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The Last Kingdom: sette re devono morire – La Recensione del film

ATTENZIONE: l’articolo contiene spoiler su The Last Kingdom: sette re devono morire, il film sequel della serie tv disponibile su Netflix!!

Esisteva un sogno che si chiamava Inghilterra. Ne scrissero poeti, artisti e scribacchini di corte. Ne cantarono i giullari, ne vociferarono i popolani. Ballate intere vennero composte in suo onore. I sudditi del Wessex le tramandarono ai loro figli e i figli ci confezionarono storie per i loro figli e così via. Con re Alfred si era spento un sovrano integerrimo, che aveva visto prima di tutti ciò che nessuno era stato capace di immaginare. L’Inghilterra era una visione che si ergeva al di sopra della fantasia di un uomo solo e provava a farsi carne in un’epoca in cui lavorare di immaginazione era considerato da folli. Le prime indimenticabili stagioni di The Last Kingdom ci avevano lasciato un sogno mozzo, una chimera da realizzare. Noi spettatori del ventunesimo secolo sapevamo che non poteva trattarsi di un abbaglio: l’Inghilterra esiste ed è stata forgiata dalle storie di uomini che lottarono, si scontrarono, si uccisero e combatterono fino alla morte per compiere il volere di Dio, o forse piuttosto quello degli uomini. I romanzi dello scrittore inglese Bernard Cornwell hanno fornito il materiale per trasformare in un’affascinante opera televisiva le cronache dei re Sassoni. Al centro di queste storie di sangue, violenza, amori, passioni, battaglie e visioni nobili, c’è lui: Uhtred di Bebbanburg, il guerriero nato sassone e cresciuto tra i vichinghi, mezzo cristiano e mezzo pagano, leale a re Alfred ma fedele solo alla propria spada.

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La grande epopea di Uhtred di Bebbanburg è andata avanti per cinque stagioni, concludendosi nel 2022 dopo quarantasei episodi.

La serie tv ha riscosso un discreto successo, creando una fanbase che aspettava con ansia l’uscita del film sequel appena arrivato su Netflix. The Last Kingdom: sette re devono morire è la conclusione definitiva dell’opera televisiva ispirata ai romanzi di Cornwell. Il suo punto finale, necessario dopo l’epilogo rimasto aperto della serie tv. La quinta stagione di The Last Kingdom aveva portato a conclusione la maggior parte dei filoni narrativi: Uhtred alla fine era riuscito a conquistare Bebbanburg e a diventarne il signore indiscusso. Buona parte dei personaggi centrali erano morti nel corso delle ultime stagioni, il regno – seppur ancora ufficialmente diviso – era rimasto pacificato, i nemici più temibili sconfitti sul campo di battaglia o in duello e la progenie reale sistemata nelle varie dislocazioni del regno. Ma proprio questo, il fatto cioè che esistessero ancora varie dislocazioni del regno, lasciava ai fan il rimpianto di non aver visto ancora realizzato il sogno di Alfred, quello di un’Inghilterra veramente unita. In questo, The Last Kingdom: sette re devono morire dà effettivamente la sensazione di una maggiore compiutezza a tutta l’opera. Ma addentriamoci nei dettagli del film.

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Diretto da Edward Bazalgette e scritto da Martha Hillier, The Last Kingdom: sette re devono morire riprende le fila del racconto diversi anni dopo gli eventi con cui si era chiusa la quinta stagione. Il regno è in relativa pace e Uhtred trascorre i suoi giorni nella fortezza di Bebbanburg, in compagnia dei suoi figli e dei compagni di battaglia di sempre. Ingrith (Ilona Chevakova), la moglie di Finan (Mark Rowley), racconta di una profezia che parla della morte di sette re prima dell’avvento di un’era di pace. Ad interrompere le sue farneticazioni, giunge proprio la notizia della morte di re Edward, un evento che sconvolge le sorti del regno e che riapre la questione dibattuta della successione al trono, che vede gli eredi del sovrano contenderselo. Ad approfittare della fase di scompiglio che si apre ogni volta che un re muore, è Re Anlaf (Pekka Strang), che prova a creare il caos nel regno e ad invadere territori che non gli spettano. L’epoca di pace ha dunque le ore contate: fratellastri e cugini si combattono tra loro, signori si ribellano e il sogno di Alfred sembra sgretolarsi un pezzo per volta. Uhtred, come sempre, prova a tenere insieme tutto. Anche perché sul trono finisce quell’Aethelstan (Harry Gilby) che nell’ultima stagione di The Last Kingdom abbiamo visto crescere al suo fianco e pendere dalle sue labbra. Il ragazzo però è cresciuto e ha imboccato una serie di strade sbagliate, prendendo decisioni tiranniche che sconvolgono lo stesso Uhtred, uno tendenzialmente abituato agli sbalzi d’umore dei sovrani.

Giochiamo all’incoronazione. Un’altra volta…

Il commento sarcastico è di Finan, che ha trascorso la sua intera vita a combattere al fianco di Uhtred per ricompattare di volta in volta il regno. Quando giunge la minaccia comune, tuttavia, l’unione fa la forza. Ed è così che Aethelstan, re del Wessex, della Mercia e dell’Anglia orientale, grazie all’aiuto di Uhtred, riesce a radunare un imponente esercito per respingere i Danesi piombati sulle terre sassoni col supporto degli Scoti. La battaglia che ne viene fuori – spettacolare e avvincente come tutti gli scontri finora visti in The Last Kingdom – è quella di Brunanburh, realmente combattuta nel 937 ai confini tra Inghilterra e Scozia. Fu una delle più sanguinose mai combattute fino a quel momento e costò la vita a cinque re, vari conti norvegesi e due cugini di Aethelstan. A questo punto, la profezia di Ingrith assume tutto un altro valore: morto re Edoardo, caduti sul campo altri cinque sovrani, tutti si chiedono chi possa essere il settimo re che deve passare a miglior vita, fin quando Uhtred, sovrano della Northumbria, viene ritrovato ferito sul campo di battaglia. Dopo la vittoria dei sassoni e la sottomissione ufficiale di Bebbanburg e della Northumbria – l’ultima che mancava all’appello -, Aethelstan diventa il re di un territorio unificato, che va dall’Anglia orientale fino ai confini con la Scozia. È il sogno dell’Inghilterra unita che diviene realtà, la visione di Alfred che prende definitivamente corpo e anima.

The Last Kingdom, con il film sequel, è adesso davvero un’opera compiuta e i fan possono esserne grati.

Certo, un film ha ritmi completamente diversi rispetto a quelli di una serie tv, per cui molti passaggi appaiono frettolosi, scarni, sbrigativi. Non c’è tempo per dar vita a un villain memorabile, come era stato per le stagioni della serie. E si perde un po’ l’effetto nostalgia che ci si aspettava da una pellicola conclusiva. Ma, malgrado la fretta e i pasticci che ne derivano, quando giungono i titoli di coda, si ha una sensazione di appagamento e malinconia. The Last Kingdom: sette re devono morire si chiude con le camere puntate su un guerriero che cammina sul filo sottile che separa il Valhalla dal mondo reale. Un guerriero che ha incarnato tutto lo spirito di The Last Kingdom, che ha reso possibile l’esistenza stessa di una Cronaca dei Sassoni, che ha combattuto, ha sofferto, si è piegato e ha lottato sempre in bilico tra la lealtà al sogno di Alfred e la sua identità ibrida. Un guerriero arrivato stanco alla fine dei suoi giorni, che piange come qualsiasi uomo che veda avvicinarsi la propria ora. Alexander Dreymon (che nel 2023 compirà quarant’anni) ha superato a pieni voti quello che è il suo primo importante impegno sullo schermo e lo ha fatto assumendo su di sé tutto la struttura della serie (e del film). Con The Last Kingdom: sette re devono morire giunge al termine quest’altra splendida esperienza televisiva, che ai fan mancherà sicuramente. Unico dubbio: ma possibile che dopo cinque stagioni, quasi cinquanta episodi, un film conclusivo e decine di anni di storia coperti dalla sceneggiatura, Uhtred e i suoi compagni di lotta non siano invecchiati di un giorno?