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C’era un momento, all’inizio di The Last Frontier, in cui la serie sembrava voler trovare un suo equilibrio. Tra i ghiacci dell’Alaska e le ombre del mistero, l’idea di un ex agente coinvolto suo malgrado in un intrigo internazionale aveva il potenziale per raccontare sia la lotta personale di un uomo coinvolto contro i propri demoni, sia la tensione di un complotto che supera i confini della legalità. Ma con questa quinta puntata, arrivata come sempre su Apple TV venerdì, The Last Frontier sembra smarrire la bussola. L’intenzione di questo episodio è chiara: alzare la posta, aumentare la tensione narrativa, mettere in moto finalmente tutte le linee del racconto. Tuttavia, il risultato è opposto. La puntata si presenta come un campo di battaglia in cui i tre volti della serie – dramma famiiare, spy story e thriller d’azione – non convivono, ma si ostacolano a vicenda.
È proprio il fronte domestico, in questo epiosdio, a cedere per primo. Sarah, la moglie di Frank, diventa il fulcro del conflitto familiare e, purtroppo, anche uno dei punti deboli della puntata. La sua decisione di nascondere al marito una prova fondamentale, giustificata dal desiderio di “proteggerlo”, suona tanto ingenua quanto irritante. In un contesto in cui il loro figlio è stato rapito da un pericoloso criminale e l’intera comunità vive nel terrore, una scelta del genere risulta del tutto inverosimile. La serie sembra voler usare il personaggio di Sarah per dare una dimensione più “umana” alla storia, ma lo fa in modo superficiale, quasi didascalico. La moglie preoccupata perché il marito si immerge troppo nel lavoro è un cliché che funziona solo se inserito in un contesto coerente. Qui, invece, si trasforma in un elemento di disturbo, che non aggiunge profondità ma sottrae credibilità. Il dramma familiare avrebbe potuto essere un’ancora emotiva: la perdita, la paura, la fragilità di una famiglia che si disgrega. Ma The Last Frontier preferisce la via più semplice, quella del sentimentalismo forzato, riducendo le reazioni dei personaggi a gesti e frasi di circostanza.
Il momento della liberazione del figlio ne è l’esempio più lampante.

Dopo giorni di prigionia, dopo aver vissuto nel terrore e nell’incertezza, tutto si risolve in un abbraccio frettoloso, quasi televisivo nel senso peggiore del termine. Non c’è traccia del trauma, né della complessità emotiva che un evento del genere lascerebbe su qualsiasi persona reale. La serie sembra temere la lentezza emotiva, quella pausa necessaria che permetterebbe al pubblico di provare empatia per i personaggi. E così, anche questo momento potenzialmente potente, scivola via senza lasciare traccia. Laddove il dramma familiare affonda, la componente spy riesce finalmente a emergere con qualche intuizione degna di nota. È qui che la puntata prova, almeno in parte, a riaccendere l’interesse dello spettatore. Frank scopre – grazie alla prova che Sarah ha tardivamente consegnato – che il corriere che tutti stanno cercando potrebbe non lavorare per Havlock, ma per la CIA. Per la prima volta, la serie accenna a una complessità politica e morale che finora aveva solo sfiorato. La CIA come possibile burattinaia dell’intera vicenda apre un ventaglio di possibilità narrativa interessanti: chi tira davvero le fila? E fino a che punto Frank è solo una pedina inconsapevole?
Anche la figura dell’agente Sydney Scofield diventa improvvisamente più ambigua.
È una vittima del sistema, manipolata e ingannata, oppure sta giocando la sua stessa partita nell’ombra? Il rapporto con Havlock resta il punto più enigmatico della serie, e in questa puntata si percepisce, finalmente, una tensione più sottile, fatta di sospetti e doppiezze. Non tutto è risolto, anzi: molti snodi restano nebulosi, ma almeno qui l’ambiguità lavora a favore della storia. È la prima volta, da qualche episodio, che The Last Frontier sembra ricordarsi di essere un thriller politico, e non solo una vicenda familiare in mezzo ai ghiacci. Eppure, anche la parte thriller non riesce a spiccare davvero il volo. La tensione è costruita più a parole che per immagini, e la narrazione continua a preferire la staticità alla suspance. Come abbiamo già sottolineato nelle precedenti recensioni, ogni volta che l’azione sembra poter esplodere, qualcosa la smorza. Il problema più evidente di The Last Frontier è che i suoi personaggi non evolvono. Frank, che nelle prime puntate sembrava lacerato tra il dovere e il rimorso, ora appare intrappolato in una routine narrativa fatta di intuizioi geniali e scatti di rabbia.

Tutti i personaggi sembrano muoversi su binari già tracciati, senza mai sorprendere, senza mai far intravedere davvero qualcosa di nuovo. Il risultato è una narrazione che procede, sì, ma senza slancio. Si ha l’impressione che ogni episodio voglia promettere un colpo di scena imminente, ma quando arriva, non cambia davvero nulla. Il vero nodo, però, resta sempre lo stesso: The Last Frontier non sa cosa vuole essere. È una serie che vuole troppo, e ottiene troppo poco. Vuole essere un dramma familiare, ma non scava abbastanza nelle relazioni. Ma vuole essere anche un thriller, ma non riesce a mantenere la tensione. Vuole essere un spy story, ma solo in alcuni momenti trova il coraggio di affrontare le implicazioni morali del proprio intreccio. Quando la storia si fa intima, l’intreccio spionistico si dissolve; quando torna la componente d’azione, i personaggi perdono consistenza. Eppure, proprio in questa puntata, si intravede tra le pieghe di una scrittura ancora incerta, la possibilità di un cambiamento.
Arrivati al quinto episodio, The Last Frontier sembra essere a un bivio.
Da una parte, la possibilità di far convergere finalmente le sue molte anime (la tensione del thriller, il mistero della spy story, la dimensione umana del dramma). Dall’altra, il rischio di restare intrappolata nel limbo in cui si trova ora: una serie che vuole emozionare, ma non coinvolge; che vuole sorprendere, ma non riesce a costruire davvero la sorpresa. La puntata di questa settimana, con la sua alternanza di momenti riusciti e scelte poco credibili, ne è il simbolo perfetto. E se è vero che qualche spunto interessante comincia ad affiorare, è altrettanto vero che lo spettatore, ormai, segue più per curiosità che per reale investimento emotivo. The Last Frontier non è una cattiva serie, ma è una serie che non sa ancora chi vuole essere. E finché non troverà una voce unitaria, continuerà a somigliare ai suoi stessi personaggi: confusa, divisa, costantemente in cerca di sé.







