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Il 7 dicembre del 2008 su Raiuno andò in onda la prima puntata di Tutti Pazzi per Amore, una serie ideata da Ivan Cotroneo, scritta insieme a Monica Rametta (Io sono Mia e Laura Pausini – Piacere di conoscerti) e Stefano Bises (Gomorra – La serie e The New Pope) e diretta da Riccardo Milani (Auguri Professore e Come un gatto in tangenziale) e Laura Muscardin.


Quella che apparentemente sembrava essere la solita serie italiana in realtà si rivelò qualcosa di unico nel panorama televisivo nostrano dell’epoca (non certo come queste che vi segnaliamo). E lo è ancora oggi, dopo così tanti anni. Certo, gli argomenti portati in scena non brillavano di originalità. Amore, tradimento, amicizia, famiglia, persino la morte: niente di nuovo sotto il sole. La serie scritta da Ivan Cotroneo, però, riuscì a sorprendere positivamente sia il pubblico che la critica grazie a una scrittura nuova, moderna, sperimentale. Persino azzardata per l’epoca. Tutti Pazzi per Amore fu un successo strepitoso, difficilmente eguagliabile nel genere della commedia romantica. Ancora oggi, a distanza di oltre quindici anni, chi l’ha vista la ricorda con grande piacere, un po’ di nostalgia e, perché no, un pizzico di rammarico. Perché la serie con protagonista Emilio Solfrizzi avrebbe potuto essere presa come esempio per un’altra televisione possibile [semicit.].

Tutti pazzi per amore
Nicole Murgia, Marina Rocco, Antonia Liskova ed Emilio Solfrizzi, 640×360

Tutti Pazzi per Amore, oggi reperibile su RaiPlay e su Netflix, ha fatto sognare il pubblico italiano in un periodo in cui i sogni assomigliavano piuttosto a incubi a causa della crisi economico-finanziaria del 2008. La certezza delle due puntate in onda la domenica sera è stata come un’ancora di salvezza nell’incertezza di un mondo che sembrava sull’orlo della baratro. Così, le avventure di Paolo (Emilio Solfrizzi) e Laura (nella prima stagione Stefania Rocca, nella seconda e terza Antonia Liskova), due vicini di casa diametralmente opposti che non fanno altro che battibeccare tra loro senza essersi mai visti in faccia, sono state capaci di catturare l’attenzione di milioni di telespettatori, emozionando fortemente il pubblico italiano. I sentimenti scatenati durante le puntate hanno raggiunto una quantità e una qualità come raramente è accaduto per una fiction televisiva. Paolo e Laura, insieme ai loro amici e parenti, sono stati protagonisti di un qualcosa di rivoluzionario e per nulla divisivo. Anzi, nella perfetta tradizione italiana, Tutti Pazzi per Amore è riuscita a coniugare il genere romantico con quello famigliare. Un po’ Cesaroni, un po’ Medico in famiglia, attraverso una serie di innovazioni come l’inserimento del musical o il trattare argomenti nuovi come le famiglie allargate, quelle disfunzionali, l’omosessualità e la sieropositività, la serie è riuscita a sbaragliare la concorrenza creandosi un posto nella storia della televisione italiana.

Si accennava qualche riga più in su ai sentimenti scatenati, alla loro quantità e alla loro qualità. Ecco, Tutti Pazzi per Amore è soprattutto qualità delle emozioni.

Sembra uno slogan alla René Ferretti, vero? Eppure è così. Gli autori, infatti, attraverso una scrittura accurata e scrupolosa sono riusciti a dare ai personaggi e alla storia una intensità tale da risultare travolgente. Non importa la situazione, non importa chi sia in scena, le emozioni che vengono fuori sono avvolgenti, vanno a segno nel profondo. Che si rida o che si pianga, la potenza con la quale si vivono è sbalorditiva. Si viene travolti dall’energia presente sullo schermo e ci si sente parte integrante della scena. Come se i canti e i balli, i pianti e le disperazioni fossero nostri e non soltanto dei personaggi presenti sullo schermo.
Proprio grazie a questa magica immedesimazione ci si rende conto di quanto siano ben scritti non soltanto i protagonisti ma anche le parti minori. Personaggi normali, persino banali volendo esser pignoli, un padre vedovo, una madre abbandonata. Adolescenti sempre pronti a ribattere e a infilarsi nei guai. Figli, nipoti, nonni, alle prese con la quotidianità, non certo eroi né tanto meno supereroi. Eppure così ben definiti, così curiosamente verosimili tanto da desiderare di averli come amici, da innamorarsene persino.
Ciascuno di essi attraverso la sua storia porta un sostanziale contributo alla narrazione generale arricchendola notevolmente. Così le varie sottotrame si intrecciano e concorrono nel rendere tutta la serie qualcosa di unico, coinvolgente e decisamente indimenticabile.

Tutti pazzi per amore
Carlotta Natoli e Neri Marcoré, 640×360

D’altro canto che si puntasse a qualcosa di unico lo si intuisce dal ricchissimo cast, composto da habitué delle serie ma anche volti cinematografici, capace di regalare in certi frangenti performance di alto livello. Oltre ai già citati Emilio Solfrizzi e Stefania Rocca, ci sono, per citarne alcuni altri, anche Neri Marcorè, Francesca Inaudi, Carlotta Natoli, Piera degli Espositi (e il compianto Pietro Taricone). Ai quali si sono aggiunti in corso d’opera anche Alessio Boni, Chiara Francini, Ricky Memphis e persino Dario Argento (nei panni di un fenomenale presidente di commissione alla maturità).
Ma l’azzardo più grande (e forse quello vincente) è stato certamente inserire la componente musical, decisamente poco utilizzata nelle fiction italiane. Una componente che non risulta ridicola (il rischio c’era, eccome) e non appesantisce mai la trama. Anzi, attraverso la musica, grazie a una scelta ben fatta di successi della canzone italiana degli ultimi decenni, vengono evidenziati i momenti più forti, più importanti. In ogni episodio gli attori si mettono in gioco ballando e cantando (come nella scena del meraviglioso matrimonio indiano), divertendosi e facendo divertire il pubblico il quale, colto di sorpresa la prima volta, attenderà poi, in ogni puntata, il momento melodico pop.

Tutti Pazzi per Amore gioca con il suo pubblico stuzzicandolo continuamente con uno stile sempre sopra le righe eppure mai fastidioso. Soprattutto, mai fuori luogo. Anche nei momenti più drammatici. La quantità di personaggi, rappresentanti di ben tre generazioni diverse (bambini, adulti e anziani) che si confrontano e si scontrano ma non si lasciano mai definitivamente, permette allo spettatore di scegliere la coppia (o il singolo) nella quale meglio identificarsi perché ce n’è davvero per tutti i gusti. C’è solo l’imbarazzo della scelta. Al tempo stesso, la scelta non è vincolante perché alla lunga ci si affeziona a tutti: dalla bambina che ha un amico immaginario e vede il suo maestro di scuola come il principe azzurro (vestito letteralmente così), alle vecchie zie che preparano quantità di cibo industriale, peccato che non piaccia a nessuno.
La stranezza, l’eccesso, dietro l’angolo c’è davvero di tutto. È come se agli autori fosse stata data carta bianca, fosse stato detto loro: sorprendeteci. Ma è fatto con tanta cura e tanta attenzione da risultare del tutto naturale. Le continue citazioni cinematografiche, i sogni a occhi aperti dei vari protagonisti, la presenza del sovrannaturale si intrecciano a meraviglia con i problemi reali, veri, che appartengono a tutti quanti. In questo modo, così ben bilanciato anche grazie a una regia e un montaggio capaci di sottolineare dettagli minimi, non c’è mai il rischio di cadere nel ridicolo e nemmeno nel didascalico dramma.

Tutti pazzi per amore
Pietro Taricone, Sonia Bergamasco, Alessio Boni, Piera degli Espositi, 640×360

Disarmante nella sua bellezza, nei suoi colori sgargianti e nei suoi suoni palpitanti, nella sua sincera naïveté nella sua leggerezza, mai sinonimo di mediocrità, questa serie non scade mai nel buonismo, come si potrebbe pensare. Certo, è un inno all’amore e un manifesto dei buoni sentimenti. E il lieto fine, fin dalle prime immagini, è facilmente prevedibile. Lungo il percorso, però, quella che potrebbe sembrare una eccessiva dose fiabesca viene diluita da eventi importanti, persino tragici, che fanno maturare i personaggi portandoli a una crescita personale e una maggiore consapevolezza.
Tutti Pazzi per Amore dimostra, così, di avere una logica e una intelligenza dietro, anche piuttosto fini. Perché sa dove parte e sa dove vuole arrivare, camminando su una strada che, come la vita, è costantemente tortuosa. Geniale e spassosa, per esempio, è l’idea di affiancare al giovane Emanuele, intelligente e bravissimo a scuola ma pessimo nei rapporti con le ragazze, interpretato da bravissimo Brenno Placido, la figura di Giacomo Leopardi interpretata da Valerio Aprea (uno dei tre sceneggiatori in Boris, ma non solo). Così, de botto, compare la figura del poeta recanatese che si sistema sul motorino del ragazzo, in piena crisi amorosa. E lo aiuta recitandogli i versi del Sabato del villaggio (Garzoncello scherzoso, cotesta età fiorita…) cercando di fargli comprendere cosa sia realmente importante nella vita, impedendogli di compiere gli stessi suoi errori fatti, troppo chino sui libri.

Ecco, Tutti Pazzi per Amore è un po’ così: senza senso, per dirla alla Boris. Anche se il senso ce l’ha eccome ma è nascosto e va cercato. Così, chi vuole può fermarsi alla superficie e divertirsi. E chi, invece, preferisce scavare potrà trovare un tesoro nascosto davvero prezioso.
Del resto a supervisionare il tutto, in un gioco esilarante di meta-televisione, ci sono Carla Signoris e Giuseppe Battiston, nei rispettivi panni di una presentatrice televisiva e un professor/dottor esperto in tutto, secondo il caso. Come in una sorta di VAR ante litteram i due interrompono l’azione quando occorre approfondendo il momento topico. “Dottor Preiss” interviene, come un rituale, la voce di Carla Signoris, “Lei che è esperto di…” inserendo di volta in volta la necessaria, improbabile specializzazione, inventata per spiegare la situazione interrotta nella fiction.
Perché Tutti Pazzi per Amore, alla fine, è il racconto di cosa sono l’amore e la vita. Un racconto così dettagliato e fitto da sembrare quasi un manuale d’istruzione. Nel quale è davvero impossibile non immedesimarsi. Si viene trascinati da questo fiume in piena colmo di musica, ironia, intelligenza e sincera bontà che rallegra e fa riflettere al tempo stesso, perché costantemente in bilico tra commedia e dramma. Proprio com’è il nostro quotidiano vivere.