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Le serie distopiche funzionano quasi sempre, non per caso: perché guardiamo un futuro che fa male

Negli ultimi anni sono uscite numerosissime serie tv distopiche che riscuotono sempre un discreto successo, se non proprio un successone. È il caso di The Handmaid’s Tale, Snowpiercer, The Man in the High Castle, o il pluricitato Black Mirror solo per nominarne alcuni.

Solitamente ci sono alcune caratteristiche ricorrenti in queste serie. Un regime politico molto rigido e dittatoriale (nel più ottimista dei casi oligarchico) in cui la propaganda la fa da padrone, forti disuguaglianze sociali, privazioni di qualsivoglia genere e una condizione ecologica disastrosa. Il tutto sapientemente mescolato con abbondanti dosi di aggressività e violenza. In tempi recenti vanno anche molto le epidemie globali, vedi per esempio In to the lake o il più recente Sweet Tooth, in cui virus misteriosi fanno fuori buona parte della popolazione mondiale. Queste serie raccontano di tutto ciò che potrebbe accadere all’umanità in un futuro non troppo lontano. Ed è abbastanza comprensibile come la curiosità sia ciò che ci spinge a guardare delle possibili previsioni. Chi in fondo non vorrebbe dare una sbirciatina al destino che ci aspetta?

Certo c’è futuro e futuro

Un futuro utopico prevede delle previsioni così rosee su ciò che accadrà da sembrare quasi impossibile. Il suo esatto contrario è il futuro distopico, quindi talmente brutto da sembrare possibile.

Ed è proprio di un futuro nefasto che stiamo parlando, un futuro così brutto da essere disturbante. Un futuro orrendo, ma che a ben vedere, in fondo in fondo, era inevitabile. Sono sempre estreme condizioni di un qualcosa che già nel nostro presente esiste o stiamo facendo. Per questo è così doloroso, perché è probabile.

Probabile che un estremismo religioso ci faccia piombare nella Gilead di The handmaid’s tale. Probabile che lo smodato uso della tecnologia ci costringa agli orrori di Black Mirror. Probabile che l’iniqua distribuzione della ricchezza scateni lotte di classe degne dello Snowpiercer. Probabile che l’avidità non si plachi nemmeno fra chi ha conquistato gli Stati Uniti come in The man in the High Castle. Probabile che la paura della morte ci spinga a diffidare del diverso, persino dei bambini come in Sweet Tooth.

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E ovviamente tutto questo non può che portarci alla rovina. Nel peggiore dei casi magari anche ad una vera e propria lotta alla sopravvivenza. Così evoluti eppure così arretrati.

Ma perché ci piace così tanto guardare le serie distopiche, se ci tolgono le speranze?

Perché è un futuro possibile si, ma ancora lontano. Non ci sta succedendo ora, non siamo ancora al limite del baratro. In fondo siamo ancora in tempo. La grande dote del genere distopico è senz’altro quella di farci riflettere. Possiamo notare come ancora non siamo arrivati a tanto, siamo in tempo, possiamo scongiurare un pericolo. Ci basta cambiare qualcosa, migliorare un pochino. Possiamo ancora essere padroni del nostro destino. Le serie tv distopiche sono come le favole di Esopo. C’è una morale implicita che ti porta ad una inevitabile riflessione su te stesso e sul tuo comportamento. Un insegnamento a tutti gli effetti, ma mentre sei ancora al sicuro.

E questo a ben vedere, è l’equivalente di un grido di speranza. Perché in queste storie c’è ancora una speranza, magari davvero ridotta ad un lumicino, ma c’è e risiede in ciò che di buono rimane nel mondo.

Piace a tutti sapere che coltivare la cultura, la tolleranza, l’arte, la natura e la bellezza sarà ciò che ci renderà liberi. Già, perché in tutte queste serie, in cui l’umanità è sempre soggiogata a qualcosa, c’è il modo per tornare ad essere liberi.

Perché c’è sempre una falla. Esiste sempre qualcosa capace di creare una crepa anche nel più rigido dei sistemi e non possiamo non identificarci con esso. Ci piace immedesimarci nell’eroe della resistenza, nel dissidente che non ha paura di nulla. Ci piace vedere come è possibile mantenere l’umanità in un mondo disumano, come alcuni siano così buoni da sacrificare loro stessi per il bene delle generazioni future. Vogliamo vedere come possiamo essere persone migliori, come dobbiamo essere coraggiosi e combattere contro ciò che ci sta rovinando. Come la ribellione sarà la nostra salvezza.

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Il genere distopico esiste e sopravvive da decine e decine di anni, il primo libro del genere risulta addirittura agli inizi del 1900. Ma non sottovalutatelo, non pensate che ormai sia saturo o troppo mainstream. È vero, fra film e serie ormai si sono visti tutti i possibili regimi totalitari, oltre ad ogni scenario post apocalittico immaginabile, ma non datelo per scontato. Ciascuna possibilità che darete alle serie distopiche sarà uno spunto di riflessione che darete a voi stessi. Sarà un possibile errore da non fare, una conquista. Un aiuto a non dare nessun aspetto della propria vita per ovvio, sia esso semplicemente leggere un libro, possedere una penna o avere la possibilità di esprimere un’opinione.

D’altronde se gli sceneggiatori ancora immaginano (o rielaborano) serie distopiche è anche per mantenere vivo un dibattito su tempi sempre attuali. Il nostro presente vive in questo strano domani ed è qui e ora che possiamo creare qualcosa per assicurarci il miglior scenario possibile dopo.

Guardare un mondo doloroso e disumano può sembrare una sofferenza inutile. Ma saper riconoscere e apprezzare il messaggio che ne deriva è ciò che ci permette di sapere che, in realtà, non saremo mai gli artefici di quegli orrori.

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