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Il Muro del Rimpianto – The 100, il potenziale sprecato di una serie sulla sopravvivenza

Ogni narrazione è un percorso, una strada che ci accompagna attraverso luoghi nuovi e inesplorati. Fruirne è come viaggiare: all’immobilità fisica contrapponiamo un moto immaginativo. Non c’è in fondo molta differenza tra chi viaggia e chi si mette di fronte a una storia: ci sarà chi ha più l’attitudine del viandante, chi del pellegrino, chi dell’esploratore, ma poco cambia. Ogni volta che ci troviamo dentro a una narrazione nuova, dunque, che sia letteraria, filmica o seriale, ci stiamo incamminando lungo un sentiero sconosciuto e non sappiamo cosa ci attenda. Seguendo il paragone, l’elemento che più si lega al nostro ruolo di spettatori è il bivio. O meglio, la potenzialità del bivio. In questo concetto risiede il nostro più grande potere di fruitori: noi siamo sì, in parte, passivi nell’esperire quella storia, ma siamo attivi nell‘immaginarne possibili deviazioni. Con le serie questo poi capita spesso: finisce un episodio sul più bello e noi ci chiediamo, almeno fino alla visione di quello successivo, quale possibile strada prenderà la storia, a quale opzione cederà la narrazione. Quando poi scopriamo cosa accade, ecco che una delle strade che ci si erano prospettate nella mente viene come sbarrata da un muro. Talvolta non ce ne rendiamo nemmeno conto, ma altre non riusciamo a togliercelo dalla testa: eccolo lì a privarci del diritto di intraprendere quella strada, di scoprire quel mondo, di dare quel senso alla storia. É in momenti come questo che si fa largo in noi il rimpianto per quello che sarebbe potuto essere e non sarà. Andiamo avanti – viandanti, pellegrini o esploratori – lungo la via di quel racconto, ma nella testa torna spesso un pensiero, un’immagine: il Muro del Rimpianto.

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Per poter parlare dei numerosi rimpianti che un fan di The 100 può nutrire nei confronti di questa serie bisogna sicuramente iniziare con un paio di premesse e di contestualizzazioni.

The 100 è un prodotto a tema fantascientifico, ma non è assolutamente comparabile a livello di twist narrativi, performance attoriali e oggettiva qualità a serie dello stesso genere. Bisogna infatti ricordare che la serie è prodotta dalla CW – il network che ha creato anche The Flash, Riverdale e Supernatural – e che, come conseguenza, ha un target di ragazzini da conquistare. Ciò che però viene inizialmente presentato come l’ennesimo teen drama fantascientifico fatto male, dimostra sin dalla prima stagione un altissimo potenziale.

La serie è iniziata nel 2014 e ha dovuto superare un paio di polemiche e controversie: da attori che si sono licenziati per questioni di mobbing a furiose polemiche partite dai fan e che hanno messo in grande contrasto gli showrunner con i propri spettatori. Al di là di tutto questo – e al di là di alcune scelte di effetti speciali tutt’altro che riuscite – la serie è stata per molti una grande rivelazione per i temi trattati e per la costruzione di alcuni archi narrativi. Tutto ciò che è stato costruito, però, altrettanto semplicemente è stato snaturato: nelle ultime due stagioni la pura ambizione di stupire ha stravolto le regole e i valori di The 100, portando a una misera delusione.

the 100

La premessa di The 100 è tanto semplice quanto efficace: dopo una catastrofe nucleare gli unici umani rimasti in vita si trovano sull’Arca, una grande stazione spaziale dove alcune rigide regole permettono la sopravvivenza della società. Cento giovani delinquenti vengono spediti sulla Terra dopo un secolo per scoprire se il pianeta è abitabile o meno.

Da questa sinossi però si snodano molteplici storyline, più o meno verosimili, che portano numerosi colpi di scena: gli umani presenti sull’Arca non sono infatti gli unici sopravvissuti del genere umano. Questa rivelazione è stata il vero motore trainante di tutta serie fino all’ultima stagione: poi, improvvisamente, non sembrava bastare più.

Nel corso degli anni The 100 ha sviluppato il tema della sopravvivenza in maniera eccezionale, composita e avvincente: si succedono nelle varie stagioni domande di tema filosofico non indifferente. Chi decide cosa sia giusto o sbagliato? Cosa saremmo disposti a fare per salvare le persone che amiamo? Il fine giustifica sempre i mezzi? L’umanità merita davvero di sopravvivere dopo aver danneggiato irrimediabilmente il pianeta? La violenza è l’unica soluzione?

Da qui è facile immaginare il rammarico e il rimpianto per quello che è stato snaturato: una serie che parla direttamente a un target molto giovane avrebbe anche la responsabilità di mostrare un grande rispetto per l’intelligenza del suo pubblico. Ciò è stato portato in secondo piano e, avendo ormai la fine dell’ultima stagione alle spalle, è facile segnare i molteplici errori di The 100.

Uno dei temi che si è trasformato da punto di forza in punto debole è sicuramente quello riguardante l’evoluzione dei personaggi: sin da subito viene messo in chiaro che la moralità nella serie è complessa, non dicotomica, insomma realistica. Non esistono buoni per eccellenza, a partire dai protagonisti: arrivano sulla Terra come giovani criminali e, nel corso delle stagioni, si macchiano ripetutamente di colpe terribili. Imparano, e gli spettatori con loro, a portare il peso delle proprie responsabilità in nome di un ideale e di un valore apparentemente “superiore“: per Clarke è la giustizia, per Bellamy la famiglia, per Octavia l’orgoglio. Ciò comunque non li rende migliori agli occhi di nessuno: le complessità non vengono nascoste, ma neanche glorificate.

L’ultima stagione avrebbe dovuto dimostrare i limiti di questi personaggi, stanchi e ormai arrivati al capolinea della propria sopportazione: le loro azioni invece hanno del titanico (in senso negativo), del sovraumano e sembrano spinte da una forza di annientamento opposta al bisogno di sopravvivenza che, come detto, è sempre stato il tema trainante di tutto.

Un’altra ottima qualità di The 100, infatti, stava anche nel non risparmiare davvero nessuno: i personaggi che muoiono sono tantissimi e non sempre per ragioni nobili o importanti. Tutti sono in pericolo, anche i più importanti, e per rimanere in vita non basta pensare solo a se stessi.

Infatti molta della narrazione riguardava anche il senso di comunità, di appartenenza, di rispetto che cresce e matura col passare delle stagioni: il gruppo dei primi cento ragazzi sviluppa un legame molto profondo e importante col passare del tempo e ingloba personaggi provenienti da varie fazioni.

the 100 pilot

Il più grande rimpianto per The 100 deriva da una grande lezione sprecata: l’incapacità di mantenere fedele a se stessa la narrazione, portando innovazioni troppo tardi e troppo velcoemente all’interno della storia.

Prima di tutto il grande problema sta nella ciclicità: se nelle prime stagioni questo ripetersi costante di dilemmi è stato avvincente e ha permesso agli spettatori di chiedersi fin dove i protagonisti si sarebbero spinti, nelle ultime stagioni è evidente come questa scelta rappresentasse la pigra soluzione alla mancanza di inventiva degli scrittori. Anche nelle prime stagioni le situazioni si ripetevano in modo tragico, rappresentavano una sottolineatura per l’evoluzione del personaggio e del suo percorso: nell’ultima stagione, invece, niente sembra cambiare tra il prima e il dopo portando a soluzioni banali e poco convincenti.

Se le dinamiche possono rimanere sempre le stesse, ciò che deve cambiare, tra le tante cose, sono le reazioni dei personaggi davanti a tutto ciò: per rendere un arco narrativo interessante e non stantio The 100 avrebbe dovuto soffermarsi più sulla natura dei vari rapporti. Invece la serie non impara dai suoi errori, ma li ripete sempre più spesso e in modo così illogico da far infuriare tutti. Perchè continuare a porre davanti a Clarke il grande problema della sopravvivenza se poi tutto ciò che fa viene vanificato nel giro di due puntate?

Altro grande problema poi ha riguardato le semplicistiche soluzioni che si sono presentate sempre più spesso nel corso delle battute conclusive della serie: si potevano continuare a esplorare temi come il cannibalismo, la sindrome del sopravvissuto, il colonialismo, ma si è preferito utilizzare twist più banali e sanguinosi in nome di una violenza ingiustificata e inutile. The 100 non ha mai esistato di fronte alla messa in scena di atti cruenti, ma il loro utilizzo è stato fin a un certo punto sempre l’ultima risorsa: sebbene in alcuni momenti questo aspetto ha permesso di dimostrare a pieno i problemi che l’umanità da sempre si trova ad affrontare, sempre più spesso ha poi rappresentato semplicemente la soluzione più scioccante e senza senso che si potesse compiere.

Il più grande rimpianto di The 100 sta però nella gestione della storia finale: invece di ottenere un finale, definitivo o aperto non è importante, si è andati alla ricerca di una motivazione, creando una dietrologia alla serie che ha vanificato tutto e rendendo tutto ciò che è stato costruito nella maniera più blanda e incoerente possibile.

the 100

Gli alti e bassi della serie sono stati numerosi e tutti – dai fan allo stesso showrunner – ne sono consapevoli: se la seconda stagione e la quarta sono sicuramente dei momenti sperimentali e appassionanti, la terza e la quinta di contro hanno presentato molti più problemi.

Nella sesta stagione The 100 era riuscita a resettare tutto e permettere un nuovo inizio ai propri protagonisti. La trama di Sanctum aveva portato con sè nuovi problemi – e alcune volte nuovi twist a vecchi problemi – e sembrava il trampolino giusto per compiere un importante passo avanti nella storia. Aspettando l’ultima stagione non poche erano le speculazioni su come sarebbe finita la serie.

E’ stata però snaturata l’unica grande costante che rappresentava la più grande potenzialità della serie: la sua anima fantascientifica. Anche nei momenti più bui, The 100 è rimasto comunque un prodotto che permetteva ai propri personaggi di risollevarsi dalle situazioni più disperate grazie all’ingegno, le scelte e l’intraprendenza. Viene introdotto – in maniera troppo repentina e troppo incoerente – un tema come quello religioso che vanifica tutto il dolore a cui i personaggi sono sopravvissuti.

Le premesse – originali, intriganti e dinamiche – sono venute a mancare e come un castello di carta, tutta The 100 è collassata su se stessa.

Non solo l’introduzione di Bardo e il worldbuilding necessario per quella trama ha consumato troppo tempo nei pochi episodi rimasti, ma tutti i temi riguardanti sopravvivenza – chi merita di vivere e chi ha in mano il potere per decidere – vengono nullificati di fronte a una specie aliena, anzi divina, che porta con sè un inappellabile giudizio su tutto e tutti. Tutto ciò rivelato alla fine, dopo episodi su episodi di espiazione, sensi di colpa e vendette.

Una storia che sarebbe dovuta finire come iniziata, ovver grazie a scelte ed errori umani è stata invece in una narrazione che risolve il destino dell’umanità intera grazie alla scappatoia di un Ultimo Test, una fatidica prova che determinerà la condanna o l’assoluzione di tutta la razza umana.

The 100 sarebbe potuta essere una serie sulla vita, sull’umanità dei sentimenti, sulla pluralità dell’esperienza e sulla dura battaglia per la convivenza. Personaggi le cui parabole hanno sempre legato l’uno all’altra sono arrivati a odiarsi senza un vero motivo, a uccidersi senza cambiare nulla.

Clarke, il personaggio che in The 100 rappresenta allo stesso tempo il peggio e il meglio che l’umanità ha da offrire, diviene in questa stagione una pallida imitazione di se stessa: completamente egoista e senza scrupoli, si ritrova a ripetere jus drein jus daunsangue al sangue – mentre il suo personaggio aveva il potenziale di essere un leader giusto, ma non votato alla violenza o alla vendetta.

Anche la scelta di introdurre la Trascendenza deraglia completamente il percorso della serie: se c’è una cosa che non sarebbe mai dovuto mancare in The 100 questa è la speranza di poter ricominciare, la possibiltà di far meglio . Nell’ultima stagione invece la soluzione si trasforma in un ultimatum, in un’imposizione: i personaggi hanno due vie, entrambe di “morte”. Possono trascendere e diventare un qualcosa di alieno all’umanità o morire e sparire per sempre.

Il grave problema di questa sta nel finire con una soluzione tutt’altro originale alle storyline già presenti e accantonate nella serie stessa: la Trascendenza non è molto diversa dalla Città delle Luci della terza stagione. Renderela Trascendenza soltanto alla fine – e soltanto per alcuni – una “scelta” permette sì un lieto fine, ma cambia completamente tutto ciò che lo show era riuscito a costruire: se questo finale doveva rappresentare una conclusione di pace eterna per tutta l’umanità allora perchè non permettere di partecipare a ciò anche ai personaggi morti nelle scorse stagioni? Perchè lasciare loro – i veri innocenti – nell’oblio?

The 100 ha cercato fino alla fine di stupire il pubblico, ma per fare ciò si è persa un’ottima occasione per dare agli spettatori ciò che davvero meritavano da questa serie: una seria riflessione sulla morte, un’analisi sulla natura violenza o meno dell’uomo, un finale che confermasse come la tutto ciò che è stato fatto ha avuto, nel bene e nel male, delle conseguenze.

Ed è sicuramente questo il più grande rimpianto di tutti: la consapevolezza che tutto il potenziale di questa serie non è stato capito perchè è stato più facile deragliare e comporre un epilogo impensabile che lavorare con in testa ciò che davvero importa, donando agli spettatori un’evoluzione logica e realistica del mondo composito e saldo che è sempre stato tangibile nella serie, ucciso per un finale che non ha soddisfatto nessuno.

Addio The 100, may we meet again.

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