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C’è qualcosa di profondamente paradossale in The Morning Show. È una serie che ha tutto: un cast stellare, una trama densa, una fotografia spettacolare, e un’ambizione narrativa che non teme di sporcarsi le mani con i temi attuali più scomodi. Eppure, sembra che nessuno voglia davvero vederla. Non in senso letterale, perché The Morning Show è tra le produzione di punta di Apple TV (ed è stata confermata per una quinta stagione), ma in senso più profondo: è come se il grande pubblico le passasse accanto senza accorgersi della sua importanza, come se venisse data per scontata. Forse è il destino delle opere che riflettono troppo fedelmente lo specchio di un’epoca: disturbano, più che intrattenere.
La serie, creata da Jay Carson e Kerry Ehrin, prende le mosse da un fatto reale e riconoscibile: lo scandalo del #MeToo nel mondo dei media americani. Nella prima stagione abbiamo visto l’improvvisa caduta di Mitch Kessler (interpretato da Steve Carrell), un celebre conduttore di un popolare programma televisivo mattutino accusato di molestie sessuali. Accanto a lui, la collega di sempre Alex Levy (interpretata da Jennifer Aniston), costretta a gestire il crollo dell’immagine del programma e, insieme, del suo stesso equilibrio personale e professionale. L’arrivo di Bradley Jackson (Reese Witherspoon), giornalista di provincia dal carattere impulsivo e idealista, introduce il conflitto generazionale e ideologico che regge gran parte della serie: la contrapposizione tra chi ha imparato a sopravvivere nel sistema e chi, invece, vuole scardinarlo.
The Morning Show è una delle serie tv di punta di Apple TV.

Sin dalle prime puntate The Morning Show mostra una sicurezza rara nel trattare il potere. Non lo racconta come un’entità lontana, ma come una dinamica quotidiana, che si insinua nei corridoi degli studi televisivi, nelle pause caffè, nelle scelte editoriali, nelle parole taciute più che in quelle dette. È un potere fatto di compromessi, di sorrisi forzati davanti alle telecamere e di guerre sotterranee dietro le quinte. Inoltre, è una serie che evolve con il suo tempo, che non teme di cambiare pelle. La seconda stagione abbraccia il tema della pandemia e della crisi identitaria dei media in un’epoca di incertezza globale; la terza stagione, invece, introduce dinamiche di potere aziendale, l’influenza delle big tech e il ruolo dell’informazione nell’epoca della disinformazione sistemica. Eppure, questo coraggio può spiegare solo in parte la sua apparente “invisibilità”.
Perché, allora, The Mornign Show sembra non riuscire a conquistare il grande pubblico, nonostante le sue innegabili qualità?
In un mondo in cui tutto è comunicazione, la serie diventa essa stessa una riflessione su chi controlla la storia e chi, invece, viene escluso dal racconto. Forse è proprio questa densità a rendere The Morning Show meno “popolare” di quanto meriterebbe. È una serie che non si accontenta di essere vista, ma che vuole essere compresa. In un’epoca in cui molte produzioni scelgono la semplificazione per raggiungere il pubblico più ampio possibile, questa serie va nella direzione opposta. Offre un ritratto in cui tutti sbagliano, tutti mentono, tutti cercano una forma di giustificazione alle loro azioni. È una visione che spiazza, perché somiglia alla realtà. Ma Apple TV+, d’altronde, non punta alle masse. La piattaforma ha costruito un catalogo elitario, basato sulla qualità e sull’immagine, e possiamo dire che The Morning Show ne è il manifesto. Ma questo la isola dal circuito della cultura pop, dove le serie “di successo” sono quelle che diventano meme, oggetto di conversazione virale, parte del linguaggio collettivo.

Ma The Morning Show è l’opposto: e questo, per molti spettatori abituati all’immediatezza, può risultare un ostacolo.
Eppure, per chi resta, per chi sceglie di seguirla davvero, The Morning Show diventa una delle esperienze più appaganti del panorama seriale recente. È un dramma che sa essere emozionare senza mai cedere al sentimentalismo, lucido senza diventare cinico. Mostra il potere femminile in tutta la sua ambiguità: non come un’idealizzazione, ma come una fatica quotidiana. Alex e Bradley non sono modelli, ma esseri umani che inciampano, si contraddicono, si feriscono a vicenda pur di sopravvivere in un sistema che pretende perfezione. Nel fondo, questa serie parla del bisogno di verità e di quanto sia difficile affrontarla quando il mondo preferisce la superficie.
Infatti, un altro elemento che distingue questa serie è il modo in cui racconta la verità. Ogni personaggio ha la propria versione dei fatti, e la serie non cerca mai di imporre un punto di vista morale definitivo. Questo relativismo, per alcuni, può risultare frustrante; per altri, è il cuore del suo realismo. In un’epoca in cui la verità è sempre più filtrata da algoritmi e percezioni, The Morning Show ci ricorda quanto sia fragile, negoziata e spesso scomoda. In fondo, forse, il vero problema è che parla troppo bene di noi. Ci costringe a vedere le ipocrisie quotidiane, la superficialità delle nostre indignazioni digitali, la fame di scandali che anima i media e i social. È una serie che denuncia il nostro bisogno di “sapere tutto” ma di non capire davvero nulla.
E questo, chiaramente, può essere una scomoda verità da affrontare.
È più facile guardare un thriller o una commedia romantica, il cui unico scopo è quello di intrattenere. Alla fine, il paradosso resta: The Morning Show è una delle serie tv più sofisticate, attuali e coraggiose degli ultimi anni, eppure continua a muoversi ai margini del discorso pubblico. Ma forse la sua forza sta proprio in questo. Non ha bisogno di essere un fenomeno di massa per lasciare il segno. Perché sì, questa serie ha davvero tutto: talento, intelligenza e verità. Ma per comprenderla bisogna voler guardare più a fondo e, in un’epoca che preferisce lo sguardo distratto, è naturale che resti invisibile rispetto ad altri prodotti. Eppure, proprio per questo, vale la pena darle una possibilità (guardandola qui, su Apple TV).







