3) The Crown

The Crown non è solo una serie storica. È un affresco monumentale sul potere, la solitudine, e la fragilità umana nascosta dietro la facciata della regalità. Ideata da Peter Morgan, la serie ripercorre la vita e il regno di Elisabetta II dal 1947 fino agli inizi degli anni 2000, usando il trono come specchio per raccontare l’evoluzione della società britannica (e non solo). Sei stagioni, tre cast diversi, decine di eventi epocali, e una costante: la qualità.
La trama, benché cronologica, non è mai didascalica. Ogni stagione si concentra su temi profondi: l’identità personale, il dovere pubblico, i limiti dell’istituzione, le crepe dentro le mura dorate di Buckingham Palace. Si passa dall’ascesa di una giovane regina impreparata ma determinata (Claire Foy), al peso della maturità e del compromesso (Olivia Colman), fino alla fase crepuscolare, in cui la corona diventa quasi un fardello esistenziale (Imelda Staunton).
Attorno a Elisabetta ruotano figure altrettanto cruciali: Filippo, la sorella ribelle Margaret, Carlo e Diana, Camilla, la regina madre. Ogni personaggio ha una sua linea narrativa autonoma, ma tutto torna sempre al centro simbolico del potere. I dialoghi sono cesellati, mai enfatici, spesso trattenuti — in perfetto stile Windsor.
Il valore aggiunto di una delle migliori serie tv Netflix? La scrittura sofisticata e la messa in scena senza precedenti.
The Crown è probabilmente la serie più lussuosa mai prodotta da Netflix. Le scenografie impeccabili, le ricostruzioni storiche maniacali, i costumi sublimi, tutto racconta il prezzo del potere, la pressione dell’immagine pubblica, il sacrificio delle emozioni sull’altare della stabilità.
Anche nelle sue stagioni più discusse, la serie non ha mai abbassato il tono o perso la bussola. Il passaggio tra gli attori è sempre stato fluido e coerente, e la conclusione ha saputo chiudere con dignità un percorso narrativo lungo, ma mai ridondante.
4) Sex Education

Quando Sex Education è uscita nel 2019, sembrava l’ennesima teen comedy british travestita da “scuola americana”. In realtà, sotto la superficie da commedia scolastica si celava una delle serie tv migliori, più mature e oneste del catalogo Netflix.
Nell’arco di quattro stagioni, la serie ha raccontato il caos della crescita con una delicatezza rara e una coerenza narrativa che non ha mai tradito i suoi personaggi. La trama ruota attorno a Otis Milburn, adolescente introverso figlio di una sessuologa iper-disinibita, la magnifica Jean Milburn interpretata da Gillian Anderson. Otis, inesperto ma teoricamente ferrato sull’anatomia dei sentimenti, finisce per aprire una “clinica” segreta di terapia sessuale per i compagni della Moordale High, aiutato da Maeve, ragazza brillante e ribelle con un passato difficile. Attorno a loro si muove un cast corale straordinariamente scritto.
Il valore aggiunto di Sex Education sta nella sua capacità di parlare di tutto — sesso, ansia, identità, lutto, aborto, relazioni abusive, autismo, transizione — senza mai cadere nel moralismo o nella predica. È una serie che crede profondamente nei suoi personaggi e li accompagna nella crescita con empatia, umorismo e realismo.
La quarta e ultima stagione riesce a chiudere tutti i cerchi con grazia. Non perfettamente in senso narrativo (qualche sottotrama resta meno esplorata), ma perfettamente in senso emotivo. Non tutti ottengono ciò che vogliono, ma tutti trovano un frammento di verità. E in un mondo affamato di cinismo, Sex Education ha avuto il coraggio di insegnarci che la vulnerabilità è una forza, e che crescere, dopotutto, può essere anche una forma d’arte.






