Attenzione: evitate la lettura se non volete imbattervi in spoiler sul Dracula di Luc Besson.
Ogni giorno proviamo a raccontare le serie TV con la stessa cura e passione che ci hanno fatto nascere.
Se sei qui, probabilmente condividi la stessa passione anche tu.
E se quello che facciamo è diventato parte delle tue giornate, allora Discover è un modo per farci sentire il tuo supporto.
Con il tuo abbonamento ci aiuti a rimanere indipendenti, liberi di scegliere cosa raccontare e come farlo.
In cambio ricevi consigli personalizzati e contenuti che trovi solo qui, tutto senza pubblicità e su una sola pagina.
Grazie: il tuo supporto fa davvero la differenza.
➡️ Scopri Hall of Series Discover
Il mito del vampiro torna a calcare le scene cinematografiche con rinnovata intensità: arriva nelle sale Dracula: A Love Tale, firmato da Luc Besson, famoso per opere come The Fifth Element e Lucy, che in questo caso mescola un’elegante patina di magia e inquietudine capace di farci sognare ad occhi aperti. La storia riprende la leggenda di Bram Stoker e del conte immortale, reinterpretandola non solo come horror gotico ma come favola macabra d’amore nel tempo. Il suo è un ibrido di generi che oscilla tra romanticismo e terrore. Besson confeziona una fotografia sontuosa, curata nei toni, nei giochi di luci e ombre, capace di trasportarci dalla Transilvania medievale alla Parigi del XIX secolo, custodendo l’atmosfera sospesa tra sogno e incubo.
Il cast è all’altezza: Caleb Landry Jones interpreta il Conte Dracula con una presenza magnetica, mentre Zoë Bleu riveste un doppio ruolo – Elisabeta e Mina – che dà profondità al tema della reincarnazione dell’amore perduto. Accanto a loro figura Christoph Waltz, in un ruolo che coniuga autorità e oscurità, contribuendo a sostenere la struttura narrativa con maestria. Questa rivisitazione ci piace tantissimo proprio perché non si limita al citazionismo: pur rispettando la genesi letteraria, Besson osa rinnovare la leggenda, andando oltre la figura classica del mostro e puntando sulla dimensione tragicomica e romantica dell’immortalità.
Una rivisitazione in chiave romantica di Dracula
Nel cuore di una Transilvania del XV secolo, un principe — il giovane Vlad — vive un amore profondo e assoluto con la sua sposa Elisabeta. Quando la guerra lo chiama, egli parte combattendo valorosamente, ma al suo ritorno trova la tragedia: Elisabeta è stata uccisa in un’imboscata. Devastato dal dolore e convinto di aver fallito anche spiritualmente, Vlad rinnega Dio e uccide un vescovo che aveva esortato la fiducia divina. Da quel gesto blasfemo ha origine la sua dannazione: viene trasformato in vampiro, condannato a un’esistenza senza fine. Secoli dopo, la sua lotta con la solitudine e il rimorso, dopo anni di ricerche incessanti, lo portano nella Parigi del XIX secolo, dove egli scorge una donna che porta l’identico volto di Elisabeta, identificandola come la reincarnazione dell’unica persona che abbia mai amato davvero.
Il desiderio di riunirsi a lei guida ogni suo gesto mentre intorno si dipana una rete di intrighi, cacce ultraterrene, lotte interiori fra il mostro e l’uomo che Vlad era. Il film segue dunque un arco narrativo che parte dal sacrificio, passa attraverso l’oblio dell’immortalità e si ricompone nel tentativo di ritrovare l’amore perduto: la reincarnazione, la speranza, il tempo che diventa nemico e alleato. Lo stile narrativo di Besson privilegia la suggestione visiva e la tensione emotiva, lasciando che la grandezza del mito si intrecci con la vulnerabilità del cuore umano. Così, la trama di Dracula non è solo la storia di un vampiro che si abbatte sull’umanità, ma quella di un’anima che ha perso tutto e affronta ogni epoca in attesa di un ritorno.
Il finale spiegato

Nel momento conclusivo di Dracula: A Love Tale, assistiamo al culmine della tensione emotiva che permea l’intero film: Vlad/Dracula ha inseguito per secoli l’immagine della sua Elisabeta, incarnata nella figura di Mina, convinto che questa reincarnazione possa restituirgli ciò che ha perduto. Ma la verità che emerge è più complessa: il ritorno non è semplice e lineare, né è garantita la redenzione. Nella scena climax, il vampiro si ritrova davanti al bivio fra accettare l’amore e riconciliarsi con la sua condizione immortale, oppure continuare a essere prigioniero della sua ossessione. Elsaibeta/Mina, pur attratta, rappresenta anche il richiamo della vita mortale che gli è ormai estranea. Il finale gioca sull’ambiguità: Dracula riconosce che amare per l’eternità significa anche condannare la persona amata, e specularmente condannarsi. Non c’è dunque una vittoria netta ma una tregua dolorosa.
Besson non chiude con un trionfo romantico: il mostro resta tale, l’uomo resta quello che ha rinunciato al suo destino umano. Ma la redenzione arriva sotto forma di accettazione: Vlad smette di inseguire un fantasma e comprende che l’amore non è solo identificazione e riunione, ma abbandono, memoria, sacrificio. Visivamente, il film si conclude con un piano che racchiude silenzio, ombra, il lento dissolversi del vampiro nella notte, mentre Mina resta con la sua umanità, forse libera ma segnata. È una conclusione che lascia aperto il futuro — e che rimane comunque coerente con la visione romantica, tragica e gotica di Besson: l’immortalità non è trionfo, è condanna.
Il Dracula di Luc Besson e una regia delicata

Luc Besson affronta il mito di Dracula senza limitarsi a una riproposizione fedele del racconto di Stoker o delle versioni cinematografiche precedenti. La sua operazione è quella di una vera reinvenzione: unire la dimensione gotica classica con un romanticismo struggente che trasforma la leggenda in una riflessione sull’amore e sul tempo. Il film abbandona la Londra vittoriana per spostarsi in una Parigi sospesa tra sogno e realtà, restituendo al vampiro un’aura più poetica e malinconica. Qui Dracula non è più soltanto un predatore, ma un’anima ferita che insegue la possibilità di una redenzione attraverso il sentimento. Besson alleggerisce l’aspetto puramente horror e privilegia la componente emotiva e visiva, avvicinando la sua creatura a un eroe tragico, quasi shakespeariano.
Questa scelta lo distingue da registi come Coppola (qui trovi la sua versione) o Herzog, che avevano enfatizzato l’erotismo o l’orrore della leggenda. Il suo Dracula è un essere che vive nell’eterna contraddizione tra amore e condanna, e che non cerca più vittime ma risposte. In questo modo, il film riesce a offrire un’esperienza diversa: meno spaventosa, forse, ma più intima e universale. Un Dracula che parla di desiderio, solitudine e memoria più che di sangue. E che rinnova con eleganza una delle figure più amate e tormentate della cultura pop.
L’incastro perfetto tra regia, interpretazioni e sceneggiatura

Con Dracula 2025, Luc Besson realizza un film che sorprende per equilibrio e ambizione. Pur prendendo le distanze dalle versioni più cupe o orrorifiche, riesce a mantenere viva la tensione del mito, spingendolo verso territori più lirici e sentimentali. Il risultato è un’opera visivamente splendida e narrativamente coerente, che unisce il fascino del racconto gotico a una sensibilità moderna. La recitazione intensa di Caleb Landry Jones regala profondità al conte, rendendolo più umano che mai. Zoë Bleu, invece, incarna la duplicità del desiderio e della rinascita con grazia e mistero. Christopher Waltz domina la scena con la sua eleganza naturale, dando vita a un Van Helsing enigmatico e affascinante, sospeso tra scienza e superstizione. Matilda De Angelis incarna invece la voce del mistero: una medium tormentata che diventa specchio del destino dei protagonisti.
Besson orchestra il tutto con una regia che alterna slanci epici e momenti di puro silenzio, come se il film stesso respirasse insieme al suo protagonista. Non tutto è perfetto: a tratti l’estetica prevale sull’emozione, e alcune sequenze sembrano indulgere nel virtuosismo. Ma complessivamente Dracula 2025 conquista perché osa, perché non ha paura di essere romantico, visionario, tragico. È un film che parla di eternità e perdono, di ciò che resta quando l’amore sopravvive al tempo e alla morte. Un’opera che merita di essere vista al cinema, per la sua bellezza visiva e per la sua capacità di farci credere, ancora una volta, che anche i mostri sanno amare.






