Vai al contenuto
Home » Serie TV

La storia di una delle sitcom italiane più particolari di sempre: Zanzibar, la nostra Cheers

Zanzibar, sitcom italiana degli anni Ottanta

Ogni giorno proviamo a raccontare le serie TV con la stessa cura e passione che ci hanno fatto nascere. Se sei qui, probabilmente condividi la stessa passione anche tu. E se quello che facciamo è diventato parte delle tue giornate, allora Discover è un modo per farci sentire il tuo supporto.

Con il tuo abbonamento ci aiuti a rimanere indipendenti, liberi di scegliere cosa raccontare e come farlo. In cambio ricevi consigli personalizzati e contenuti che trovi solo qui, tutto senza pubblicità e su una sola pagina. Grazie: il tuo supporto fa davvero la differenza.

➡️ Scopri Hall of Series Discover

Facciamo un giochino, prima di iniziare: date un’occhiata più approfondita alla foto di copertina e provate a individuare tutti i personaggi raffigurati. Non sarà semplice, da un lato: sono i protagonisti di una sitcom di cui è persa ogni traccia intitolata Zanzibar, presi in un’immagine piuttosto sgranata. Dall’altra, però, sarà semplicissimo: gran parte di loro, infatti, hanno dato vita a carriere artistiche d’altissimo profilo.

Invece di rimandare all’ultima pagina del numero successivo, diamo subito la soluzione. I protagonisti sono, nell’ordine: Silvio Orlando, Karina Huff, Claudio Bisio, Gianni Palladino, David Riondino, Angela Finocchiaro, Cesare Bocci, Antonio Catania e Gigio Alberti. Un cast straordinario, senza ombra di dubbio. E così era anche nel 1988, con una differenza ovvia: in quel momento erano in gran parte dei casi all’esordio assoluto in televisione. Qualcuno era più conosciuto di altri: Karina Huff, per esempio, è stata una vera icona degli anni Ottanta al cinema e in tv, ma parliamo in generale di un cast di talenti purissimi che fino a quel momento si erano espressi principalmente a teatro o al cinema.

L’introduzione è utile per offrire un primissimo contesto a Zanzibar, una delle sitcom italiane più particolari di sempre. Nonché, purtroppo, una delle meno ricordate.

Un peccato, assoluto: andata in onda per 41 puntate nel corso del 1988, fu un esperimento televisivo interessantissimo. Trasmessa su Italia 1 in seconda serata, non ebbe un grande successo quando fu trasmessa: i nomi del cast, tuttavia, dovrebbero rendere l’idea del potenziale di una sitcom che rappresenta per molti versi un unicum nel panorama italiano. Un unicum sì, anche se figlio di contesti ben chiari.

Zanzibar, infatti, nasce dall’incontro tra la fucina dello Zelig, indimenticato locale milanese che negli anni Ottanta sfornò una lista notevole di grandi nomi, e Fininvest. Al termine degli anni Ottanta, infatti, non mancava lo spazio per le sperimentazioni audaci, anche nel campo delle sitcom. In un caso, con l’adattamento di un format internazionale: non un vero e proprio remake, ma un prodotto in qualche modo affine. Nel caso di Zanzibar, il riferimento principe è un nome che fa parecchio rumore: Cheers. Ne abbiamo parlato più volte (e in un caso l’abbiamo fatto con una motivazione stranissima), e non è un caso: si tratta, d’altronde, di una sitcom che ha scritto alcune tra le pagine più significative della storia delle serie tv. Nel 1988, allora, si decise di dar vita a Zanzibar, una sorta di versione omologa all’italiana.

Cheers
Credits: NBC

Dopo lunghe e approfondite ricerche, c’è da dire a questo punto che le informazioni a disposizione non siano poi così tante. È importante, però, offrire uno spaccato per quanto possibile esaustivo.

Al pari di Cheers, Zanzibar è infatti il nome di un bar milanese in cui si raduna un gruppo variegato di persone. A differenza della sitcom con Ted Danson, però, quello che negli States era un luogo in cui sentirsi a casa, qui è una sorta di porto di passaggio in cui passano del tempo insieme i personaggi più disparati. Da un proprietario seduttivo un po’ troppo proiettato nel futuro a un meccanico comunista, passando per un tramviere napoletano che napoletano non si sente poi così tanto, una cameriera dai sogni erotici (molto) vividi, un immigrato pakistano che cerca di trovare la sua strada a Milano e molti altri, Zanzibar prende vita con un’alchimia immediata.

Diviene così un centro di gravità sui generis, definito su un linguaggio peculiare che abbraccia la tradizione del genere con un piglio avanguardista e sorprendentemente metanarrativo. Un ufo nel contesto italiano del periodo e, salvo rare eccezioni, anche sul fronte globale. I dialoghi sono serrati e il tono da commedia corale: a differenza della serie americana, che faceva dell’accoglienza e della convivialità la propria anima, Zanzibar era però fredda, surreale, quasi alienata. Dove Cheers celebrava l’America popolare e calorosa, Zanzibar raccontava una Milano intellettuale e disillusa fatta di artisti, pubblicitari e cinici da happy hour ante litteram.

Era la Milano degli anni Ottanta che incontrava il cambiamento e una dimensione più cosmopolita con certezze che in tanti casi arrivavano ancora dai decenni precedenti. Nel porto di Zanzibar si creavano così dinamiche inedite: era lo specchio fedele di una fase di passaggio fondamentale per quella realtà urbana, seppure passata sotto una lente d’ingrandimento convintamente comica e, di conseguenza, esasperata.

Niente risate registrate, nessuna morale. Il suo è un linguaggio da cabaret filmato, più vicino alle lezioni di Dario Fo o Enzo Jannacci che alla visione della NBC di turno.

Silvio Orlando nella sigla di Zanzibar
Credits: Fininvest

Nel locale milanese che le dava il titolo, tra un bicchiere e una battuta, si incontravano l’ironia trascinante di Claudio Bisio, l’imprevedibilità comica di Angela Finocchiaro, l’intensità di Silvio Orlando e la vena filosofica di David Riondino, arricchita da inserzioni musicali molto originali. Nel mezzo, un caleidoscopio di personaggi che trovano la propria autenticità fin dal primo momento, pur inserendosi in un contesto dai tratti grotteschi.

Il merito è soprattutto del cast, più che affiatato: grazie all’esperienza del Zelig e le collaborazioni con Gabriele Salvatores, gran parte di loro avevano già condiviso delle esperienze importanti negli anni precedenti. Riguardarla oggi, a distanza di quasi quarant’anni, è un’esperienza sorprendente: Zanzibar ha il merito indubbio di aver importato un prodotto internazionale con un’identità molto specifica e averla fatta sua con una chiave personale, senza avventurarsi in pigre vocazioni esterofile. Il suo laboratorio sperimentale racconta, a distanza di tempo, un’idea di serialità che molto ha da insegnare alle generazioni successive: invece di poggiarsi alle certezze di un format che avrebbe dato tanto con adattamenti meno drastici, si è scelta una chiave molto più visionaria. Di conseguenza, rischiosa.

Rischiosa sul piano dei numeri, almeno. L’esperimento di Zanzibar, infatti, non funzionò granché bene.

Il pubblico italiano non era evidentemente pronto a tutto ciò. In un periodo in cui si affacciavano all’orizzonte sitcom nazionali dall’impronta più tradizionale e rassicurante, la rivoluzione di Zanzibar si perse nel palinsesto per un periodo limitato, facendo perdere rapidamente le proprie tracce. A differenza di altre sitcom che segnarono fortemente la storia Fininvest di quel periodo, come per esempio l’istituzionale Casa Vianello, la generazionale I ragazzi della 3ª C o la più vicina Emilio (quest’ultima nata dall’esperienza fortunatissima del Drive In), Zanzibar non riuscì ad affermarsi agli occhi del grande pubblico, disorientato da un linguaggio e da uno sviluppo delle tematiche dall’impronta impegnata sul piano socioculturale.

Sarebbe scorretto, però, parlarne nei termini dell’insuccesso, al di là dei dati più oggettivi. Zanzibar ha dimostrato per un breve periodo come si potessero combinare le esperienze innovative del cabaret col teatro comico d’autore e l’evoluzione dei codici televisivi. Regalandoci così un prodotto maturo e consapevole dal primo all’ultimo minuto.

Un gioiello che, al di là di alcune specificità, è invecchiato piuttosto bene. E che ci ha lasciato in eredità, oltretutto, un’ampia gamma di nomi che ancora oggi sono protagonisti assoluti del cinema, del teatro, della tv e della comicità in generale.

Mentre il panorama odierno è caratterizzato sempre più da sguardi rivolti all’assecondamento della nostalgia e dall’imperativo di procedere solo con ampie garanzie preliminari, gli anni Ottanta erano capaci di proporre in seconda serata, su una tv in ascesa, un prodotto con un valore artistico dal forte rilievo. Non andò bene, ma va bene così: la storia di Zanzibar, sepolta sotto le luce di successi ben più altisonanti, meritava di riemergere dalle ceneri di un’epoca perduta. E fa riflettere, non poco: sarebbe bello vivere ancora in un mondo in cui tutto ciò sarebbe possibile nella televisione contemporanea. Purtroppo, però, non lo è.

Antonio Casu