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10 iconici episodi stand-alone che hanno rivoluzionato il genere fantasy e quello sci-fi

The Sandman è una delle serie tv in arrivo

7) Morte come meraviglia è il motto di “The Sound of Her Wings”

Una scena di The Sandman, fonte di un episodio stand-alone

Il sesto episodio della prima stagione di The Sandman, che ha appena lanciato la stagione 2 su Netflix, tratta un tema tra i più antichi e universali della narrazione umana. Ebbene, parla di morte, ma lo fa con una grazia, una delicatezza e una profondità che raramente si sono viste nel genere fantasy televisivo. Basato su due celebri numeri del fumetto originale di Neil Gaiman, l’episodio è uno stand-alone che si stacca radicalmente dal tono oscuro, mitologico e narrativamente denso dei precedenti, per offrirci qualcosa di più intimo, filosofico e rivoluzionario. Nel dettaglio, parliamo di una riflessione sulla vita, sulla fine e sull’eternità, vista attraverso gli occhi dell’Infinito.

L’episodio è diviso in due parti, ma entrambe ruotano attorno alla trasformazione del protagonista, Sogno. Dopo aver riconquistato i suoi poteri e il proprio regno, il Signore dei Sogni cade in uno stato di vuoto esistenziale. È la sorella, Morte, a offrirgli una nuova prospettiva, conducendolo con sé in un viaggio attraverso la vita degli esseri umani non per osservarne le fantasie, ma per accompagnarli nel momento più vulnerabile e reale: la fine. Ma The Sound of Her Wings stravolge l’immagine convenzionale della Morte nel fantasy. Qui non è una figura cupa e terrificante, né un’entità vendicativa o distante.

È empatica, luminosa, profondamente umana. Non prende la vita ma l’accompagna. E così facendo, ridefinisce l’immaginario collettivo di un personaggio archetipico del fantastico. In un genere che spesso tratta la morte come evento spettacolare o strumento narrativo per rafforzare il conflitto, questo episodio la presenta come qualcosa di inevitabile ma non necessariamente terribile. Gli esseri umani, nel momento in cui la incontrano, non sono terrorizzati, ma sorpresi, commossi, perfino rassicurati. E la vera conquista è umanizzare l’infinito, rendere l’immateriale non solo comprensibile ma emotivamente toccante.

Nella seconda parte dell’episodio stand-alone Sogno incontra Hob Gadling

Questi è un uomo al quale ha concesso l’immortalità per puro esperimento, incontrandolo ogni cento anni. Tale racconto parallelo, approfondisce la riflessione sul senso della vita e sul rapporto tra tempo, identità e solitudine. Hob, che inizialmente sembra un personaggio frivolo, si rivela invece testimone di cosa significhi davvero vivere: sbagliare, cambiare, desiderare, soffrire, eppure scegliere sempre di continuare. In questa sezione, l’episodio diventa quasi una fiaba moderna, con dialoghi brillanti e malinconici che raccontano il peso dell’eternità non come condanna, ma come ricerca continua di senso.

Dal punto di vista formale, The Sound of Her Wings è essenziale, quasi teatrale. Poche location e una regia che mette al centro gli sguardi e i silenzi. Ci ritroviamo, pertanto, con due fratelli eterni che osservano il mondo degli umani e ne imparano qualcosa. Questo approccio ha mostrato che il genere può essere contemplativo, poetico, persino filosofico, senza perdere potenza o fascino. Così, The Sandman ha dimostrato che il cuore del genere può battere anche nel sussurro, nella tenerezza, nella conversazione intima tra esseri immortali e fragili creature mortali. E “The Sound of Her Wings” insegna che anche l’Infinito ha bisogno di essere ascoltato. E ci ricorda, in fondo, che non è la paura della morte a definirci, ma la qualità con cui scegliamo di vivere.

8) “The Door” ha ridefinito tempo ed emozione degli episodi stand-alone

Una scena dell'episodio stand-alone The Door

Tra gli episodi che hanno segnato indelebilmente la storia del fantasy televisivo, “The Door”, quinto episodio della sesta stagione di Game of Thrones (qui gli errori più clamorosi della serie), occupa un posto particolare. Non solo per il trauma collettivo che ha provocato negli spettatori con la rivelazione finale sul personaggio di Hodor, ma soprattutto perché ha saputo fondere, in una sola mezz’ora di racconto, alcune delle qualità più rare nel genere. Tra le altre, la complessità narrativa, la forza mitica e l’impatto emotivo puro. È un episodio che funziona come stand-alone proprio per la sua coerenza interna e la sua struttura circolare, e che ha ridefinito il genere restituendogli un senso di destino tragico degno dei grandi racconti epici.

La puntata prende il suo titolo da una frase apparentemente banale: “Hold the door”. Ma questa frase, che nella quotidianità non ha nulla di straordinario, diventa la chiave per comprendere l’intera esistenza di un personaggio secondario. Tale che questi, in un attimo, viene elevato a simbolo di sacrificio, fedeltà e dolore. Hodor, figura mite, gentile, sempre presente ma quasi invisibile nella complessa scacchiera della saga, si rivela improvvisamente il cuore emotivo della storia. Il momento in cui la sua vita viene “spezzata” in due, nel passato e nel presente, da un evento che lui stesso non può comprendere, diventa un colpo di genio narrativo e un punto di svolta emotiva.

La scelta di connettere due linee temporali non è solo un esercizio di stile

È una riflessione potente sul tempo come prigione e come motore della tragedia. E The Door, al contrario, lo usa come condanna: l’idea che l’azione nel presente possa traumatizzare irrimediabilmente il passato è qualcosa di nuovo, oscuro, e profondamente destabilizzante. È, dunque, una rappresentazione perfetta del concetto di predestinazione. Di fatto, Hodor è nato per morire in quel preciso modo, e tutta la sua vita è stata il riflesso doloroso di quel momento che doveva ancora arrivare.

Narrativamente, l’episodio è costruito con una precisione chirurgica. Ogni scena che precede il finale, dai dialoghi a Winterfell alle visioni di Bran, prepara lentamente il terreno, senza mai rivelare troppo, fino alla deflagrazione dell’ultima sequenza. È un esempio perfetto di foreshadowing tragico, di montaggio emotivo, di uso del silenzio e della parola. Quando capiamo cosa significa “Hodor”, non solo lo spettatore viene colpito da una rivelazione scioccante, ma da una verità profondamente umana. A tal proposito, la vita può avere un senso che ci sfugge, un fine che ci schiaccia, una bellezza che nasce proprio dal sacrificio.

Nel panorama fantasy, “The Door” ha avuto un effetto duraturo. Ha dimostrato che il racconto epico può anche essere profondamente intimista. E che il mito non nasce solo dalle spade e dai troni, ma anche dal dolore di chi vive ai margini e sceglie, o è destinato, a proteggere gli altri a costo della propria vita. Non a caso, la parabola di questo stand-alone è una delle più compiute e toccanti mai viste nel genere. E, con un solo episodio, Game of Thrones ha mostrato la sua storia non solo evasione, ma anche eco profondo delle nostre paure più intime.

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