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6 instant cult che sono entrati nella storia delle serie tv con poche puntate

Fleabag

The Knick: la medicina come metafora della società

Credits: Cinemax

Tra le serie che hanno lasciato il segno pur con poche puntate, The Knick merita un posto speciale. Creata da Jack Amiel e Michael Begler e diretta interamente da Steven Soderbergh, è ambientata nel 1900 al Knickerbocker Hospital di New York. Al centro della trama c’è il dottor John Thackery, interpretato da un magnetico Clive Owen: un chirurgo geniale e innovativo, ma anche dipendente dalla cocaina.

Con due stagioni andate in onda tra il 2014 e il 2015. The Knick ha saputo raccontare la medicina come metafora della società. Le sfide tecniche della chirurgia di inizio Novecento diventano specchio delle tensioni sociali, dal razzismo all’ingiustizia economica. Accanto a Thackery, il dottor Algernon Edwards, un chirurgo afroamericano, combatte non solo con i bisturi ma con i pregiudizi del sistema.

La regia di Soderbergh è una delle chiavi del successo: immagini livide, luci fredde, un montaggio che trasforma le sale operatorie in teatri della vita e della morte. The Knick è cruda, disturbante, ma anche visivamente ipnotica. Non ha avuto il tempo di durare a lungo, ma è bastato per scolpire nella memoria degli spettatori un racconto unico, capace di intrecciare storia, scienza e psicologia dei personaggi.

Oggi è considerata una delle serie medical drama più sofisticate mai realizzate. Con pochi episodi, ha fatto quello che altre serie non sono riuscite a fare in anni: trasformare la chirurgia in un dramma esistenziale, raccontando il prezzo della genialità e le ferite della modernità.

Serie cult entrate nel cuore del pubblico con poche puntate

C’è un paradosso che accomuna tutte queste serie cult: la loro forza nasce anche dalla loro brevità. Fleabag ha scelto di fermarsi prima di ripetersi, The Office UK ha chiuso il cerchio con uno speciale, Freaks and Geeks e Firefly sono state cancellate troppo presto, My So-Called Life è rimasta sospesa. The Knick ha brillato intensamente per due sole stagioni. In ognuno di questi casi, l’assenza di “più puntate” non è stata una debolezza, ma il segreto della loro immortalità.

Sono serie che ci ricordano come la televisione non debba per forza durare a lungo per entrare nella storia. Anzi, a volte la grandezza si misura proprio nella capacità di dire tutto in poco tempo, di lasciare un segno netto, impossibile da dimenticare. Oggi, in un’epoca di binge-watching e di stagioni infinite, queste opere restano fari che illuminano un’altra via. Quella della brevità intensa, della voce chiara e definitiva. E allora, forse, il vero cult nasce così: quando una serie ci lascia troppo presto, ma proprio per questo resta per sempre.

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