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Behind The Series – True Detective: viaggio negli abissi della psiche umana

Behind The Series è la rubrica di Hall of Series in cui vi raccontiamo tutto quel che c’è dietro le nostre serie tv preferite. Sul piano tecnico, registico, intimistico, talvolta filosofico.

In passato qualcuno avrà pensato alle serie tv come a uno svago, un divertissement con il quale spendere qualche ora staccando il cervello. In alcuni casi è certamente ancora così: col tempo però non solo il ruolo delle serie tv si è esteso a perdita d’occhio, passando da una goccia d’acqua all’oceano, ma si è approfondito popolando i suoi fondali di creature affascinanti e complesse. È facile perdersi in questo oceano ed è ancora più facile atterrirsi delle sue profondità, attaccati con occhi commossi al suo orizzonte. Un esempio di questo emozionante smarrimento è True Detective, che nella sua prima stagione porta con sé un mare magnum di inferenze, simbologie e filosofie quasi impossibili da definire con sicurezza.

Questo articolo dedicato al “dietro le quinte” della serie ha come scopo quello di immergersi nelle acque burrascose di True Detective, per cercare quantomeno di afferrarne qualche curiosa creatura e, se siamo fortunati, di toccare con la punta delle dita la sabbia dei suoi fondali.

true detective

True Detective: in superficie

Lo sappiamo già, la trama superficiale è vecchia come il mondo: due detective molto diversi tra loro e che si stanno anche molto poco simpatici sono costretti a collaborare a un caso che si prospetta intricato, violento, degenerato. I due detective non solo sono molto diversi nell’approccio alla professione, ma lo sono nella vita privata, nella forma mentis e nell’apparato filosofico che sottintende le loro azioni.  

Marty Hart è l’elemento conformante, perfettamente a suo agio col territorio e con i valori che esso coltiva, ne raccoglie ogni ipocrisia con la benevola indolenza del sud. Non si pone alcuna domanda, non si interroga, non mette in discussione il suo ambiente. Rust Cohle è l’elemento di disturbo che rompe gli equilibri: nuovo arrivato, di domande ne pone anche troppe e, soprattutto, porta con sé una struttura di pensiero che mina alla base i valori di quel territorio. Con granitica certezza, svela punto per punto ogni ipocrisia e la giudica con inflessibilità. La loro storia si muoverà su due piani temporali diversi, raccontandoci il caso in cui sono coinvolti e il loro sviluppo personale su due livelli quasi giustapposti, e per questo ancora più incisivi in termini di contrasto narrativo.

L’Orizzonte narrativo

Il paesaggio è letteralmente il terzo attore della scena. È la parte del paese dove sono cresciuto e sapevo che questi ambienti ci stavano aspettando. Le dettagliatissime descrizioni del setting sono una parte importante dello script: ho preso al volo l’opportunità di testimoniare le contraddizioni di luoghi e persone, di far sentire questa sensazione di “Paradiso corrotto e degradato” […] Ho scelto la Louisiana perché la conoscenza dei luoghi mi ha permesso di scrivere come se i paesaggi fossero un personaggio a tutto tondo e un punto di riferimento nella scrittura: la consapevolezza delle contraddizioni, il paesaggio come cultura.

Nic Pizzolatto – Regista e sceneggiatore di True Detective

La serie si muove nei territori immensi e inesplorati della Louisiana rurale. E quello che potrebbe sembrare un dettaglio diventa un elemento importante della scena, s’incastra alla perfezione col testo, ne diventa cornice e allo stesso tempo sostanza rimpolpante. La meravigliosa fotografia di Adam Arkapaw ci restituisce un territorio infinito nella sua desolazione, nella quale gli ampi piani sequenza accentuano la schiacciante condizione umana e il senso di ancestrale violenza. La Louisiana che si staglia sullo schermo è fatta di silenzio penetrante ed esplosioni improvvise di grida, urla e canti religiosi; è fatta di oscurità densa e scorci improvvisi di luce intensa. Le contraddizioni di cui parla il regista filtrano attraverso i gesti di una comunità semplice, ma più complessa e ferale di quel che sembra. La sensazione è quella di un malessere strisciante e innominabile, l’idea che esista qualcosa che tutti sanno o almeno intuiscono, che sia materia fondante del territorio e richiami leggende e racconti ancestrali.  Una sorta di male atavico ed eterno, che scorre sotto la superficie della terra.

In questo orizzonte narrativo si muove True Detective, che già dal titolo ci rivela la profonda connessione tra territorio, caso e interiorità psicologiche. Il termine “detective” (che nella sua radice latina detectus significa “scoprire”) si lega all’aggettivo “vero”, andando a delineare uno sdoppiamento di nature e di intenti: essere dei veri investigatori sia all’esterno che all’interno di se stessi per svelare i misteri della trama ma anche del territorio stesso, denudandone istinti nascosti e intrecci.

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True Detective: in profondità

Il tempo è un cerchio piatto. Tutto quello che abbiamo fatto e faremo, lo faremo ancora e ancora e ancora – Rust

Affondando finalmente e fatalmente nelle torbide acque della Louisiana, troviamo un oceano di significati, metafore e immagini che si ascrivono a correnti filosofiche e di pensiero molto articolate. E la meraviglia e la difficoltà di True Detective stanno proprio qui: cercare di afferrare il corposo sottotesto che scorre lungo una trama già di per sé densa di momenti importanti. E proprio seguendo la struttura a cerchio di cui ci parla lo stesso Rust, cominciamo dalla fine.

Rust: Ti confesso, sono stato sveglio in quella stanza a guardare dalla finestra ogni notte, pensando che c’è solo una storia. La luce contro l’oscurità.
Marty: […] A me sembra che l’oscurità abbia molto più spazio.
Rust: Credo che ti sbagli sul cielo stellato.
Marty: In che senso?
Rust: Una volta c’era solo l’oscurità. Se me lo chiedessi, ti direi che la luce sta vincendo.

Se andassimo al nocciolo duro e puro della stagione, scevro di qualsiasi digressione filosofica e manieristica, potremmo descrivere True Detective come il viaggio quasi opposto di due uomini all’interno dell’oscurità, dalla quale ognuno di loro ha tratto qualcosa di diverso. Marty ci ha trovato maturazione, Rust speranza.

Marty rappresenta per tutto l’arco della stagione l’elemento per certi versi più concreto e realistico, sebbene in realtà viva il mondo in modo cieco e passionale. Rappresentazione del mito americano, ne incarna valori e degenerazioni al punto da esserne, alla fine, la sua critica più feroce. Non solo Marty difende la famiglia e la religione come sistema di credenze in modo assolutamente acritico, ma le sue ipocrisie di fondo vengono sottolineate dallo stesso Rust, invece feroce nella sua onestà.

Un uomo abituato a vedere tutto come sua proprietà intrinseca con il perbenista e granitico ottimismo dell’American Dream come reagisce all’incontro con il male? La cosa interessante è che…. Marty assume tratti pessimistici laddove Rust smorza i suoi a favore della luce. Come il proverbiale velo di Maya Schopenhaueriano, Marty sembra essersi sbarazzato di una visione della realtà illusoria per abbracciarne una più realista e inevitabilmente più pessimista. Questo risveglio però non è mostrato come una cosa negativa, perché in realtà esso ha rappresentato per Marty una maturazione su tutti i livelli della sua esistenza. Strappate via tutte le finzioni da macho americano, si è ritrovato completamente nudo davanti all’unica cosa che è rimasta: la sua famiglia. 

Rust Cohle

E per quanto possa a prima vista sembrare stucchevole, l’amore ha lo stesso ruolo catartico per Rust che compie il percorso inverso. Rust inizia il suo viaggio come nichilista, pessimista, antinatalista. Ritorniamo così a Schopenhauer, che attribuiva alla nascita e alla vita valori negativi.

Credo che la coscienza umana sia un tragico passo falso dell’evoluzione. Siamo troppo consapevoli di noi stessi. La natura ha creato un aspetto della natura separato da se stessa. Siamo creature che non dovrebbero esistere… per le leggi della natura.

L’uomo non sarebbe mai dovuto nascere e, soprattutto, l’uomo dovrebbe rinunciare al ruolo di genitore per risparmiare l’infinità e atroce sofferenza del vivere ad altri esseri umani. Rust stesso, a un certo punto, commenta la morte della figlia in termini di liberazione dal peso di essere padre. Qua ritroviamo tutta l’eredità di una corrente pessimista che coinvolge tutti gli ambiti della ragione umana, dalla filosofia di Schopenhauer e Cioran, alla letteratura di Foscolo, Ligotti e Leopardi. E dalla morte della figlia che nascono e si sedimentano in Rust una serie di filosofie negative, che convergono in un solo disegno esistenziale. In principio c’è il suo nichilismo esistenzialista, ossia la credenza che la vita non abbia alcun valore intrinseco, erede di quella corrente filosofica che va da Schopenhauer fino al nichilismo ateo di Nietzsche che in True Detective viene ricordato fin dalla tagline.

“Tocca l’oscurità e l’oscurità ti toccherà a sua volta.”

Il pessimismo cosmico e il Male divinizzato

Nel corso della serie però, entrambi i personaggi entrano in contatto con una visione del Male che è in diretta collisione sia con la professata mancanza di significato di Rust che con l’ottimismo ottuso di Marty.

Finale True Detective

Il Re Giallo non è solo un essere umano capace di indicibili crudeltà, né Carcosa è solo un luogo di sevizie e dolore. Il primo si trasfigura, attraverso le narrazioni delle povere vittime, in una figura mitologica – un demone o un dio – il cui culto si consuma in una chiesa di ossa e legno, Carcosa appunto. E il nome stesso, Re Giallo, non può essere un caso: esso appare per la prima volta agli inizi del XX secolo come opera fittizia in grado di rendere folli. Soprattutto, esso è uno dei nomi con cui è conosciuto Hastur l’Innominabile, divinità sorrellastra di Cthutlhu del ciclo divino di Howard Phillips Lovecraft.  Ritorniamo quindi a una di quelle filosofie negative che si concentrano nella serie e principlamente in Rust Cohle: il pessimismo cosmico.

Io son colui che urla nella notte, Io son colui che geme nella neve, Io son colui che mai vide la luce, Io son colui che ascende dall’abisso. E il mio cocchio è il cocchio della Morte, Le mie ali son ali di paura, Il mio respiro è il soffio del maestrale e le mie prede sono i freddi morti.

Lovecraft Psychopompos

Sono chiamato ad ascendere. A volte, al mattino, mi sembra quasi di vedere il piano infernale.

Childress – True Detective

Childress, il Re Giallo, desidera ascendere come uno dei Grandi Antichi Lovecraftiani, diventando egli stesso divinità a cui sacrificare esseri umani. Cthulhu, la creatura immaginaria più importante del pantheon Lovecraftiano, è un essere adorato da popolazioni degenerate che richiede sacrifici umani. Non è una divinità buona o malvagia, ma intrinsecamente ignota, extraterrestre, fredda, eterna.

Se il nichilismo esistenziale di Rust enfatizza la mancanza di significato dell’esistenza, collegandosi saldamente sia con l’ateismo sia con l’antinatalismo, il pessimismo cosmico accentua l’insignificanza dell’essere umano rispetto alla vastità del cosmo.

E qui risulta facile collegarsi alla spirale, simbolo prediletto della nuova chiesa del Re Giallo, e visione quasi mistica che Rust ha proprio in quella chiesa. Di fronte all’infinitezza di un universo guidato da forze sconosciute e ignote, l’essere umano non è altro che un puntino arrogante e facile da disperdere. Lovecraft sottolineava come questa visione non fosse né pessimista né ottimista, ma in sostanza indifferente. L’indifferenza cosmica, termine da lui stesso coniato, affonda in una visione passiva della vita. Una visione che, in ultima analisi, non è conforme a nessuno dei due protagonisti. Se, infatti, Rust e Marty si muovono da due punti estremi, s’incontrano esattamente nel centro e in perfetta sintonia di ideali: attivi come non mai nel combattere quel Male sotto all’infinito orrore del pessimismo cosmico del Re Giallo.

Alla fine, cosa ci resta?

Il nichilista esistenzialista, pessimista e antinatalista, che scorge nella quasi-morte agognata l’infinito amore di sua figlia, accettandone finalmente la morte ma allo stesso tempo decidendo di andare avanti. Rust si riconcilia con la vita attraverso la morte, accetta l’esistenza della luce accanto all’oscurità, accogliendo dentro di sé la speranza. L’ottimista ipocrita, machista e perbenista, che scorge nella quasi-morte l’amore della sua famiglia e accetta di mostrare le sue debolezze, sciogliendosi in un pianto liberatorio. Marty accetta di vedere il male e di affrontarlo, accetta l’esistenza dell’oscurità accanto alla luce, accogliendo dentro di sé la maturità adatta per conciliarle senza più ipocrisie.

True Detective è alla fine uno splendido viaggio nell’oscurità della psiche umana ma, soprattutto, è un viaggio di riconciliazione con essa. È la consapevolezza che, solo affrontando e accettando quest’oscurità, è possibile vedere la luce che ci circonda, nonostante tutto. Perché, come dice Rust, la luce sta vincendo. Almeno per oggi.