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Incastrati – La recensione dell’ironica e convincente seconda stagione della serie con Ficarra e Picone

Potremmo tranquillamente eliminare da Incastrati 2 quest’ultimo numero perché la seconda stagione è una perfetta e naturale continuazione della prima. Del resto, essendo un progetto pensato per avere questa lunghezza, Ficarra e Picone hanno avuto modo di costruirne fin dall’inizio la narrazione, mattone per mattone, confermando in questi ultimi episodi su Netflix il loro stile, il loro saper rimescolare le carte al momento giusto e ciò che di buono avevamo visto in precedenza, anche se non è tutto oro quel che luccica. Ma procediamo per gradi. Incastrati 2, che riprende esattamente dove è finita la prima stagione (ovvero Salvo e Valentino presi di mira da Cosa Inutile dopo aver investito Padre Santissimo), è solo in apparenza un prodotto semplice e non serve unicamente per valorizzare la comicità di un duo che nel 2023 compie trent’anni di carriera.

Innanzitutto, Ficarra e Picone continuano a ironizzare in modo intelligente sulla mafia, ragionando su quella radicata nella loro amata Sicilia, ma stando attenti a non alimentare pregiudizi a riguardo. Perché la mafia è, purtroppo, un discorso nazionale e non solo regionale. Già nella conferenza stampa del lancio di Incastrati, i comici avevano dichiarato che avrebbero trattato questo argomento solamente se avessero trovato qualcosa di nuovo da dire. Ed, effettivamente, ci sono riusciti: è il non dimenticare che cosa ha fatto e chi sia la mafia, tramandando la memoria delle stragi alle nuove generazioni che non le hanno vissute. Nella prima stagione era il discorso di Padre santissimo a colpirci dolorosamente nel profondo, ricordandoci che loro ci sono, anche se nascosti, e che:

 “Noi mafiosi dobbiamo tenere la testa bassa, perché intanto la gente dimentica”.

Nella seconda stagione è il procuratore Nicolosi (interpretato da un sorprendente Leo Gullotta) che, mentre si intravedono i resti dell’auto della scorta di Falcone, pronuncia il discorso di Paolo Borsellino; così commovente che non proviamo nemmeno a trattenere le lacrime. Forse, come disse Picone, “alla mafia attribuiamo un’intelligenza che non hanno”, ma Incastrati riesce a combatterla nel migliore dei modi: non sottovalutandola, ma ridicolizzandola.

Incastrati 2

Incastrati 2, oltre che sulla mafia e sui modi che si utilizzano per raccontarla, ironizza metanarrativamente anche sulle serie tv e sul rapporto che abbiamo con esse.

Ficarra e Picone giocano sui concetti di binge watching e cliffhanger tanto cari a Netflix, ovvero sull’idea di concludere un episodio lasciandoci in sospeso per invogliarci a vedere immediatamente quello successivo e compiere così una maratona seriale. Prendono in giro le produzioni televisive americane, amate da alcuni (come Salvo) e non considerate da altri (come Valentino), stavolta concentrandosi sulla mania dei prequel: l’ispettore Jackson di The Touch of the Killer viene ringiovanito in The Look of the Killer in maniera non propriamente riuscita. Poi, rendono queste fittizie serie tv volutamente brutte, mostrando le inquadrature peggiori, una fotografia degna di Occhi del Cuore e un doppiaggio da soap opera e non sincronizzato. Chiaramente i due si sono divertiti e così pure noi ci divertiamo. In più, il citazionismo e non soltanto di Don Vito Corleone: se Ficarra nomina esplicitamente Netflix, c’è quella scena che sembra rimandare nitidamente a La Regina degli Scacchi. Non vi pare?

I due scherzano pure sulle serie tv retrò che appassionano le vecchie generazioni e allontano le nuove, in contrasto con quelle che guardano i giovani: è con Robertino e Salvo che si vedono queste differenze. Vengono poi utilizzati espedienti da sitcom, come la casa di campagna in cui Salvo va a vivere dopo essersi lasciato con Ester, che diviene luogo di vicende tragicomiche. La cosa che più salta all’occhio, però, è l’ironia sull’esplosione della moda dei true crime, con le vicende degli show amati da Salvo che si intersecano con quelle dei personaggi. E coloro che ci hanno visto un po’ di Only Murders in the Building non sbagliano, perché Incastrati 2 la ricorda molto, molto da vicino.

La metatelevisione non si ferma solo alle serie tv. Colpisce, in maniera ancor più incisiva rispetto alla prima stagione, il tipo di giornalismo praticato al giorno d’oggi, sempre più fumo e poco arrosto, la cui integrità e ricerca della verità vengono messe in secondo piano di fronte alle fake news e all’incombente desiderio di fare audience. Succede soprattutto nei casi di cronaca nera, esemplificato in Incastrati 2 con il giornalista Bellomo, che chiama testimoni falsi per raccontare bugie sui muratori uccisi nell’appartamento di Gambino. E sarà il Sergione di un ottimo Friscia a rimetterlo al suo posto e a capire lui stesso qual è il modo giusto per fare giornalismo.

E non finisce qui. In questo mix di commedia e thriller su Netflix, con punte di finissimo dramma (tra cui uno splendido Tony Sperandeo nelle vesti di Cosa Inutile), Ficarra e Picone ragionano brillantemente e ironicamente anche su altri problemi che affliggono la nostra Penisola: ad esempio quelli riguardanti la sanità col dottore che non lavora mai; la corruzione delle forze dell’ordine, il rapporto morboso tra madri e figli con Valentino e Antonietta; infine i più generali sull’amore, la coppia e il tradimento.

Ma ci sono delle cose che, in questo secondo capitolo, funzionano peggio rispetto alla prima stagione.

In Incastrati 2 si ripetono spesso schemi narrativi e situazioni già viste, con una trama che scorre più lentamente a causa dei molteplici spiegoni, rivelandoci dunque l’anima vecchia di una serie che vorrebbe apparire giovane fin dalla sua copertina. I siparietti che si concentrano sulla vita sentimentale di Salvo sono un po’ troppi, sebbene ci regalino momenti divertenti (insomma, siamo tutti lui quando, per non uscire, inventiamo scuse di ogni tipo), soprattutto con questa frase:

“Le corna non cadono in prescrizione, sono retroattive”.

Incastrati 2

Le idee sembrano poche, il che giustamente porta a descrivere ancora più a fondo la vita dei personaggi che abbiamo conosciuto nella prima stagione e, soprattutto, a inserirne di nuovi; purtroppo, questi ultimi non sono sempre funzionali al racconto, risultando essere semplici comparse, talvolta inutili come i messicani. Sebbene ci siano meno colpi di scena e proprio per i numerosi personaggi, serve un po’ alla narrazione per sbrogliarsi, uscire dalla confusione e acquisire un senso.

È vero, magari non c’è niente di così innovativo o originale in Incastrati 2, ma cosa lo è davvero al giorno d’oggi? Quando molte cose ormai sono già state raccontate?

In fondo, c’è tutta l’ironia di Ficarra e Picone in Incastrati 2, con le battute mai volgari, la loro amicizia, il loro essere la perfetta metà dell’altro. Riescono a far ridere, a tenerci sulle spine coniugando generi diversi, a farci riflettere attraverso scene semplici e profonde, a raccontare una Sicilia e un’Italia sospese precariamente tra il loro senso di giustizia e la consapevolezza della corruzione che le circondano. Ci convince, senza trascinarsi lungamente per episodi e stagioni inutili, concludendosi con quel finale meno ironico, ma con un occhio più ottimista e speranzoso per il futuro. E siamo lì dentro pure noi, a festeggiare con i personaggi la vittoria sulla mafia, emozionati così come emozionante è osservare due uomini che hanno deciso di alleggerire la nostra vita con la loro comicità. Riuscendoci appieno.