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Il sesto episodio di The Last Frontier, approdato come ogni venerdì su Apple TV, si apre esattamente come tutti gli altri prima di lui: con una promessa di tensione e un incipit che cattura l’attenzione. È un tipo di apertura che la serie ha ormai codificato, quasi ritualizzato, come se la produzione volesse ricordarci che sa ancora come costruire l’attesa e l’interesse. Ma anche questa volta, quella promessa viene presto disattesa. L’episodio ruota attorno alla figura dell'”Angelo della Morte“, un chirurgo geniale e spietato, responsabile di numerosi omicidi. Sembra voler restituire alla serie un po’ del brivido e del senso di pericolo che avevano animato le prime puntate. Eppure, ancora una volta, The Last Frontier spreca il suo potenziale, trasformando un personaggio potenzialmente esplosivo in una comparsa di lusso, funzionale solo a riempire il vuoto narrativo.
L'”Angelo della Morte”, si per sé, è un’idea affascinante. È il tipo di figura che in un’altra serie avrebbe potuto incarnare la tensione morale del raconto, l’ambiguità tra scienza e follia, tra razionalità e impulso omicida. Qui, invece, rimane una sagoma: introdotto in modo promettente, sparisce nel nulla una volta assoluto il suo scopo di “ricordarci” che là fuori, nel gelo dell’Alaska, ci sono ancora dei detenuti evasi e pericolosi. È un personaggio scritto come un segnaposto, il simbolo di ciò che The Last Frontier avrebbe potuto essere se solo avesse avuto il coraggio di prendersi il tempo per approfondire i suoi mostri, invece di usarli come brevi intermezzi tra un dramma familiare e l’altro. È così che l’episodio scivola via esattamente come i precedenti: con una serie di spunti narrativi potenzialmente forti che restano appesi nel vuoto.
Dopo sei puntate, The Last Frontier continua a comportarsi come una serie che non sa bene cosa vuole essere.

Frank, interpretato da Jason Clarke, è sempre più intrappolato nel ruolo del “padre combattutto”, ma non nel senso tragico che la scrittura vorrebbe. È combattutto, piuttosto, tra la necessità di mantenere una direzione narrativa coerente e le mille deviazioni che la serie gli impone. Nel primo episodio avevamo intravisto un personaggio tormentato, ma deciso a difendere la sua comunità, disposto a tutto pur di mantenere la promessa di protezione fatta ai suoi concittadini. Ora, lo ritroviamo in balia dei suoi dubbi e di un’inquietudine che la sceneggiatura non riesce a rendere autentica. È un uomo che sembra perdere di vista il proprio obiettivo, proprio come la serie che lo ospita. La sua ossessione per la verità e per le trame cospirative di Sydney, riduce la tensione drammatica. E mentre la coppia Frank-Sydney cerca di decifrare il mistero di Havlock, il resto del mondo sembra essersi dimenticato del caos che li circonda.
Gli altri detenuti, che dovrebbero rappresentare la minaccia primaria per Frank e per la sua comunità, sono relegati a comparse lontane, appaiono e scompaiono non incidendo davvero sulla storia. Il fatto che ogni episodio introduca un nuovo fuggitivo solo per eliminarlo poco dopo è diventato ormai una formula prevedibile, che svuota di tensione le premesse più interessanti. Questa fretta di liquidare tutto diventa, paradossalmente, il tratto distintivo di The Last Frontier. È una serie che accumula sottotrame senza svilupparle, che apre conflitti per poi abbandonarli. E mentre il numero dei detenuti liberi diminuisce, la confusione aumenta: chi è davvero il nemico? È Havlock, l’uomo che la CIA considera una minaccia ma che non ha fatto nulla di concretamente pericoloso? O sono i fuggitivi, che massacrano civili ma vengono trattati come elementi di contorno?
Tutto procede come in un cerchio, con i personaggi che si muovono ma non avanzano.

Sul piano tematico, questo sesto episodio conferma la tendenza di The Last Frontier a mettere in scena un conflitto tra ordine e caos. Senza però dargli un peso morale. Frank e Sydney inseguono Havlock in nome della sicurezza, eppure sembrano tralasciare la caccia agli ultimi fuggitivi che, intanto, continuano a mietere vittime. Sarah, la moglie di Frank, continua a rappresentare la voce della ragione domestica, ma anche lei è confinata nel ruolo stereotipato di “coscenza morale”. Eppure, nonostante tutto, The Last Frontier continua a offrire brevi lampi di potenziale. La tensione iniziale dell’episodio e le figure dei suoi assassini sono spunti che, in una scrittura più attenta, potrebbero generare momenti di vero dramma. E, a questo punto, dopo sei episodi, diventa difficile capire quale sia la direzione verso cui la serie vuole muoversi (ne abbiamo parlato nella recensione al quinto episodio).
La caccia ai detenuti non è più il motore principale. La tensione tra Frank e Sydney ha perso mordente, e la minaccia di Havlock resta sospesa in un limbo narrativo. The Last Frontier sembra ormai una serie prigioniera di se stessa. Intrappolata in un meccanismo narrativo che non riesce a rompere, incapace di scegliere se essere un thriller ad alta tensione o un dramma. Il risultato è un ibrido che non soddisfa nessuna delle due. Rimane solo la sensazione di assistere a un racconto che procedere per inerzia, in cui le potenzialità vengono sistematicamente sprecate e i personaggi si dissolvono dietro la nebbia di trame lasciate a metà. The Last Frontier aveva tutte le carte in regola per essere una serie avvincente e memorabile ma, per ora, ha scelto la via più facile e meno coraggiosa.





