3) “Perchance to Dream”: quando il fantasy diventa una trappola interiore

Tra i tanti episodi che compongono la straordinaria antologia di Batman: The Animated Series, ce n’è uno in particolare che si distingue per potenza emotiva, finezza narrativa e profondità filosofica. Sto parlando di “Perchance to Dream”, il trentaduesimo episodio della prima stagione, noto anche con il titolo evocativo “The Tale of the Dark Knight”. Ma, a renderlo unico, non è soltanto la qualità della scrittura o l’invenzione visiva. Piuttosto, il fatto che riesce a portare il supereroismo dentro una dimensione onirica che appartiene pienamente al genere fantasy, rielaborandolo in modo radicale.
Questo episodio stand-alone, pertanto, non racconta una missione o una battaglia, ma una frattura della realtà. Si tratta, infatti, di una fuga mentale in un mondo perfetto. Qui Bruce Wayne non è mai diventato Batman, i suoi genitori sono ancora vivi e la sua vita scorre finalmente libera dal trauma e dalla solitudine. È un sogno, naturalmente, ma così seducente da diventare pericoloso.
La premessa, di per sé, è semplice. Bruce si sveglia in una realtà alternativa, dove Gotham è pacifica, lui è fidanzato, e la sua identità da vigilante non è mai esistita. Ma questa semplicità nasconde una struttura narrativa molto più sottile, che riprende alcuni dei grandi archetipi del fantasy classico. Abbiamo, appunto, il mondo parallelo, l’inganno dei sensi, l’illusione come prigione dorata, il ritorno a una realtà dolorosa ma autentica. L’episodio ci porta, come in un racconto di Borges o di Le Guin, all’interno di un universo in cui i confini tra ciò che è reale e ciò che è desiderato si sfumano fino a diventare indistinguibili. Inoltre, la magia qui è mentale, psicologica, e proprio per questo ancora più potente.
Quello che Bruce Wayne vive in questo mondo alternativo è una tentazione
Suona come la possibilità di essere felice, di rinunciare all’identità eroica in cambio di una vita finalmente serena. Ma è anche un inganno sottile, architettato da uno dei suoi nemici, il Cappellaio Matto, che usa la tecnologia per intrappolarlo nel proprio desiderio più profondo. Ciò che rende l’episodio memorabile è il fatto che non c’è bisogno di azione per tenere alta la tensione. Tutto si gioca all’interno della mente e del cuore del protagonista, che deve decidere se restare in un’illusione perfetta o affrontare di nuovo una realtà lacerante.
In questa scelta si annida il cuore tematico dell’episodio: la natura dell’identità, il prezzo della verità, la responsabilità dell’eroismo. Inoltre, “Perchance to Dream” è un episodio che ha avuto una lunga eco nel modo in cui il genere supereroistico ha cominciato a esplorare la soggettività, la fragilità psicologica e i limiti della coscienza. È difficile non vedere in questo racconto una sorta di anticipazione di episodi e opere successivi come WandaVision, Inception, o persino Moon Knight.
Qui la mente diventa il vero campo di battaglia
La dimensione fantastica diventa, dunque, uno specchio deformato delle nostre emozioni più profonde. A tal proposito, questo show ha aperto una via nuova, dimostrando che anche un cartone animato per ragazzi poteva affrontare tematiche complesse e adulte, usando il linguaggio del sogno come strumento narrativo dirompente. E in un contesto televisivo dove i supereroi erano spesso ridotti a semplici figure d’azione, Batman: The Animated Series ha osato trasformare il mito del Cavaliere Oscuro in una riflessione esistenziale. Non a caso, lo fa attraverso un fantasy intimo, claustrofobico, dove il più grande nemico non è un criminale mascherato, ma la possibilità di smettere di soffrire, rinunciando però a se stessi.
Alla fine, di fatto, Bruce sceglie di tornare alla sua realtà, sapendo che significa abbracciare di nuovo la perdita, il sacrificio, la solitudine. Ma è anche la scelta che riafferma chi egli è davvero. Così, il sogno perfetto si rivela una prigione. E la verità, per quanto dolorosa, diventa libertà. In questa scelta sta tutta la forza del racconto molto più adulto e consapevole. In quanto non viene percepito come un’evasione, ma come viaggio nell’abisso dell’identità. Ed è per questo che “Perchance to Dream” resta, ancora oggi, uno degli episodi più influenti e poetici mai realizzati nel panorama del racconto fantastico.
4) L’episodio stand-alone “The Zeppo” ha scardinato le gerarchie

Nel panorama televisivo degli anni Novanta, Buffy the Vampire Slayer si era già affermata come una delle serie fantasy più innovative e sovversive del suo tempo. Ma è con episodi come “The Zeppo” che questa sua natura sperimentale si esprime in modo radicale. Andato in onda nel 1999 come tredicesimo episodio della terza stagione, mi riferisco ad uno stand-alone che, pur collocandosi all’interno di una trama orizzontale ricca di sviluppi drammatici, si ritaglia uno spazio narrativo completamente autonomo. È uno scorcio in cui la protagonista non è Buffy, non è il destino del mondo, e nemmeno la battaglia contro l’ennesima apocalisse. Il vero centro della storia è Xander Harris, l’amico umano, privo di poteri e spesso relegato a spalla comica.
“The Zeppo”, pertanto, prende il suo titolo dal personaggio meno utile dei Marx Brothers, Zeppo, e lo usa come chiave di lettura per esplorare il senso di inadeguatezza di Xander, che si sente inutile in un gruppo di eroi sovrumani. È un’idea che, nel contesto fantasy, ha del tutto sovvertito le regole del genere. La narrazione classica ci ha abituati a seguire i prescelti, i forti, gli eletti. Coloro che, in virtù di un potere magico, di un lignaggio o di un trauma fondante, sono chiamati a salvare il mondo. Ma qui la prospettiva viene ribaltata. Così, mentre Buffy e gli altri combattono contro un’apocalisse imminente, Xander si ritrova coinvolto in una vicenda parallela. O meglio, un’avventura personale fatta di pericoli, comicità e una sorprendente crescita interiore e completamente ignorata dal resto del gruppo.
Lo scarto di punto di vista dell’episodio stand-alone è tutt’altro che banale
È un atto meta-narrativo che decostruisce il fantasy dall’interno, mostrandone i meccanismi e sovvertendone le priorità. L’apocalisse, di solito il fulcro narrativo del genere, avviene fuori campo. I dialoghi tra Buffy, Giles e gli altri, pieni di pathos e presagi, ci vengono mostrati solo di sfuggita, spesso ridotti a brevi accenni ironici. Il centro dell’episodio non è la salvezza del mondo, ma la ricerca di autostima e identità da parte di un ragazzo qualunque. E, in questo modo, “The Zeppo” rende eroico l’ordinario, senza bisogno di elevarlo al rango di leggenda. Xander non scopre di avere poteri nascosti, ma, semplicemente, agisce, prende decisioni, affronta la paura da solo e lo fa senza bisogno di testimoni. Nessuno saprà mai cosa ha fatto, eppure lui sa di averlo fatto. E questo basta.
A questo proposito, il prodotto non solo umanizza il genere, ma ne svela anche la struttura, rivelando come spesso i personaggi secondari vengano sacrificati sull’altare dell’epica. Ma non solo. È anche un momento profondamente ironico, capace di mescolare tono comico, tensione horror e introspezione psicologica senza mai perdere coerenza. Il risultato è un racconto che funziona a più livelli come parodia intelligente del fantasy stesso, come avventura individuale, e come riflessione sul valore dell’eroismo quotidiano. Episodi simili, come “Lower Decks” di Star Trek: The Next Generation, “The Other Side” di Stranger Things, o “Rosencrantz and Guildenstern Are Dead” in chiave teatrale, devono molto alla struttura inventata qui. Il motto è raccontare il grande attraverso il piccolo, e rendere universale la prospettiva di chi solitamente resta nell’ombra.







