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The 100 7×13 – Siamo al punto di non ritorno

ATTENZIONE: questo articolo contiene SPOILER sulla 7×13 di The 100.

Una serie tv come The 100 si basa molto sull’idea del proprio creatore e showrunner: nonostante sia tratto da una saga di libri, lo show sin dalla prima stagione ha attuato una serie di cambiamenti nei personaggi, nella trama e soprattutto nel tono. Il cambiamento forse più eclatante riguarda i protagonisti Clarke e Bellamy: se nei libri i due diventano una coppia molto presto, nella serie la loro relazione si costruisce come un complesso e spesso ambiguo rapporto di amicizia, dove entrambi si cercano per anni e compiono gesti sempre più estremi pur di salvarsi a vicenda senza però ammettere o confessare i propri sentimenti.

In questa puntata di The 100 Jason Rothenberg, lo showrunner, ha messo un punto fermo alla relazione più importante di tutta la serie riuscendo non solo a deludere i fan, ma dimostrando delle gravi lacune a livello di scrittura e coerenza. Uccidere un personaggio principale per sbalordire l’audience è una mossa estremamente rischiosa che, se non viene presentata e conclusa bene, può benissimo distruggere la memoria di una serie tv.

Vediamo nel dettaglio cosa è successo in questo episodio.

sheidheda e cadogan

Una volta riuniti tutti i personaggi su Sanctum, Cadogan riesce in cinque minuti a risolvere il problema, prima apparentemente insormontabile, del ritorno di Sheidheda: con un vantaggio tecnologico e di cecchini non indifferente riesce a neutralizzarlo.

L’obiettivo non è conquistare il pianeta, ma recuperare la famigerata Fiamma per poter avviare in questo modo l’Ultima Guerra e concludere la serie. Nonostante ciò, Sheidheda si ritrova legato in compagnia di Indra e, sorpresa, nel bel mezzo di una luna rossa.

La scelta di far partire la luna rossa – ovvero un’eclisse allucinogena molto pericolosa che dalla scorsa stagione non avevano più rivisto – è un buon modo per aggiungere alcuni dettagli nell’arco dell’episodio: il lavoro tra Jackson e Gabriel per creare l’antidoto, la visione di Josephine che guida il suo ormai ex ragazzo nella rivelazione di poter aggiustare la Fiamma e l’utilizzo di insetti killer pronti a divorare i nemici dei nostri protagonisti. Questa eclisse è sicuramente molto conveniente, ma dà un sapore più fantascientifico alla puntata: considerando la presenza massiccia di mitologia che ha caratterizzato questa seconda parte della stagione, è bello ricordare da quale genere sia partita The 100.

the 100

Importante e molto sentito è l’incontro tra Murphy e Raven: i due personaggi sono su due percorsi diversi ma vicini. Se il primo sta affrontando una strada impervia e lenta verso la completa redenzione, l’altra ha ricevuto una bella batosta dovendo rimettere in discussione il proprio compasso morale.

Sono queste scene, brevi quanto pregnanti, a ricordarci l’importanza dei legami in The 100: i due si confrontano con franchezza e umorismo ricordandoci che, prima di essere assassini o sopravvissuti, sono anche loro giovani ragazzi e amici.

Un altro importante picco emotivo in questa puntata nasce dal confronto tra Nikki e Raven: dopo la decisione di lasciar morire Hatch per aggiustare il reattore nucleare (recensione dell’episodio qui), la nostra amata Ms. Morality – chiamata così da Murphy nelle precedenti stagioni – si ritrova a dover fare i conti con le responsabilità delle proprie scelte. L’omicidio pesa gravemente sulla sua memoria e la prospettiva di morire per mano di Nikki non la spaventa, ma anzi rappresenta un modo di pagare per ciò che ha fatto.

La vendetta della donna, invece, è proprio quella di lasciarla vivere con la consapevolezza e con il dolore di aver condannato a morte un’altra persona innocente: l’onestà brutale di questa scelta è un colpo molto importante che raggiunge una Raven stremata dal peso sulla propria coscienza. Come altri personaggi – Octavia e Murphy fra tutti – anche lei deve confrontarsi direttamente con la vittima delle proprie azioni e pagarne le conseguenze.

Non importa che i suoi amici l’abbiano perdonata, il suo sbaglio vivrà con lei per sempre.

the 100

Tutto sommato la puntata sarebbe stata piacevole e pregnante sia a livello di rapporti tra i personaggi sia per quanto riguarda l’evoluzione della trama: Gabriel decide di sparare e distruggere il supporto fisico della Fiamma e, con l’aiuto di Clarke, minaccia Cadogan affinché porti tutti sul pianeta “offline” dove si trovano Octavia e gli altri, mentre Sheidheda viene lasciato fondamentalmente a morire sul pavimento del palazzo di Sanctum.

L’enorme problema è, senza girarci troppo attorno, la morte di Bellamy. Di per sé la scelta di uccidere uno dei protagonisti durante l’ultima stagione della serie non sarebbe così sbagliata o contestabile. I problemi però riguardano il modo, il motivo e l’esecuzione di questa scelta.

Bellamy è sin dalla prima stagione di The 100 il protagonista principale che, in opposizione a Clarke, rappresenta il cuore e le emozioni che ci rendono umani: partito per la Terra col solo obiettivo di salvare sua sorella Octavia, è presto diventato il leader del gruppo, riuscendo a coniugare scelte difficili e amore assoluto per la sua famiglia e la sua gente.

Nella terza stagione il suo personaggio è stato snaturato e utilizzato in modo molto discutibile e, sin da allora, il percorso di riabilitazione e di sacrificio che ha dovuto affrontare lo ha reso non solo più interessante, ma anche più umano proprio nella sua capacità di sbagliare e cercare di rimediare ai propri errori. La complessità di un personaggio così, però, viene stravolta e nullificata nell’arco di un singolo episodio (ne abbiamo anche qui): dopo la visione nella caverna, Bellamy decide di abbandonare ciò che lo caratterizza sin dall’inizio, ovvero il suo amore viscerale per la propria famiglia, per affidarsi completamente alla convinzione che Cadogan sia in grado di salvare l’intera umanità tramite la “trascendenza”.

Questo discorso ricorda moltissimo la trama della Città della Luce di qualche stagione fa, dove gli umani sarebbero stati salvati tramite l’ascensione in un mondo virtuale. L’unica differenza, qui, è che nessun dubbio e nessun personaggio riescono a smuovere Bellamy da questa fede. Ed è una scelta estremamente ridicola perché è un cambiamento avvenuti in lui in maniera troppo repentina.

clarke

Se la morte di Bellamy non si poteva evitare – e questo in parte per il brutto rapporto creatosi tra lo showrunner Rothenberg e l’attore Bob Morley – la decisione di farlo morire per mano di Clarke risulta un evidente esempio di cattiva gestione della sceneggiatura. O, peggio, la volontà di dimostrare che ciò che decide il creatore è legge.

Non è un segreto che Rothenberg non abbia mai apprezzato l’idea di far finire Clarke e Bellamy assieme: nonostante abbia accennato agli ambigui sentimenti che l’uno aveva per l’altra nel corso delle stagioni, ora questi accenni risultano semplicemente stantii, un modo per tenere a bada gli spettatori con l’illusoria speranza di un finale diverso. Ciò che gli spettatori hanno ottenuto, invece, è vedere nell’arco di due minuti la protagonista femminile uccidere il proprio migliore amico, ormai convinto traditore, per un taccuino che FORSE potrebbe rappresentare un pericolo per la propria figlia adottiva. E, ironia della sorte – o pura e semplice malizia -, questo gesto estremo risulta inutile visto che il taccuino non viene neanche recuperato.

Se nella terza stagione la morte di Lexa convinse moltissimi spettatori ad abbandonare The 100 per il pessimo trattamento riservato a uno dei personaggi più amati dall’audience, la morte di Bellamy risulta essere l’ennesimo colpo basso e il punto di non ritorno che va irrimediabilmente ad avvelenare il ricordo che molti fan avranno della serie.

E, con soli tre episodi rimasti, niente potrà salvare la situazione.

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