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L’anima noir di Sugar: Chandler, Ellroy, Bogart e l’eredità dei detective tormentati

Sugar, serie tv di Apple TV+

ATTENZIONE: L’ARTICOLO CONTIENE SPOILER SU SUGAR.

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Solo un tipo dall’aria irriverente e malinconica come Colin Farrell (qui le sue migliori interpretazioni) poteva riuscire nell’intento di portare sul piccolo schermo l’anima e il cuore del tipico detective privato hard boiled. Un duro vestito elegantemente, impeccabile nel portamento e nello stile, solitario e impavido nell’affrontare il pericolo e gli scontri corpo a corpo. John Sugar si muove tra le strade di una Los Angeles notturna che deve molto ai libri di Raymond Chandler e di James Ellroy. Una metropoli fatta di chiaroscuri, di vicoli inghiottiti dall’ombra, dove solo i fanali delle auto d’epoca di passaggio possono per un attimo fare luce sulle azioni torbide e criminali che accadono sotto al lenzuolo della notte. Tra le sue pieghe una ragazza è scomparsa e Sugar sta indagando per ritrovarla.

La ricerca diviene così il pretesto e il mezzo tramite il quale rendere omaggio al genere noir letterario e cinematografico. Non sarebbe esistito nessun Sugar senza Chandler ed Ellroy. O senza il detective Philipe Marlowe, impersonato dall’indimenticabile Humphrey Bogart nei film tratti dai libri dello scrittore anni ’30. E niente Sugar senza Orson Welles nell’Infernale Quinlan o Russell Crowe in L.A. Confidential, per fare un paio di esempi. Molte sequenze della serie, infatti, vengono intervallate da spezzoni di queste pellicole anni ’40 e ’50, fino ad arrivare a quelle più recenti. Il montaggio si trasforma in una dichiarazione d’amore appassionata, originale, colta e ricercata all’età d’oro hollywoodiana, incastrandosi magistralmente con la trama.

Nell’alternanza tra la vita a colori di Sugar e quella dei protagonisti in bianco e nero dei film del passato è racchiuso quindi tutto il sentimento del regista per il noir e la sua nascita.

Ogni movenza di John viene sovrapposta con una precisione incredibile a quella di Bogart o di Kirk Douglas, come se fossero l’uno la prosecuzione dell’altro e viceversa. Sugar impara i gesti, la mimica e le battute dei suoi idoli fino a farli propri. Dall’imitazione passa all’identificazione e all’essere uguale a loro. Tuttavia, quasi al termine della serie, la tradizione cede il posto all’innovazione, regalando a noi spettatori un nuovo genere, ibrido e sconvolgente.

Colin Farrell
Credits: Apple TV+

Perché diciamo questo? Perché Sugar apre le danze come un noir classico – persino la sigla ce lo ricorda – per poi assumere tinte… fantascientifiche.

Chi ha visto tutti gli episodi non può aver dimenticato il plot twist della sesta puntata. Uno dei colpi di scena più scioccanti che si siano mai visti in uno show televisivo. Ha diviso il pubblico? Sicuramente sì. È stato un azzardo coraggioso? Indubbiamente. Tuttavia, dato che i creatori della serie sono dei virtuosi, hanno saputo stupire e intrigare senza inciampare nel trash. Non è però solo il montaggio il linguaggio utilizzato per onorare l’età classica di Hollywood. Lo stesso John Sugar è un fanatico del cinema della Golden Age, tanto da trascorrere molte delle sue serate chiuso nell’appartamento del motel in cui vive a consumare pellicole su pellicole. Le colleziona, le vede e le rivede.

Possiede addirittura la pistola usata da Glenn Ford ne Il grande caldo. Un oggetto di cui va fiero non perché è un’arma ma perché è appartenuto a uno dei suoi idoli dei vecchi noir. E quando non è a casa a guardare film? Bè, naturalmente si reca in qualche locale malfamato e dalle luci soffuse, a sorseggiare un bicchiere di whisky con ghiaccio. Un altro cliché ereditato dai protagonisti dei libri di Chandler ed Ellroy. Tuttavia Sugar beve ma senza mai scomporsi. Sa reggere l’alcol come nessun altro, parla agli animali, aiuta i senzatetto, si ferma a osservare il riflesso delle foglie.

Il cinismo dei suoi predecessori viene sostituito da una sorta di curiosità candida, di generosità autentica, non ostentata.

Anche la galanteria nei confronti del sesso femminile è una caratteristica che solitamente non ritroviamo nei detective hard boiled. Questi ultimi intessono con le donne relazioni molto più complicate e conflittuali, spesso a causa di un ambiente sociale prettamente machista e corrotto. Invece Sugar, dal canto suo, incarna l’ideale del detective tormentato da qualcosa che, però, non riusciamo bene a definire (e che scopriremo durante l’ultimo episodio della serie).

Colin Farrell
Credits: Apple TV+

John è solo nella sua ricerca della verità ma non rifiuta l’interazione con il mondo e, cosa più rilevante di tutte, è continuamente assillato da domande di ordine etico e morale, come i suoi eroi cinematografici. Non ama la violenza ma il suo lavoro gli impone di usarla in alcune situazioni, soprattutto quando è chiamato a salvare la vita a sé stesso o a qualcuno che lo circonda. E sono proprio la violenza priva di censure, la crudezza e il realismo gli elementi principali e distintivi della storia di questo genere.

Nocche segnate, denti saltati, nasi rotti e occhi tumefatti, sigarette a non finire, notti insonni, whisky e jazz dissonante, rappresentano il lato oscuro della professione investigativa. In un contesto lavorativo fatto di turni infiniti, caffè, giri in macchina per una Los Angeles che non esiste più, i detective noir cercano la loro verità, a discapito dell’esistenza sonnacchiosa della grande metropoli.

I protagonisti descritti sulla carta, così come quelli hollywoodiani e lo stesso Sugar, rinunciano alla propria vita privata in nome di quella verità e della conoscenza cristallina dei fatti.

Cercano di scoprire quello che molti tendono a nascondere sotto il tappeto del perbenismo, per salvaguardare la faccia e la reputazione delle ricche e potenti famiglie legate all’industria cinematografica: produttori, attori e i relativi figli e nipoti fino almeno alla terza generazione. Questa doppia lettura della realtà che vede la vita viziosa e all’apparenza perfetta dei potenti demitizzata dal vero volto oscuro delle loro relazioni, rappresenta l’ennesima connessione tra la serie e i vari Ellroy, Chandler e Bogart.

Sugar però va oltre la figura dell’investigatore del passato nel momento in cui viene svelata la sua vera identità, cioè quella di essere un extraterrestre. L’uomo si trova sul nostro pianeta per osservarci, per capire come viviamo e quali sono le nostre abitudini. Ci guarda e poi riporta a matita, tra le pagine di un taccuino nero, le sue intuizioni e i nostri comportamenti. Sugar sceglie la professione di detective, tra le migliaia possibili, usando il vecchio cinema come mezzo di apprendimento della cultura umana. E se è vero che l’indagine in cui è coinvolto è la più classica tra i classici, ciò che fa la differenza è lo charme del protagonista.

Colin Farrell
Credits: Apple TV+

Il magnetismo di Colin Farrell non ha nulla da invidiare ai grandi Bogart, Ford e Mitchum che lo hanno preceduto.

Proprio come nei vecchi noir, la bellezza di questa serie sta tutta qui. Nel fascino di John, nella sua meraviglia nello scoprire un mondo che non conosce ma che lo attrae e che lo condurrà alla decisione di rimanere. Sugar non tornerà mai a casa – sul suo pianeta – ma continuerà a sedersi davanti a uno schermo, in compagnia dei suoi film preferiti, con un buon whisky accanto e un cane che ha adottato dalla strada.  

E mentre accade tutto questo noi spettatori non possiamo che osservarlo ammaliati, ascoltando la sua voce fuori campo – il suo flusso di coscienza – che commenta gli avvenimenti della sua professione. “Fa sì che le occasionali risse col coltello e i completi rovinati abbiano un senso. È un lavoro duro, ma costante”. Parla persino della “tristezza negli occhi” di alcune persone che incontra lungo le vie della città, dimostrando una certa sensibilità nei confronti della natura umana e dei suoi limiti. Così come nei confronti di una società e di una Los Angeles decadente e seducente, piena di contraddizioni.

Esattamente come ci ricordano le parole di Sid Hudgens (Danny de Vito) in L.A. Confidential: “La vita è bella a Los Angeles, è un paradiso sulla terra. Almeno, questo è quello che ti raccontano, perché ti vendono un’immagine. Te la vendono attraverso i film, la radio e la televisione”. O ancora:” Contenuto gastrico dell’omicidio al motel: attore disoccupato che si ciba di würstel, patate fritte, alcool e sperma. Bella come ultima cena, eh, tenente?”.

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