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The Diplomat: orgoglio e diplomazia sono dei gran pettegoli

Serie che ha ottenuto un immediato riscontro positivo tra il pubblico, un po’ meno dalla critica e dagli addetti ai lavori, The Diplomat è uno dei nuovi gioielli della corona di Netflix.
Gli otto episodi di cui è composta la prima stagione sono stati rilasciati il 20 aprile di quest’anno e il successo ottenuto ha portato a un subitaneo rinnovo per una seconda stagione (voci di corridoio hanno già previsto l’uscita per la fine del 2024).
Come showrunner di questo political thriller drama c’è Debora Cahn, un passato tra The West Wing, Grey’s Anatomy e Homeland, la quale si detta “felicissima di proseguire quest’avventura insieme a un cast eccezionale” tra i quali spiccano Keri Russell (Felicity e The Americans), Rufus Sewell (The Man in the High Castle), Ato Essandoh (Blood Diamonds), David Gyasi (Carnival Row), Ali Ahn (Billions) e Rory Kinnear (Penny Dreadful).

Grazie alla sua esperienza come sceneggiatrice Debora Cahn è riuscita a rendere The Diplomat un prodotto abbastanza sui generis scegliendo i migliori ingredienti dalle serie in cui ha lavorato. Mescolando bene ne è venuta fuori uno show la cui vicenda potrebbe portare il mondo sull’orlo della Terza Guerra Mondiale, condita con brevi momenti di ironia, tali da alleggerire la tensione costante permettendo allo spettatore di tirare il fiato.
Rimandi e citazioni, per chi conosce le serie nelle quali Debora Cahn ha lavorato, si susseguono rapidamente permettendo a chi guarda di riconoscerle e di sorriderne. Per chi, invece, è al suo primo appuntamento con un genere che gli americani sanno davvero fare bene, resterà sorpreso piacevolmente tanto da divorare una puntata dietro l’altra.

Un importante contributo alla narrazione lo danno chiaramente gli attori protagonisti capaci di infondere nei loro personaggi una credibilità non da poco. L’impressione superficiale è quella di averli già visti e rivisti in mille altri spettacoli del genere. In realtà primari e comprimari hanno, ciascuno a modo suo, una verve che li caratterizza rendendoli unici, perfettamente funzionali e persino indispensabili allo show.
Come sempre accade i personaggi instaurano attraverso la trama una serie di relazioni tra loro. E mai come nel caso di una storia che parla di un’ambasciatrice e del suo entourage le relazioni sono importanti.

The Diplomat
Keri Russell e Rufus Sewell 640×360

Will Durant, storico e filosofo americano, una volta espresse un pensiero: “Non dire nulla, specialmente quando si parla, è metà dell’arte della diplomazia“. Ora, considerato che uno show televisivo muto sarebbe di una noia mortale, i protagonisti di The Diplomat, ciascuno nel suo ruolo, di cose da dirne ne hanno eccome. E se si potessero rendere visive le interazioni tra i vari personaggi attraverso uno schema si scoprirebbero cose interessanti. Per esempio che Kate (Keri Russell) parla con tutti e non soltanto in qualità di ambasciatrice. Un altro personaggio gran chiacchierone è certamente il marito di lei, Hal (Rufus Sewell), anche lui capace di interagire con tutti. Gli altri, invece, vuoi per nazionalità, vuoi per ruolo, vuoi per estrazione sociale, non hanno reciprocità con tutti lasciando nello schema delle caselle vuote ma evidenziando comunque delle preferenze negli scambi.
Eidra (Ali Ahn) e Stuart (Ato Essandoh), per esempio, rispettivamente capo della stazione CIA a Londra e vice capo della missione diplomatica americana all’ambasciata. I due lavorano a stretto contatto giornalmente e, fuori dall’orario di lavoro, sono anche partner.
Oppure il primo ministro britannico e il suo ministro degli esteri che cercano di risolvere una crisi in maniera opposta, uno con i bombardamenti e l’altro con la diplomazia.
O ancora il presidente degli Stati Uniti e il suo capo di gabinetto che scommettono su Kate in qualità di ambasciatrice prima e vicepresidente dopo. E perché no, mettiamoci pure la sorella del ministro degli esteri inglese e una sorta di eminenza grigia rappresentata da una influente membro del partito conservatore inglese.

I nostri eroi vivono con orgoglio e fierezza i loro ruoli. Ciascuno nel suo è probabilmente il migliore al mondo e come tale convinto di dover dire la sua obbligando gli altri ad ascoltarlo. Un pizzico di egocentrismo per arrivare a certi livelli è d’obbligo. Ma anche una forte capacità di adattamento e di resilienza quando si ha a che fare con un mondo, quello della diplomazia, dove le parole hanno un peso e almeno un secondo se non un terzo significato sottintesi.
Henry Kissinger diceva che “la diplomazia è l’arte di frenare il potere“. Quel potere che, nella serie, vorrebbe distruggere il mondo scatenando una guerra contro un nemico e poi un altro senza sapere con assoluta certezza chi, effettivamente, sia colpevole di aver innescato la crisi mondiale con un attentato a una portaerei inglese. Iran? Russia? Mercenari al soldo di un oligarca? Fatti? Pochi. Parole? Molte, decisamente troppe.

Con l’idea di preservare una pace mondiale già minata a causa della guerra in Ucraina in The Diplomat va in scena la rappresentazione di uno scontro che aleggia nell’aria: quello tra chi vuole primeggiare e chi, invece, preferisce restare nell’ombra. Una sorta di rivisitazione del classico cattivi contro buoni anche se in questo caso, i cattivi non sono propriamente tali ma, piuttosto, bisognosi di mettersi in mostra. Così da una parte troviamo Hal, ingombrante ex ambasciatore che tutti stimano e considerano un eroe, egocentrico autoreferenziale, e terribilmente annoiato, segue la moglie, dalla quale è in procinto di separarsi, a Londra risultando insopportabile e scomodo; l’influente membro del partito conservatore, amica di Hal, i cui interessi sono quelli di rendere di nuovo grande la Gran Bretagna e per farlo ha bisogno di instillare nel Primo Ministro il virus della megalomania; il Primo Ministro che dopo essersi infettato dal virus è pronto a scatenare una potenza armata che non ha contro nemici che non conosce; e il Presidente degli Stati Uniti troppo vecchio e privo di carattere per non agitarsi al vento come una banderuola.
Dall’altra parte della barricata, invece, troviamo tutti gli altri con, in testa, Kate, in procinto di raggiungere l’Afghanistan per aiutare le donne a sopravvivere ai talebani e mandata a Londra a cercare di impedire la fine del mondo; Eidra, che vive nel mondo delle spie non fidandosi mai di nessuno; Stuart, che conosce tutto dell’ambasciata, dell’etichetta e delle liasons diplomatiche; il capo di gabinetto del Presidente che pacifica dove può e funge da badante; il ministro degli esteri inglese, ambiguo come una spia perché desideroso di non compromettersi ma al tempo stesso assetato d giustizia; e sua sorella, spirito libero ma tormentato da un passato doloroso.

Keri Russell e David Gyasi 640X360

Ciascun personaggio è un eccellente animale politico che conosce perfettamente i trucchi del mestiere. E nei continui incontri che si svolgono, tra due o più parti, è capace di sfoderare colpi da maestro per cercare di portare a casa il risultato migliore. Col rischio, forse, di mandare a rotoli il mondo intero.
Ponendo dunque molta attenzione durante i vari incontri, e nel dietro le quinte organizzativo di ciascuno di essi, si possono percepire i suoni agghiaccianti delle crepe della diplomazia che si allargano in maniera inesorabile per colpa dell’orgoglio di alcuni personaggi.
Noi comuni mortali sopravviveremo? Pur non conoscendo ancora la seconda stagione di The Diplomat un’idea ce la siamo fatta. Sì, sopravviveremo. Anzi, per quel che si è visto finora saranno loro, gli attori in gioco, a sacrificarsi per noi (anche perché l’idea che il mondo vada a rotoli per colpa di certi personaggi è alquanto deprimente!).

Sono diverse le serie in cui l’affascinante mondo della diplomazia viene inscenato. Per non parlare di quelle di spionaggio che la diplomazia la usano, la sfruttano e poi se ne liberano nel primo cassonetto dell’indifferenziata. Debora Cahn, della diplomazia, se n’è innamorata nel momento in cui ha incontrato un’ambasciatrice americana in un meeting privato con i creatori di Homeland: “avevo sempre pensato che fare l’ambasciatore fosse bere cocktail a un party ma la donna che avevo di fronte, invece, era tutt’altro“. Un’idea abbastanza comune, effettivamente, suffragata anche dagli addetti ai lavori che hanno descritto il lavoro alla Corte di St James come “di rappresentanza e affidato a politici o finanziatori della campagna presidenziale“.
Debora Cahn, però, non si è fatta scoraggiare e ha creato un mondo dentro il quale poter inserire i suoi personaggi, orgogliosi e diplomatici, testardi e scaltri, decisi a perseguire i propri interessi, i quali ballano ciascuno una musica diversa creando una interessante, quanto complessa, partitura che va oltre la dodecafonia. E in mezzo a loro la povera Kate, capace di versare lacrime amare per non essere in Afghanistan a fare realmente qualcosa di concreto circondata dal marito incapace di farsi da parte, da un presidente anziano e smemorato, da un aiutante eccessivamente ligio ai doveri, da un capo stazione CIA malfidente, da un ministro degli esteri che è alleato un giorno sì e l’altro no, e da un primo ministro desideroso di acchiappare consensi con una guerra che nessuno vuole.

The Diplomat è puro intrattenimento. Pur prendendo da The West Wing e da Madam Secretary, da Political Animals e da Homeland, ci regala personaggi davvero interessanti, profondi e persino affascinanti. In lotta tra loro, proiettati verso un nemico del quale non si conosce ancora nulla, orgogliosi e diplomatici viaggiano nel campo dell’informazione e della conoscenza che paiono più pettegolezzi che altro. Del resto, come diceva il giornalista americano Walter Winchell: il pettegolezzo di oggi è il titolo di domani“. Sperando che quel titolo, almeno nella nostra realtà, sia pace, scritto a caratteri cubitali.