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Attenzione: l’articolo contiene spoiler sul primo episodio di IT: Welcome to Derry.
È arrivato, finalmente, il momento di fare un tuffo nel passato con l’episodio pilota di IT: Welcome to Derry, una delle serie tv più attese di quest’anno. Un passato oscuro, che ha il sapore bruciacchiato di circo, arachidi e pop corn che scoppiettano. Eppure, in questo circo girovago di paese, l’allegria diventa un contorno macabro che, per anni, ha preso le forme mutevoli dei nostri incubi.
Quando pensiamo a IT, il nostro immaginario ripercorre lo scricchiolio gommoso delle ruote di una bicicletta sull’asfalto scuro, l’ondeggiare del gonnellino logoro di un clown raccapricciante, e una barchetta solitaria che galleggia sorniona tra le onde di una fognatura zuppa di misteri antichi.
Perché antico è tutto ciò che sappiamo di IT: creatura primordiale, agglomerato di male che si rintana nel buio di Derry con i suoi rimandi lovecraftiani. Raschiare la carta da parati di questa storia nebulosa quanto oscura è un compito difficilissimo, che IT: Welcome to Derry – la nuova serie TV targata HBO e disponibile in Italia su NOW e Sky – si prende la briga di esplorare. Le aspettative, già dal teaser trailer della serie, erano molto alte.
Il pilot di IT: Welcome to Derry è una vera e propria dichiarazione di intenti. L’orrore del sociale va a braccetto con l’orrore dell’immaginario.

D’altronde, i lettori appassionati di Stephen King questo lo sanno bene. Il Re non si limita a intrecciare la fantasia con il mostruoso: smonta, trasforma, riveste di carne e lascia che le sue creature crescano allo stesso ritmo delle dinamiche sociali con cui ci confrontiamo tutti i giorni. King è uno scrittore geniale perché affonda le mani nella realtà dell’essere umano, ne studia le dinamiche, ne accarezza le debolezze e poi ce le sbatte in faccia.
Per quanto l’immaginazione possa lanciarsi in rotte tempestose, niente batte la paura figlia del quotidiano. Non esiste mostro più inquietante dell’uomo con i suoi stessi difetti. L’avarizia, la gola, l’egocentrismo che trasforma l’emarginazione nel lato oscuro della sua stessa medaglia. È questo l’orrore di cui siamo figli, ed è questo che King ci obbliga a guardare: la nostra stessa ombra. Si tratta di una premessa fondamentale per approcciare la creazione della serie prima, e la visione della serie poi. Soprattutto quando i protagonisti sono i bambini: l’essere umano nella sua essenza più primordiale, capaci di guardare il mondo da una prospettiva tutta loro (come ci mostra anche Stranger Things, che a IT deve tantissimo).
IT: Welcome to Derry ci intriga perché non vuole essere il consueto cliché horror, né tantomeno ripercorrere nuovamente una storia che – negli anni – ha più volte seguito le pagine di Stephen King.

Dalla mente di Jason Fuchs e Brad Caleb Kane, insieme ai produttori esecutivi – Andy Muschietti, Barbara Muschietti, Jason Fuchs, Brad Caleb Kane, Shelley Meals, Roy Lee, Dan Lin e Bill Skarsgård – l’ambizione è quella di trovare una storia nella storia. Hanno scavato tra le pagine immortali del Re dell’orrore e hanno trovato qualcosa da dire, ma senza snaturarne l’essenza. La storia originale diventa mutaforma, proprio come il suo protagonista più oscuro e misterioso. E noi ci sentiamo già con i piedi intrisi di acqua stagnante e palloncini rossi che volano lucidi e letali.
Sotto questa prospettiva assume ancora più valore la sequenza finale, con IT che varca il confine dello schermo cinematografico. È sempre quella “cosa” mostruosa, lo sappiamo anche se non lo riconosciamo. Lo schermo del conosciuto si squarcia perché la pellicola è ormai consunta, ma c’è ancora una storia – tanto nuova quanto antica – che aspetta di essere raccontata.
Ogni volta che mettiamo piede a Derry la troviamo sempre uguale a se stessa. Distesa nell’apatia di una normalità che con la normalità non ha nulla a che fare. Vediamo noi stessi riflessi nei colori caldi e negli orrori che riecheggiano come cantilene lontane. Ci sentiamo a casa e, per certi versi, ritorniamo bambini. Come quando ci svegliavamo nel bel mezzo della notte, e le ombre al chiaroscuro della stanza prendevano le sembianze più disparate. Per noi erano marionette manovrate dal mostro sotto il letto, quello che non ci permetteva di mettere il piede fuori dal lenzuolo, perché pronto ad afferrarlo e trascinarci con sé nel suo limbo fatto di oscurità.
È proprio così che mi sono sentita guardando la prima puntata di IT: Welcome to Derry. Un esperimento che, al suo esordio, mi ha ipnotizzata e mi ha lasciato addosso la frenesia curiosa di vedere gli episodi successivi. Mi sono sentita una bambina tra gli spalti di un circo, in attesa degli equilibristi.
Altra nota positiva è che vediamo la storia distendersi lenta. Almeno all’alba del primo episodio di IT: Welcome to Derry. Abbiamo l’impressione che la serie TV non voglia piegarsi alle dinamiche bulimiche della serialità veloce. Allo stesso modo non si piega all’escamotage del jump scare, dando vita a un prodotto il cui impatto spaventoso si dispiega tra le grinze della narrazione. Si espande lento e costante davanti ai nostri occhi, scorrendo come acqua putrida tra le fognature di una cittadina del Maine.
Certo: patti chiari, amicizia lunga. IT: Welcome to Derry non è una serie TV per stomaci deboli. Lo dichiara sin dai primi minuti, chiudendo il cerchio con un cliffhanger finale che ci lascia a bocca aperta.

È stato definito le “Nozze Rosse” della serie dallo stesso Andy Muschietti (che ha diretto il pilot), rimandando al celebre episodio di Game of Thrones. Non ce lo aspettavamo, e siamo rimasti immobili, quasi inermi, come spettatori in un cinema deserto ma rumoroso. La dinamica narrativa del finale ci ha colti di sorpresa: non ci ha dato il tempo di metabolizzare cosa stessimo davvero guardando. Credevamo che da un momento all’altro un deus ex machina avrebbe sistemato tutto, salvando quel club dei perdenti alternativo. Invece no. Assistiamo al sangue che scorre, quasi a strizzare l’occhio a Carrie.
Il giudizio complessivo non può che essere positivo, soprattutto considerando i numerosi rimandi al vasto universo kinghiano che emergono nel corso della narrazione (vi dice niente la tartaruga?), ma siamo ancora solo all’inizio. La strada davanti a noi è lunga e intricata come i sotterranei di Derry, eppure in questo orrore deforme ci sentiamo stranamente a casa, tra le pagine di uno dei nostri romanzi preferiti con il fuoco che scoppietta e la tisana calda tra le mani. Per ora rimaniamo sospesi in una storia tutta da narrare, come un palloncino senza proprietario, una barchetta che galleggia sull’acqua o una macchina che gira in tondo… in attesa di essere trascinati, ancora una volta, là dove gli incubi ballano il valzer con la realtà.
Clotilde Formica






