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8 Serie Tv originali Netflix (non miniserie) che hanno avuto il raro pregio di risultare perfette dal primo all’ultimo episodio

5) Orange is the New Black

Orange Is the new Black è una delle prime nonché migliori serie tv Netflix
Credits: Netflix

Quando Orange Is the New Black debuttò fu tra le prime serie originali Netflix a segnare la rivoluzione dello streaming, perché nessuno si aspettava che una “dramedy carceraria” potesse diventare un manifesto umanista. Creata da Jenji Kohan e ispirata al memoir di Piper Kerman, la serie si è evoluta ben oltre il punto di partenza, diventando stagione dopo stagione un’epopea corale di donne dimenticate, imperfette e straordinariamente reali.

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La trama iniziale segue Piper Chapman (Taylor Schilling), WASP newyorkese finita in prigione per un reato di gioventù. Il suo ingresso nel carcere femminile di Litchfield è l’innesco per conoscere un microcosmo variegato, complesso, spesso comico ma sempre umano. Con il tempo, Piper si defila quasi come protagonista. Da Red a Taystee, da Crazy Eyes a Nicky, da Gloria a Daya, ogni personaggio riceve spazio, dignità e profondità. Sono donne, madri, figlie, migranti, tossicodipendenti, sopravvissute, vittime e carnefici, a volte tutto insieme.

Il valore aggiunto di OITNB è la sua struttura narrativa coraggiosa.

I frequenti flashback ci mostrano le vite fuori dal carcere, dando contesto e spessore ai personaggi. Ma la serie non si ferma al dramma individuale, affrontando temi sistemici con uno sguardo lucido e spesso spietato. Poi c’è l’umorismo, nero anzi nerissimo. OITNB riesce a far ridere e piangere nello stesso episodio, a volte nella stessa scena. E proprio questa ambivalenza la rende autentica.

Con la settima stagione, la serie abbraccia una dimensione quasi documentaristica, mostrando il destino delle detenute oltre le mura della prigione. E mentre i riflettori si spengono, resta la sensazione di aver conosciuto persone vere, non solo personaggi. Orange Is the New Black ha cambiato le regole del gioco. Ha aperto la strada a narrazioni inclusive e complesse, e lo ha fatto senza mai rinunciare a raccontare, con feroce tenerezza, la bellezza e la brutalità dell’essere umani.

6) Mindhunter

Bill e Holden
Credits: Imdb

Se il crime thriller moderno spesso si affida a colpi di scena e omicidi raccapriccianti per catturare l’attenzione, Mindhunter sceglie la via opposta. Prodotta da David Fincher, la serie racconta le origini della profilazione criminale all’interno dell’FBI alla fine degli anni ’70. Eppure, più che una cronaca investigativa, Mindhunter è un viaggio nell’abisso della psiche umana.

Protagonisti sono Holden Ford (Jonathan Groff), giovane e brillante agente convinto che capire i serial killer sia più utile che limitarne i danni, e Bill Tench (Holt McCallany), suo collega più pragmatico e disilluso. Insieme, con l’aiuto della psicologa Wendy Carr (Anna Torv), danno vita a una nuova divisione: il Behavioral Science Unit. La loro missione? Intervistare i peggiori assassini seriali americani per trovare schemi, motivazioni, modelli. In pratica: guardare il male dritto negli occhi — e sperare che non guardi dentro di loro.

Ogni episodio è scandito da indagini sul campo, trascrizioni di interviste, analisi comportamentali. Il Charles Manson di Damon Herriman, il BTK Killer che appare in brevi e disturbanti frammenti, ma soprattutto Edmund Kemper, interpretato da Cameron Britton in una delle performance più inquietanti e umane della TV recente.

La serie è visivamente impeccabile. La regia di Fincher (che dirige gran parte degli episodi) si muove con una precisione quasi geometrica. Luci fredde, ambienti chiusi, inquadrature studiate al millimetro: ogni scena sembra pesata, ogni silenzio carico di sottotesto. E dietro tutto, una riflessione: quanto possiamo davvero comprendere il male prima che inizi a contaminarci?

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