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Lo diciamo subito e senza mezzi termini, con largo anticipo, affinché nessuno di voi possa affezionarsi – in alcun modo – a Suits LA: questa è la storia di una Serie Tv già cancellata nel maggio del 2025 e ampiamente archiviata negli Stati Uniti. Tutto ciò che vedrete non avrà alcun seguito, perché Suits LA è riuscita nell’impresa (amara) di mettere d’accordo sia critica che pubblico oltreoceano, portandoli a condividere un’unica, inappellabile certezza: Suits LA non funziona. Il 3 ottobre, nonostante questo destino segnato, lo spin-off è sbarcato anche in Italia, e la domanda che ci siamo posti immediatamente è stata la seguente: sarà davvero così disastroso? È davvero tutta questa catastrofe di cui qualcuno, dall’altra parte dell’oceano, ha parlato?
Nemmeno le più discutibili Serie Tv cancellate riusciranno mai a renderci prevenuti di fronte a una nuova visione. Ogni produzione è un mondo a sé, ogni storia è diversa, e una cancellazione – lo sappiamo bene – può essere profondamente ingiusta. Proprio per questo, il 3 ottobre ci siamo piazzati davanti alla Tv e, senza alcun pregiudizio, abbiamo guardato le prime due puntate di Suits LA. E la risposta che questi primi episodi ci hanno restituito, purtroppo, non lascia spazio a dubbi: non è un buon inizio.
Suits LA sembra aver dimenticato il carisma a casa, lasciandolo tra le strade di New York e nell’anima di personaggi che, purtroppo, qui risultano difficilmente replicabili

Le prime due puntate di Suits LA (disponibili su Sky e NOW) non ci hanno convinto fino in fondo, ma al momento stiamo parlando solo di un incipit decisamente sottotono. Che le cose possano entrare più nel vivo nel corso degli episodi successivi è ancora possibile, anche se le premesse ci hanno già ampiamente disilluso. Per quanto lo spin-off si sforzi, inserendo nella narrazione flashback drammatici e frammenti di vita complicata, il problema principale di questi due episodi è proprio la mancanza di fondamenta narrative accattivanti che, unite a personaggi retorici e spesso prevedibili, finiscono per penalizzare il risultato complessivo.
Da New York, questa volta, l’universo di Suits ci trascina fino a Los Angeles, la città che non dorme mai, fatta di star, celebrità e set cinematografici. In questo mondo caotico ma sempre lucidamente costruito per apparire perfetto, il diritto dello spettacolo è il mezzo più rapido per gli avvocati di accaparrarsi casi di prestigio e costruirsi un nome. Le prime due puntate si aprono con l’introduzione di Ted Black, vecchio amico di Harvey, che apre un nuovo studio legale specializzato in diritto dello spettacolo. Ma la patinata perfezione di Los Angeles, fatta di lussi e celebrità da difendere per far crescere il conto in banca, si scontra immediatamente con una profonda crisi interna allo studio, aggravata da una diatriba legale e personale con il proprio socio.
L’unico modo che Ted ha per restare a galla è tornare a fare l’avvocato penalista, un ruolo che – dopo la sua drammatica esperienza come procuratore federale – adesso detesta profondamente. Da questo punto in poi, Suits LA entra nel vivo delle sue dinamiche, presentando personaggi principali e secondari, ma senza mai riuscire a generare una reale tensione narrativa o a incuriosire davvero lo spettatore. Ted Black, protagonista assoluto, non mostra alcuna traccia di carisma capace di renderlo davvero interessante. La sua storia familiare – in particolare il legame con il fratello – potrebbe avere un certo potenziale sulla carta, ma viene trattata in modo sfuggente, confuso, privo di impatto emotivo. Le informazioni vengono inserite una dopo l’altra, in maniera scolastica, senza che allo spettatore venga dato il tempo di assimilarle o comprenderne pienamente il peso.
L’impressione è che al suo personaggio, come a molti altri, sia stata semplicemente appiccicata un’etichetta predefinita: un passato difficile, un padre assente, un lutto irrisolto. Tutti questi elementi esistono, ma restano freddi e meccanici, concepiti per essere detti ma non vissuti davvero all’interno della narrazione, come se fossero solo un elemento di contorno, un puntino sulla i.

La stessa dinamica poco consistente, come già anticipato, sembra valere anche per gli altri personaggi. Gli avvocati associati dello studio appaiono impegnati a tutti i costi nel tentativo di sfruttare la propria grande occasione professionale, muovendosi tra atteggiamenti forzatamente competitivi e un desiderio di affermazione che raramente trova una vera giustificazione narrativa. Ora che le etichette sono state affibbiate a ciascuno, sarà compito di Suits LA trasformarle in sostanza, in racconto autentico, dare loro spessore e non più soltanto una definizione superficiale.
Fino ad allora, il giudizio su Suits LA non può che restare negativo: il carisma della serie madre è rimasto a New York, e l’unico momento in cui abbiamo avvertito davvero lo spirito di Harvey Specter è stato quando lo abbiamo intravisto in una fotografia conservata nello studio di Ted Black. In quell’istante, tutte le sensazioni negative si sono momentaneamente dissolte, lasciando spazio a qualcosa di più potente e sincero: la nostalgia. Perché nessuno lo dice mai abbastanza quanto i protagonisti di una Serie Tv madre possano mancare terribilmente, soprattutto quando uno spin-off sembra non avere nulla a che vedere con ciò che lo ha generato.






