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Un omaggio sentito a Michael J. Fox

Questo non sarà un coccodrillo, uno di quegli articoli che giacciono nelle redazioni dei giornali, aggiornati di tanto in tanto e pronti a essere pubblicati nel caso della scomparsa di una persona famosa. Perché, per fortuna, Michael J Fox è ancora vivo e vegeto, seppure gravemente debilitato dalla malattia che ormai lo accompagna da più di trent’anni tanto da averlo costretto ad abbandonare recentemente, in maniera definitiva, la recitazione.

Una vita di successo, fama, ricchezza. Michael J Fox ha tutto quello che un comune mortale, apparentemente, potrebbe desiderare. Tranne la malattia, ovviamente. Quel morbo di Parkinson che gli viene diagnosticato nel 1991, all’età di ventinove anni, da poco sposato, e con il quale tutt’oggi convive essendo una grave malattia degenerativa e incurabile. Al momento della diagnosi il medico curante pronuncia parole di condanna: all’attore non resteranno che dieci anni al massimo di attività. Ma da all’ora ne sono passati trenta e solo adesso Michael J Fox ha deciso di smettere per via degli effetti collaterali della malattia neurodegenerativa legati alla difficoltà nel parlare e nel ricordare le battute.
Ciononostante l’attore, nell’ultima bellissima quanto emozionante intervista rilasciata all’AARP (American Association of Retired Persons), si è detto ottimista e grato per tutto ciò che ha potuto fare ma soprattutto per come è diventato, sottolineando come la malattia lo abbia cambiato sì, ma come spesso accade, in maniera positiva.

Ma chi è Michael J Fox? Beh, per chi come me l’ha visto al cinema nel lontano 1985 interpretare Marty McFly, Michael J Fox è una sorta di mito, di leggenda, ma non solo. Avevo otto anni e non andavo praticamente mai al cinema ma per una qualche necessità impellente volevo a tutti i costi vedere Ritorno al futuro. Così costrinsi mio padre a portarmi, non so nemmeno io come vista la sua avversione per certi prodotti cinematografici. Ricordo perfettamente le sensazioni provate durante la sua prima apparizione sullo schermo, quando entra nella casa di Doc, con le Nike ai piedi e i jeans senza risvolti al fondo (ma beato lui!). Ricordo la voce del doppiatore, che ovviamente, all’epoca, consideravo quella di Michael J Fox, che pronunciava il nome di Einstein. E poi lui, che spinge lo skateboard con sopra lo zainetto che che finisce contro una cassa di plutonio, sistemata sotto il letto. E poi quando armeggia con gli interruttori di un gigantesco stereo al quale si collega con la chitarra suonando poi una semplice nota che lo scaraventa dall’altra parte della stanza contro una libreria, che gli crolla addosso.

Eccolo, il protagonista. Finalmente ne vedo la faccia nascosta da un paio di occhiali da sole. Una faccia limpida, giovane solare, intelligente. Un figo insomma, con quel suo piumino smanicato, che mi dava tanto l’impressione di libertà. Probabilmente Michael J Fox è stata la mia prima cotta cinematografica perché rappresentava non il solito, classico eroe a cui tutto riesce alla perfezione ma piuttosto il suo contrario: un ragazzo comune capace però di grandi cose, per me inimmaginabili.
Michael J Fox, nei panni del primo Marty Mcfly, non era soltanto un modello da imitare. Era, soprattutto, una versione più facilmente raggiungibile, viaggio nel tempo a parte, di quello che avrei potuto e voluto essere da bambino. Per questo ho seguito la sua carriera cinematografica e televisiva con partecipazione, molta in più rispetto a tanti altri nomi, anche più famosi.

Nato in Canada nel 1961, all’anagrafe conosciuto come Michael Andrew Fox, figlio di un militare e di un’impiegata con la passione della recitazione, ha abbandonato il liceo per trasferirsi negli Stati Uniti, a Los Angeles, per diventare attore. Al momento di iscriversi nei registri di uno dei più importanti sindacati per attori Michael decise di utilizzare la J al posto della A in onore del famoso caratterista Michael J (John) Pollard.
Nel 1982 gli viene assegnato il ruolo di Alex P. Keaton, giovane conservatore, ammiratore dell’allora presidente Ronald Reagan e appassionato della finanza di Wall Street, figlio di una coppia di ex hippie nella sitcom Casa Keaton, ruolo per il quale vinse tre Emmy e un Golden Globe. In una una intervista rivelò di aver contrattato la sua partecipazione nella sitcom da una cabina telefonica poiché non aveva il telefono fisso a casa.
Nel 1985 Eric Stoltz sta già girando alcune scene di Ritorno al futuro senza però convincere del tutto il regista. Robert Zemeckis, infatti, è convinto che il ruolo sia perfetto Michael J Fox il quale però al momento è irraggiungibile perché blindato dalla produzione di Casa Keaton che ha paura di perdere la sua punta di diamante. Dopo diversi tira e molla si raggiunge finalmente un accordo tra le due produzioni: dalle 10 alle 18 per la sitcom, e dalle 18 a notte inoltrata per il film.

Fino al 1989 Michael J Fox viene scritturato per commedie brillanti con le quali ottiene un grande successo sia di critica che di pubblico. Poi ottiene il suo primo e importante ruolo drammatico in Vittime di guerra, insieme a Sean Penn, diretto da Brian De Palma. Il film ambientato durante la guerra del Vietnam, non ottiene un grande successo al botteghino ma l’interpretazione di Michael J Fox viene comunque molto ben valutata dalla critica.
Nel 1991 mentre sta girando la commedia brillante Doc Hollywood si accorge di un leggero tremore alla mano seguito al quale, dopo diverse indagini mediche, gli viene diagnosticato il morbo di Parkinson. Prima di rendere pubblica la sua malattia (avvenuto nel 1998) Michael J Fox attraversa un periodo difficile durante il quale ha sofferto di depressione e di alcolismo. È proprio l’attore a raccontare in un’intervista come sia riuscito a uscirne fuori grazie alla moglie, Tracy Pollan, conosciuta sul set di Casa Keaton.

Dal 1996 al 2000 interpreta Mike Flaherty, vice sindaco di New York e protagonista di Spin City, una brillante sitcom di satira politica con la quale vince tre Golden Globe. Al termine della quarta stagione, però, l’attore, dopo aver dichiarato di essere malato deve lasciare lo show perché affaticato dai sintomi della malattia che si stanno facendo via via sempre più persistenti.
Il fatto di aver dichiarato apertamente il suo problema lo porta a creare una Fondazione dedita inizialmente alla semplice raccolta di fondi per la ricerca contro il Parkinson ma che nel corso degli anni è diventata uno dei più importanti punti di riferimento nella ricerca e nel sostegno dei pazienti affetti dalla malattia neurodegenerativa.

Dopo un paio d’anni durante i quali scrive un libro, Lucky Man: A Memoir, Michael J Fox torna solcare i set televisivi con due puntate in Scrubs, impersonando un chirurgo dell’ospedale affetto da disturbo ossessivo-compulsivo. Nel cercare di rende più veritiero il personaggio l’attore si rende conto di poter sfruttare a proprio vantaggio la sua malattia. È così che nascono le successive interpretazioni di successo: quattro episodi come malato di cancro terminale in Boston Legal (nomination Emmy come miglior attore ospite); cinque episodi in Rescue Me (vincitore di un Emmy come miglior attore ospite); ventisei episodi in The Good Wife (qui vi spieghiamo il finale) nel ruolo di un avvocato senza scrupoli che utilizza sintomi simili al Parkinson per manipolare le giurie (tre nomination Emmy consecutive come miglior attore ospite).
La carriera televisiva di Michael J Fox non è terminata qui, però. Ci sono ancora cinque puntate nella sfortunata serie Designated Survivor nelle quali la difficoltà a muoversi, cammina con un bastone, è ben evidente non è certamente recitata e un paio in The Good Fight, spin-off di The Good Wife.

Del segno dei Gemelli, alto 163 centimetri e con gli occhi azzurri, padre di quattro figli, chitarrista autodidatta, possessore di una stella sulla celebre Hollywood Walk of Fame, Michael J Fox è considerato da chi lo conosce come un grande ottimista, capace di mostrare gratitudine anche nei confronti della sua malattia che lo ha obbligato a spostare l’attenzione su ciò che ha anziché su ciò che non ha. Lui, ovviamente, si considera fortunato poiché ha mezzi che milioni di altre persone non hanno e questo è anche uno dei motivi che lo hanno spinto a creare la sua fondazione e offrire aiuto ai meno fortunati.
Avendo vissuto una vita piena e ricca di successi lavorativi Michael J Fox non ha rimpianti se non quello di aver rifiutato il ruolo di protagonista in Ghost ma, anche in questo caso, riconosce che non avrebbe saputo fare meglio di Patrick Swayze.

michael j fox

Come le scie di fuoco lasciate dalla DeLorean nel parcheggio del centro commerciale di Hill Valley, anche Michael J Fox ha lasciato tracce indelebili nella vita di chiunque l’abbia visto recitare sul piccolo o grande schermo. Perché uno come lui, capace di passare da un’auto in corsa all’altra a bordo del suo skate per arrivare a scuola, non può certamente passare inosservato. Negli anni Ottanta era considerato un’icona per gli adolescenti di allora, capace di rappresentare perfettamente lo spirito di quell’epoca, in espansione, proiettata senza paura verso il futuro. Oggi, da poco sessantenne e con le mille difficoltà dovute alla sua malattia, Michael J Fox personifica quella che dovrebbe essere l’evoluzione perfetta di un uomo, capace di crescere e maturare preparandosi con coscienza a un futuro che è, per tutti, un’incognita.
In un mondo che viaggia ben oltre le ottantotto miglia orarie, l’attore naturalizzato americano appare pronto ad affrontare il futuro senza bisogno di un’auto che lo faccia viaggiare avanti e indietro nel tempo, con quello spirito e quell’ironia che hanno caratterizzato i suoi personaggi. Del resto, quando sei in grado di dire che la tua malattia è utile per preparare eccellenti Martini chi ti sta attorno, o ti segue da lontano come ho fatto io in questi anni, non può che ringraziarti per le emozioni e il divertimento che hai saputo regalargli.

You don’t need money, don’t take fame / Don’t need no credit card to ride this train / It’s strong and it’s sudden and it’s cruel sometimes / But it might just save your life / That’s the power of love / That’s the power of love

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