Vai al contenuto
Serie TV - Hall of Series » RECENSIONI » FUBAR – Recensione dell’ambiziosa comedy Netflix, con Arnold Schwarzenegger

FUBAR – Recensione dell’ambiziosa comedy Netflix, con Arnold Schwarzenegger

ATTENZIONE: proseguendo nella lettura potreste incorrere in spoiler su FUBAR

È uscita giovedì 25 maggio 2023 la prima stagione di FUBAR, nuova serie targata Netflix, che, siamo sicuri, farà molto parlare di sé. Nel bene e nel male.
Ideata e scritta da Nick Santora, già showrunner di Scorpion, Most Dangerous Game e produttore esecutivo e sceneggiatore di Prison Break, The Fugitive e Lie To Me, FUBAR è una serie composta da otto puntate della durata di poco meno di un’ora l’una, ideale per passare un weekend davanti allo schermo rilassandosi e divertendosi.
Si tratta infatti di puro intrattenimento, sulla falsa riga dei film d’azione anni Novanta. Come True Lies per intenderci, film del 1994 diretto da James Cameron con protagonisti Jamie Lee Curtis, Arnold Schwarzenegger e Tom Arnold.
L’accostamento con uno dei più iconici film d’azione degli anni Novanta, per altro candidato all’Oscar e ai BAFTA per i migliori effetti visivi, è cercata e voluta: un po’ per l’aria che si respira (sparatorie e divertimento), un po’ per la trama (bugie, bugie, un sacco di bugie). Un po’ perché Arnold Schwarzenegger e Tom Arnold sono di nuovo insieme, parte del cast, soprattutto il primo nei panni del protagonista, Luke Brunner.

fubar
Monica Barbaro e Arnold Schwarzenegger 640×360

Luke Brunner è un agente della CIA prossimo al pensionamento. Dopo la sua ultima missione non gli resta che festeggiare con i colleghi l’agognato momento del suo ritiro dal mondo dell’operazioni clandestine. Il suo assistente Barry, interpretato da Milan Carter (Warped!), lo avvisa che deve compiere ancora un ultimo sforzo per soccorrere un collega a rischio eliminazione da parte di uno spietato trafficante di armi, Boro, interpretato da Garbiel Luna (Agents of S.H.I.E.L.D. e The Last of Us), sua vecchia conoscenza. Così, l’attempato Brunner raggiunge un paese del sud America e scopre che l’agente da salvare non è altri che sua figlia Emma, interpretata da Monica Barbaro (Chicago Justice, Chicago PD e Top Gun: Maverick). Tra padre e figlia si scatena così una guerra che andrà oltre il semplice conflitto generazionale e che farà da fil rouge per tutta la seria ponendo l’indice su temi piuttosto interessanti, non scontati e sviluppati con una certa attenzione e, persino, delicatezza.
I due agenti della CIA sono costretti a fare coppia fissa per salvare il mondo da testate nucleari impazzite, immancabili, dividendosi tra vita lavorativa e vita privata. Nella prima, a comando dell’ufficio regionale dell’agenzia segreta, c’è Dot, interpretata da Barbara Eve Harris (Chicago PD e Prison Break e Messiah) coadiuvata da una squadra composta da uno psicologo (Scott Thompson), due agenti operativi (Fortune Feimster e Travis Van Winkle per nulla scontato nel ruolo del belloccio di turno), una distacca della NSA (Aparna Brielle) e un torturatore (Tom Arnold). Nella seconda, “comandata” dall’ex moglie di Luke Brunner c’è Tally (Fabiana Udenio), il suo nuovo fidanzato (Andy Buckley) e il fidanzato di Emma (Jay Baruchel).

Accanto alle avventure investigative portante avanti tramite tecnologia e lavoro sul campo ci sono le disavventure famigliari: matrimoni basati sulla menzogna che falliscono, tentativi di rappacificamento, coppie che scoppiano e coppie che potrebbero nascere, il tutto condito con segreti, menzogne ma soprattutto la difficoltà di esprimere i propri sentimenti convinti che lo si faccia per un bene superiore anziché per l’incapacità di accettare quanto dolorosa possa essere l’ammissione di provare delle emozioni.
FUBAR (un acronimo militaresco il cui significato è f****d up beyond all recognition) non è un capolavoro, e nemmeno ha la pretesa di esserlo. Ma è fatta talmente tanto bene da risultare sorprendente. Apparentemente superficiale e persino sciocca in realtà nasconde davvero molto di più soprattutto perché capace di approfondire i rapporti personali in maniera davvero originale.

Dopo gli anni Ottanta periodo nel quale i film d’azione erano sparatorie e sangue continui sono arrivati gli anni Novanta e tutti quei film come il già citato True Lies ma anche la serie di Die Hard. Quelli nei quali la violenza pura veniva mischiata all’ironia in modo che l’eccesso non risultasse indigesto allo spettatore.
La serie di Netflix riprende proprio questo filone riuscendo perfettamente a bilanciare violenza, assurdità e ironia, senza fare alcuna preferenze. Il giusto equilibrio permette allo spettatore di non annoiarsi mai anche se potrebbe avere l’impressione di aver già visto e rivisto altrove qualcosa del genere.

A differenza di altre serie del genere, infatti, FUBAR non si prende troppo sul serio. Almeno apparentemente. Ciò che risulta sorprendente di questa nuova serie Netflix è come approfondisca i rapporti famigliari, e lavorativi, partendo da un concetto piuttosto in voga in questo momento storico. Quello, cioè, che il lavoro eccessivo e maniacale possa creare non pochi problemi a livello relazionale e che forse, rinunciare alla propria vita e a quella dei propri cari per un lavoro, anche importante come quello alla CIA, non ne valga la pena. A prima vista è un tema già noto ma la modalità con cui viene trattato no. Perché in questo caso, a confronto, ci sono un padre e una figlia con quest’ultima che è incapace di scostarsi dalla strada già percorsa dal genitore. Il quale, com’è ovvio, cerca in tutti i modi di darle consigli, inascoltati, proprio per evitare che compia i suoi stessi, identici, errori.

FUBAR è una continua seduta di psicanalisi perché non si occupa soltanto del rapporto tra padre e figlia ma anche di quello tra colleghi e amici, tra fidanzati e fidanzate scavando a fondo nel carattere dei personaggi. Il tutto in maniera molto seria e approfondita ma, allo stesso tempo, con la dovuta leggerezza affinché il tutto non risulti pesante.
I continui litigi tra Luke ed Emma non sono mai banali. Anzi, grazie all’umorismo regalano vere e proprie perle di saggezza che dovrebbero aiutarli a migliorare i loro rapporti. Si ha l’impressione, infatti, che la soluzione dei loro mali sia lì, a portata di mano. Ma nel momento più intenso qualcosa scatta spostando l’attenzione altrove.
La scena, per esempio, all’interno del bunker spiega bene le dinamiche createsi in questa prima stagione emozionando e facendo ridere allo stesso tempo. Ma non è risolutiva perché nel momento più intenso i prigionieri sono finalmente liberi e possono riprendere la corsa per salvare il mondo.

FUBAR
Arnold Schwarzenegger 640×360

FUBAR ha trovate divertenti, come per esempio le sedute dallo psicologo o la figura del torturatore, messe in scena da un gruppo di attori davvero bravi. La coralità del cast e la più che buona sceneggiatura fanno sì che non ci siano praticamente mai cali di tensione né che alcuni attori abbiano più spazio rispetto ad altri o siano meno sviluppati. Ciascuno di loro, persino quelli veramente a latere, ha un posto e una funzione mai prevaricante e bene inserito nel contesto.
Ecco, se proprio volessimo fare le pulci a questa serie targata Netflix forse proprio il personaggio di Arnold Schwarzenegger è quello meno azzeccato. E non perché lui non sia bravo a fare il Last Action Hero della situazione (anche se in certe situazioni l’età si vede, eccome!), né il padre eccessivamente premuroso o l’ex marito troppo devoto. Anzi. Ma i continui riferimenti al suo passato, quello dell’attore, a cominciare dal fatto che anche il personaggio è di origine austriaca, sono un po’ eccessivi e, in certe situazione un po’ fuori contesto risultando ripetitivi e un po’ forzati.
Nel complesso la prima stagione di FUBAR, attraverso una rappresentazione ironica del dramma famigliare, compie il suo dovere come un orologio ben sincronizzato che scandisce il tempo del divertimento e del piacere. E il finale invoglia ad attendere con piacere l’uscita della prossima stagione (Netflix permettendo).