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9 Serie Tv sci-fi degli ultimi dieci anni che sono visivamente ed esteticamente sublimi

Il protagonista di Scissione, una delle serie tv in arrivo più intriganti del momento
Better Call Saul

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Le serie tv sci-fi non sono mai state solo un genere, piuttosto una lente per guardare il mondo da una distanza deformante. E l’estetica, oggi più che mai, è la forma di quella deformazione. Se negli anni ’80 e ’90 la fantascienza televisiva (pensiamo a Star Trek, Babylon 5, Stargate) puntava su scenografie funzionali, costumi iconici e un’estetica chiaramente teatrale o digitale, oggi il discorso si è fatto più intimo, più sporco, più malinconico.

Negli ultimi dieci anni, il futuro in televisione è spesso un passato che non guarisce. La patina lucida del “futuro ottimista” è stata abbandonata per lasciar spazio a una visione estetica molto più ambigua, stratificata e dolorosa. Le città sono decadenti, i cieli sono plumbei, i volti segnati. La tecnologia è una protesi dell’anima, un’estensione delle ferite.

Molte delle serie tv sci-fi più importanti degli ultimi anni devono la loro estetica a Blade Runner. Pensiamo a Altered Carbon, Cyberpunk: Edgerunners o anche Westworld (nelle sue fasi più cyber). Un altro filo rosso è l’estetica del corpo come campo di battaglia identitario. Scissione, Black Mirror, Maniac, Raised by Wolves, tutte serie che, pur diversissime, trattano il corpo come qualcosa da riscrivere, da potenziare o da cancellare.

Negli ultimi dieci anni, l’estetica delle serie tv sci-fi si è fatta più sporca e più sincera. E racconta, soprattutto, la nostra ansia di umanità in un mondo che si frammenta.

1) Scissione

Un'immagine del primo episodio della seconda stagione di Scissione, una delle migliori serie tv sci-fi uscite a gennaio
Credits: Apple Tv+

C’è una scena in Scissione (disponibile sul catalogo Apple TV+) in cui Mark Scout, seduto alla sua scrivania bianca, guarda dritto in camera. È un momento breve, quasi impercettibile, ma se aguzzando il nostro occhio interiore è evidente che qualcosa si sta spezzando dentro di lui. O forse, paradossalmente, si sta invece risvegliando. Una crepa nel vetro. Non è un climax, non è azione. È solo uno sguardo in mezzo al silenzio asettico di una scrivania che galleggia nel vuoto.

Moquette grigioverde, corridoi labirintici, luci crudelissime al neon. È tutto così perfettamente asettico da risultare alieno. L’intera ambientazione della Lumon Industries è un ossimoro visivo. L’ambientazione retrò, che strizza l’occhio agli anni Settanta, entra in contrasto con vibes palesemente futuristiche. La tecnologia è anacronistica (computer CRT, tastiere a blocchi), ma il concetto che sta dietro è disturbante: separare chirurgicamente la memoria tra “vita lavorativa” e “vita privata”. Due identità in un solo corpo, innie e outie, ma senza che comunichino tra loro.

Eppure non è solo la bellezza gelida della scenografia a rendere Scissione una serie visivamente sublime. È il modo in cui la macchina da presa abbraccia tutto questo. I campi lunghi, gli zoom lenti, i corridoi che si moltiplicano. Un occhio di orwelliana memoria che indugia silenziosamente sulle vite dei protagonisti scissi. Un’eco visiva del controllo, dell’assurdità burocratica, dell’ansia che conosciamo fin troppo bene.

Il concetto di “scissione” diventa una lente d’ingrandimento sullo straniamento emotivo della vita moderna in questa serie tv sci-fi.

Dentro l’ufficio, l’innie vive una vita a compartimenti stagni, priva di storia, di contesto, di fuori. Nel mondo oltre la Lumon, l’outie ignora le fatiche e le umiliazioni. È il sogno aziendale definitivo. C’è una malinconia visiva in Scissione che è difficile da descrivere, ma impossibile da ignorare. Ogni fotogramma non è mai sterile.

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