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The Son è finalmente arrivata in Italia, ma sembriamo non essercene accorti

The Son è una serie western che nasce negli Stati Uniti e prende ispirazione dall’omonimo romanzo best seller di Philipp Meyer. Racconta la storia di Eli McCullough, un ragazzino proveniente da una famiglia Texana benestante, che all’età di tredici anni viene rapito da una tribù Comanche, non prima di aver visto sterminati i genitori e i fratelli. La storia quindi si sviluppa su due piani temporali differenti: le vicende del protagonista, ormai adulto, che cerca di preservare i propri interessi nonostante il difficile rapporto con il figlio minore, e i continui flashback di quando, ancora piccolo, veniva cresciuto dalla tribù dei pellerossa.

É molto interessante la costruzione del personaggio di Eli (interpretato da Pierce Brosnan), che sembra quasi un eroe mitologico temprato dagli insegnamenti della tribù dei nativi, ma trasportato in un mondo fatto di affari e denaro. Le caratteristiche di Eli sono lampanti: è coraggioso, spietato, irremovibile, violento, un self made man che riconosce nella famiglia e nei suoi averi, le uniche cose davvero importanti e per questo è pronto a tutto pur di difenderle. Purtroppo questo include il comportarsi come un tiranno, muoversi in una zona grigia, in cui la legalità non è del tutto contemplata. D’altra parte è stato cresciuto da una tribù di guerrieri e, come verrà mostrato a più riprese durante la serie, imparerà a prendere decisioni violente e sanguinose fin da ragazzino. La sua vita è segnata da questo gigantesco trauma infantile, che gliel’ha completamente stravolta e, in un certo modo, giustifica una visione distorta del mondo, che ai suoi occhi ubbidisce solo ai comandi del dio denaro e dell’avidità. Come una sorta di John Dutton ante litteram, Eli McCullough cercherà di salvaguardare i suoi possedimenti, ma si ritroverà sempre in bilico fra l’accettazione della modernità e la preservazione di tradizioni che hanno assicurato il benessere suo e della sua famiglia fino a quel momento. Ma le somiglianze con il protagonista di Yellowstone finiscono davvero qui e Eli McCullough è diventato quello che i pellerossa considerano il peggior uomo bianco possibile. É ancora vivo il ricordo delle violenze subite da bambino, per questo è la violenza l’unico linguaggio che saprà usare anche da adulto.

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Ovviamente un uomo che porta dentro di sé tali ricordi, non può avere un’equilibrio affettivo reale. É nella vita privata del magnate texano che si cominciano ad intravedere gli effetti più devastanti della sua personalità, in particolare nel problematico rapporto con il figlio minore Pete, che appoggia il padre nella famigerata corsa all’oro nero, ma spinge perché avvenga in maniera più strategica e meno violenta. Un rapporto alla Jax Teller e Clay Morrow in Sons of Anarchy, in cui lo scontro generazionale finisce per deteriorare l’unità affettiva fra le mura domestiche (e non lascia presagire niente di buono neanche nei rapporti al di fuori di esse).

La serie oltretutto, presenta uno spaccato storico molto interessantre, mostrandoci il Texas, fra i più iconici stati americani, come una terra combattuta, teatro di epiche battaglie, che porteranno all’inevitabile nascita di una comunità tradizionale e conservatrice, ma che a differenza di quanto si potrebbe pensare, non nasce veramente da uomini integerrimi e dalla forte moralità.

Il fatto è che, pur avendo dei giganteschi punti di forza, The Son in Italia sembra non interessare a nessuno. Il che è piuttosto strano, considerando che il così detto genere “modern western” sta godendo, nell’ultimo periodo, di un riacceso interesse grazie a serie come Yellowstone o Deadwood. Ancora più strano se si considera che proprio il nostro paese ha una predisposizione quasi storica per l’argomento.

Il genere western nasce negli Stati Uniti ed è quello che si potrebbe definire il più vicino al racconto storico. Della loro storia ovviamente, delle loro tradizioni, delle loro lotte, dei loro valori e della nascita del loro paese. Tuttavia, fin dai suoi albori, anche in Italia abbiamo subito il fascino delle storie di indiani e cowboys, tanto da creare il famoso filone cinematografico che gli americani stessi hanno battezzato “Spaghetti Western”. In maniera davvero imprevedibile il nostro paese ha creato, con i mezzi disponibili nel mondo del cinema anni sessanta, non solo un omaggio al genere western originario, ma lo ha anche in un certo modo influenzato. Se gli americani dipingevano i nativi come tribù pericolose e sanguinarie in netta contrapposizione ai cowboys di sani e onesti principi, gli italiani hanno cambiato questa dicotomia, eliminando gli indiani (si dice per la difficoltà di trovare nel vecchio continente, attori dai tratti somatici credibili nel ruolo) e mostrando un cowboy meno integerrimo e forse un po’ più selvaggio, quasi indomabile. Insomma sicuramente un po’ più sporco, più brutto e più cattivo di quello che, fino a quel momento, ci era stato proposto.

Questa veloce riflessione riporta al concetto che i cowboys che ci piace guardare oggi sono personaggi complessi, con dei valori che sopravvivono da secoli, primi fra tutti le stretto legame alla terra, alle proprie radici e alla famiglia. Allo stesso tempo però sono uomini consapevoli della necessità di difendere tutto questo anche grazie a decisioni scomode, per non dire brutali.

Alla luce di tutto questo la serie The Son forse ha un po’ disatteso le speranze del pubblico italiano.

È proprio il personaggio di Eli che lascia l’amaro in bocca più di tutti, perché quello da cui si avevano in assoluto più aspettative. Pierce Brosnan è certamente un attore dal grandissimo talento, ma forse nell’immaginario collettivo rimane ancora più vicino a James Bond che al polveroso straniero senza nome di Eastwood. É più pettinato e patinato e quest’aura permea un po’ tutta l’atmosfera della serie. Ci si aspetta che le violenze subite portino a scene altrettanto violente, ma in realtà, salvo qualche rara eccezione, non sembra che il potenziale di un personaggio così psicologicamente complesso venga del tutto esplicitato. Tanto meno viene minimamente raccontato, quello che doveva essere un plausibile rapporto fra messicani, bianchi e nativi all’inizio del ‘900, in termini di scarso valore dato alla vita altrui.

Allo stesso modo, se si spera in una saga familiare che possa anche solamente avvicinarsi alla profondità dei legami vista ne Il Petroliere, si rimane altrettanto delusi, nel constatare che i personaggi che ruotano attorno al protagonista, non sono caratterizzati in maniera adeguata e che tutto rimane un po’ più superficiale e implicito. Il personaggio di Pete in particolare, appare a tratti quasi un po’ troppo buonista.

Al netto di eventuali difetti e polemiche The Son è comunque una serie che offre numerosi spunti di riflessione oltre che narrativi. In particolare è interessante come l’eterno duello fra nativi e cowboys venga ampliato anche ad un terzo componente, i messicani, che sono parte davvero fondante della storia del Texas. Vengono solitamente rappresentati in maniera stereotipata, quasi caricaturale, ma in questa serie sono legittimi proprietari, legittimi cittadini e autentiche vittime. Allo stesso modo i Comanchi non sono solo “i cattivi”, ma sono i portatori di una cultura diversa, qualcosa di altro da sé, ma anche in questo caso legittimi abitanti e legittime vittime. Nella serie viene ben mostrato come la guerra e l’espropriazione delle terre compiuta dall’uomo bianco non sia giustificata da nient’altro se non dall’avidità e dalla sete di potere. La vera forza del racconto, che è narrato originariamente in un libro arrivato fra i finalisti del Pulitzer, è quello di mostrare le origini di un grande paese, senza poetica, ma con un minimo di plausibilità storica. Nel raccontare tutte e tre le parti chiamate in causa, la serie risulta efficace e libera da nazionalismi.

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Cappelli a larghe tese e pallottole ci regalano ancora delle serie preziose, non solo le già citate Yellowstone o Deadwood, ma, per esempio, anche le prime stagioni di Westworld. E se vale la pena nominare Godless o Frontiera, serie accolte in maniera piuttosto tiepida da parte della critica, ma premiate dal pubblico, allora andrà recuperata anche The Son, per emozionarsi ancora una volta grazie alle storie di frontiera. La serie forse non ha espresso tutto il suo potenziale nella prima stagione, però siamo a conoscenza di una seconda, ancora inedita in Italia, che forse saprà portare al massimo tutti gli spunti che sono stati presentati nei primi dieci episodi.

Abbiamo aspettato quattro anni per l’uscita nel nostro paese della prima stagione di The Son, non ci resta che tenere le dita incrociate, nella speranza che, per vederla davvero esplodere nella seconda stagione, non saremo costretti ad aspettare tanto.

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