assolutamente alcun dramma e tutto si risolverebbe con un duello più o meno disastroso, e invece il giovane protagonista – come spesso accade nelle storie giapponesi – è un liceale che scopre di possedere questa forza in maniera del tutto fortuita e riceve inaspettatamente la proposta di diventare un guerriero con una tale responsabilità sulle proprie spalle. Tutto accade senza che Shinjiro possa effettivamente prendersi del tempo per capire se questo è il destino a cui vuole contribuire con le sue azioni e decisioni o contro cui volersi rivoltare e ostinatamente opporre.

È così che essere Ultraman diventa una maledizione, non solo perché comporta un tale impegno e sforzo ma anche perché compromette la vita di un normale adolescente impedendogli di compiere scelte che ogni ragazzo della sua età vorrebbe compiere, come ad esempio avvicinarsi ad una ragazza da cui si è incredibilmente attratti. Shinjiro è chiamato a mantenere il segreto della sua identità, non ha la possibilità di sfruttare questa carta a suo favore, anzi, accetta di essere anche giudicato dai suoi stessi amici pur di tenere fede a questo patto di segretezza.

Nonostante la sua personalità forte e la missione da portare a termine sia ben chiara, il giovane è pur sempre condizionato dalle responsabilità di una vita che non ha scelto ma che gli è capitata, per il solo fatto di essere il figlio di Hayata. Perciò dal punto di vista narrativo, Ultraman riesce a collegarsi molto bene a quello che negli anni ’60 ci aveva lasciato in sospeso.

C’è quella classica retorica secondo cui “da grandi poteri derivano grandi responsabilità” ed è questo che sconvolge più di tutto la vita di Shinjiro, il quale non rifiuta categoricamente di poter essere destinato ad una tale missione ma fatica a trovare un compromesso con tutto ciò che precede la scoperta di questa sconvolgente verità. La responsabilità non è solo nei confronti di chi è chiamato a salvare ma riguarda anche le persone a cui vuole bene, le quali inevitabilmente sono esposte a rischi e pericoli solo per il fatto di conoscerlo e fare parte della sua vita.

Ciò che è evidente soprattutto a chi conosce la serie madre è la rivisitazione grafica dei personaggi, sia buoni che cattivi. La scelta del design di ciascun elemento, dall’armatura alle scene dei combattimento, strizzano l’occhio alle moderne tecnologie che sono in grado di rendere la visione molto più coinvolgente e accattivante. Non mancano però i punti di debolezza, i quali purtroppo non possono essere in alcun modo nascosti o taciuti.

Ultraman

La sceneggiatura è a tratti frettolosa e penalizza la coerenza della storia e la sua profondità psicologica e i relativi intrecci narrativi. Spesso, l’impressione è quella di una mancanza di fine o causa a cui poter fare riferimento per seguire le varie tappe del racconto. Inoltre, chi ha letto il manga e ne ha memoria, concorderà proprio sull’impoverimento della complessità contenuta nello stesso.

La pecca più grande è un’animazione digitale che non riesce a rendere fluido il ritmo dei combattimenti. I movimenti dei personaggi sono penalizzati da questa meccanicità quasi robotica che non ci permette di prendere sul serio fino in fondo l’esperimento di rinnovamento dell’anime, e al contrario toglie valore proprio alle scene d’azione che dovrebbero rappresentare i momenti cardine della narrazione.

Per concludere, sicuramente possiamo riconoscere comunemente lo sforzo fatto per fare di Ultraman un buon sequel e adattamento e siamo certi che per alcuni versi lo sia davvero. Peccato per i punti a sfavore che ne minano completamente la credibilità e il piacere della sua visione, rendendolo uno dei tanti esperimenti poco riusciti di Netflix.

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