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Love, Death & Robots – La Recensione di una quarta stagione ai livelli della prima

Love, Death & Robots
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La fantascienza si è ormai affermata come uno dei generi televisivi più solidi e costanti, soprattutto quando si tratta di narrazioni orientate al futuro e alla distopia. È in questo contesto che le serie antologiche stanno vivendo un momento di grande popolarità. Grazie alla loro struttura indipendente, rappresentano una modalità accessibile e poco impegnativa per coinvolgere lo spettatore con racconti autoconclusivi, scollegati tra loro. Love, Death & Robots, in particolare, ha dimostrato una solidità costante, pur andando ben oltre la semplice definizione di antologia fantascientifica. Love, Death & Robots (potete recuperare qui la quarta stagione) è una vetrina animata ambiziosa e sperimentale, capace di esplorare territori narrativi audaci e spesso inaccessibili ad altri format. La nostra recensione della quarta stagione.

La quarta stagione di Love, Death & Robots dimostra che la serie sia slegata da qualsiasi limite tematico

Una scena tratta da Can't Stop, primo episodio della quarta stagione
credits: Netflix

L’approccio di questa nuova raccolta è ancora più vivace e ironico rispetto a quanto visto in passato. Ancora una volta lo spettatore si trova a riflettere su concetti come la tecnologia e l’immortalità attraverso prospettive sempre diverse e originali. L’energia che ne deriva è evidente fin da subito. Ogni episodio è un cortometraggio animato che colpisce creatività e, soprattutto, imprevedibilità. Il primissimo episodio è infatti una performance spettacolare. “Can’t Stop”, questo il titolo, è uno dei corti più eccentrici di tutta Love, Death & Robots. Diretto da David Fincher e accompagnato dalla musica dei Red Hot Chili Peppers, è un’esplosione visiva che ricorda lo stile dei videoclip musicali e si distingue per l’estetica surreale data dalla presenza delle marionette. Si tratta di un esperimento bizzarro ma efficace, che dimostra quanto Love, Death + Robots sia un contenitore perfetto per storie fuori dagli schemi. In un altro tipo di serie, un cortometraggio come questo sarebbe impensabile. Qui, invece, assume i contorni di una autentica celebrazione del rischio e della libertà creativa.

La nuova stagione di Love, Death & Robots fa proprio questo: allarga ulteriormente i confini consueti, confermandosi ancora una volta come uno dei prodotti più innovativi della serialità animata contemporanea. Apprezzabile la evidente ricerca di “leggerezza” di questo capitolo, che posiziona accanto a narrazioni impegnate e cariche di pathos, episodi più assurdi, a dimostrazione della versatilità del format. Alcuni potrebbero definire queste puntate superficiali, ma in realtà rappresentano una componente fondamentale della formula della serie. Corti come “Can’t Stop”, “L’altra cosa grande” o “Il complotto dei dispositivi intelligenti”, offrono momenti di comicità surreale e fungono da perfetto bilanciamento dei toni più cupi di altri racconti. Dal punto di vista visivo, la serie Netflix continua a essere un punto di riferimento. Ogni stagione ha alzato l’asticella dell’animazione digitale, e anche il quarto volume non fa eccezione. I segmenti fotorealistici, come quello prodotto da Blur Studio per “Spider Rose”, sono straordinari. 

Ma il vero cuore pulsante della serie emerge quando l’animazione si fa più audace e stilizzata

Scena tratta dall'episodio 400 Boys
credits: Netflix

“Poiché può strisciare” e “Bestioni dell’isolato 400” sono due esempi lampanti della capacità di Love, Death & Robots di ottenere il massimo da un’animazione meno complessa ma più evocativa. Il primo è animato da Polygon Pictures con uno stile visivo vibrante e visionario, mentre il secondo, firmato Passion Animation Studios, adotta un’estetica Art Deco che richiama parecchio quella di The Big O. La storia è ambientata in un mondo sovrannaturale dove bande rivali si affrontano secondo codici ispirati al bushido. “Bestioni dell’isolato 400” è tanto dettagliato visivamente quanto significativo da un punto di vista tematico. Le suggestioni narrative spaziano da Stephen King a Mad Max, passando per l’evidente richiamo all’iconico anime L’attacco dei giganti. Le immagini – dai combattimenti in rollerblade tra giganti a scenari di pura devastazione urbana – sembrano tavole di un fumetto epico e barocco.

Il quarto volume conferma che Love, Death & Robots ha ancora molto da dire (qui trovate i cinque episodi più belli secondo noi)

credits: Netflix

Episodi come “Golgota” e “Il grido del tirannosauro” sono esempi di quanto Love, Death & Robots non abbia nessuna voglia di fermarsi. Il primo è un classicissimo post apocalittico che mette a confronto la religiosità e la paura dell’ignoto, sfiorando tematiche brutalmente attuali. Il secondo è più sperimentale e riesce a conciliare uno stile visivo accattivante con una poetica di fondo che è tra le più riflessive di questo quarto capitolo. Ciò che continua a stupire lo spettatore e, di fatto, a essere la vera arma in più di Love, Death & Robots sono proprio le sue mille sfaccettature. E’ come una sorta di playlist da cui non sai mai cosa aspettarti ma in grado di stupirti continuamente. Una serie antologica come Love, Death & Robots continua a ribadire che la diversità di stili non è per forza un limite. In fondo a ogni trama si trova una perla in grado di coinvolgere chiunque guardi.

Prendiamoci ora un momento per apprezzare (o meglio, amare) la centralità narrativa dei gatti in questo quarto capitolo della serie

“L’altra cosa grande” è un’idea semplicissima ma geniale. E’ forse l’episodio più comico della stagione, posizionato proprio a metà come per dare al pubblico un attimo di respiro. Un gatto disilluso e diabolico che costringe un robot ad allearsi con lui per sottomettere l’intera razza umana partendo dalle mura domestiche. L’inconciliabilità della parola – semplificata dalla relazione tra umani e animali – torna anche in chiusura in “Poiché può strisciare”. Anche qui la razza felina è protagonista assoluta, e tutto ciò fa davvero ridere. Ma anche riflettere.

La serie si diverte a rompere le regole, osando con strutture, temi e stili differenti in ogni episodio (aspetto che la lega profondamente a Black Mirror). Il fatto che il nuovo capitolo presenti dieci cortometraggi – più delle due stagioni precedenti ma meno rispetto all’esordio con diciotto – dimostra che la serie sta cercando un nuovo equilibrio tra qualità e quantità. Certo, si nota la scarsa presenza di studi internazionali (solo due non sono americani), ma non è mai stato questo lo scopo principale del progetto. Ciò che conta è la capacità della serie di offrire ogni volta una visione diversa, eclettica e potente. Love, Death & Robots conferma il suo status di celebrazione appassionata della fantascienza, ma anche dell’arte visiva in tutte le sue forme. La stagione si apre con un titolo evocativo come “Can’t Stop” e, alla fine di questi dieci episodi, il pubblico spera si tratti di un vero e proprio auspicio.