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Doctor Who: The Star Beast – Bentornato Doctor Who

Dire che aspettavamo con ansia, entusiasmo e trepidazione i nuovi speciali di Doctor Who è decisamente riduttivo. Il ritorno di David Tennant nei panni del Dottore era attesissimo e, dopo aver visto The Star Beast in streaming su Disney+, possiamo dire che è stato uno dei regali di Natale più belli che noi fan dello show potessimo mai ricevere. Insomma, chi non ha gridato di gioia quando lui ha detto Allons-y? Noi sì e non ci vergogniamo di ammetterlo. Già rivederlo nello speciale per i cinquant’anni della serie tv fu emozionante e si percepisce come lui abbia continuato a vederne gli episodi perché ha integrato nel suo Fourteen alcune caratteristiche dei suoi predecessori. Allo stesso tempo, pur essendo passati anni, l’attore è perfettamente a suo agio nelle vesti di un personaggio che gli è stato cucito addosso e che, fosse stato per lui da sempre fan sfegatato della serie, l’avrebbe interpretato per sempre, tanto che l’ultima, struggente e dolorosissima battuta di Ten non la sta pronunciando il Dottore, ma Tennant stesso:

I Don’t Wanna Go…”

Tennant ci regala un Fourteen con la stessa energia spontanea, travolgente e infantile di Ten, solo molto più saggio, maturo ed emotivo, attraverso un’interpretazione genuina, divertente, emozionante e che trova l’equilibrio perfetto tra l’essere un alieno e il provare sentimenti così umani. Del resto, questo speciale si rifà proprio al Cinquantesimo, là dove Steven Moffat aveva operato una grande riflessione sull’identità del nostro alieno preferito, analizzandone il significato sia passato che futuro. E anche il Sessantesimo è legato alla psicologia dei personaggi e all’intimità presente in una conversazione tra due vecchi amici, che parlano di temi universali in cui tutti possiamo immedesimarci.

E infatti, non è casuale il ritorno di Donna Noble in Doctor Who, la companion più amata del Dottore, la sua migliore amica e l’unica a non essersi innamorata di lui. L’addio di Donna fa male ancora oggi: assorbì i poteri dei Signori del Tempo per fermare Davros, distruggendo così il suo corpo e la sua mente; per evitare ciò, Ten le cancellò la memoria, consapevole che se lei avesse ricordato sarebbe morta. E quando si incontrano dopo quindici anni, abbiamo urlato dall’emozione. Anche perché la sintonia tra i due interpreti è pazzesca, immacolata, uguale a tanti anni fa. Come Ten, nemmeno Donna è la stessa, eppure è perfettamente riconoscibile grazie a una Catherine Tate ormai in simbiosi con il personaggio. Tate ha dei tempi comici perfetti, una gamma emotiva enorme ed è genuina, piena di sarcasmo e di calore materno che ancora la storia alla realtà, pur essendo uno show fantascientifico.

Doctor Who
Il Dottore e Donna nella serie in streaming su Disney+

Scatta subito l’effetto nostalgia, che poi è da sempre il sentimento che caratterizza Russel T. Davies in Doctor Who.

A scatenarlo è soprattutto Tennant (richiamato anche per recuperare quel pubblico ormai sfiduciato dalla gestione Chibnall e per gli impegni lavorativi del futuro Dottore Nucti Gawta), ma il suo ritorno è servito anche per una trovata mai sperimentata in Doctor Who. È la prima volta, infatti, che il protagonista si rigenera in una sua precedente incarnazione (nello speciale del 2013 la presenza di Ten venne spiegate attraverso un paradosso temporale). Ed è chiaro come questo sarà il mistero che accompagnerà Fourteen e Donna, perché, come dice il Dottore stesso nel riepilogo iniziale: “Credo che la storia non sia ancora finita”.

Davies scompiglia di nuovo le carte ponendoci fin da subito una domanda: perché il Dottore ha questa faccia nuovamente? Lo stesso Fourteen se lo chiede e, se dovessimo azzardare un’ipotesi, diremmo che è una reazione alla scoperta di essere il Bambino senza tempo, di non sapere esattamente le sue origini e, in risposta, si è rigenerato in qualcuno di familiare. Ma ripetiamo, è solo una nostra ipotesi. Comunque, Davies dimostra la sua enorme conoscenza della mitologia dello show dato che riprende la trama dell’episodio da una storia a fumetti pubblicata nel 1979 sul Magazine di Doctor Who, portando su schermo alcuni personaggi che ancora non avevamo potuto vedere, come The Meep o i Wrath Warrior, questi ultimi solo menzionati da Four. Il tutto si traduce in uno di quei classici episodi che tanto amiamo, dalla sceneggiatura piena di azione, colpi di scena, divertimento e profondità emotiva; forse un po’ prevedibile ma che riesce sempre a mantenere alta l’attenzione e il divertimento, con quel tocco di modernità e lasciando spazio al fulcro della serie, ovvero personaggi.

Già, perché la naturalezza con cui vengono trattati temi delicati è meravigliosa. D’altronde, questo è sempre stato un pregio di Doctor Who. Fin dagli albori della serie sono presenti tantissimi tipi di umani e di alieni, tutti profondamente sfaccettati e di diversi orientamenti sessuali o identità di genere. Mai ciò è risultato forzato o melenso, ma è sempre stato naturale nella narrazione e nella rappresentazione. Perché è così che deve essere. In The Star Beast lo vediamo soprattutto con la figlia di Donna, la Rose interpretata ottimamente da Yasmin Finney. Protagonista del colpo di scena della puntata, la sua trama verte proprio sulla ricerca della sua identità, esplicata sia nel parallelo attrice/personaggio (entrambe transessuali) che dall’inconsapevole influenza del Dottore sulla sua mente: il suo inconscio emerge in quei pupazzetti che costruisce, che non sono altro che alieni incontrati dal Dottore, e in quel capanno troppo simile a un TARDIS.

I protagonisti della puntata in streaming su Disney+

Legandoci a ciò, c’è un’ottima trattazione del rapporto tra le generazioni. D’altronde, Doctor Who è sempre stato un prodotto per famiglie e non ha mai celato il suo aspetto didattico; in più, non scordiamoci che Davies è abilissimo nel mixare questa alle altre caratteristiche della serie tv, come la fantascienza, l’avventura, l’azione, la psicologia dei personaggi, l’ironia e via dicendo. Gli scambi tra le tre donne di casa Noble assolvono meravigliosamente a questo compito e divengono ancor più impattanti se consideriamo l’unicità di Rose. Certo, i difetti ci sono soprattutto nella parte finale. Oltre al cast secondario che rimane un po’ troppo in ombra, la risoluzione delle vicenda è affrettata e poco coraggiosa. Insomma, sarebbe stato interessante vedere che cosa avrebbero potuto fare tre personaggi così intelligenti – invece di privare subito Donna e Rose dei poteri – e cosa avrebbe potuto creare Davies con loro. Non che andare dritti al punto sia sbagliato, ma alcune cose meritavano un approfondimento più dettagliato e meno superficialità. E nemmeno il versare il caffè sui comandi dei TARDIS è così brillante e originale, ma almeno fa ridere e funge al suo scopo.

E parlando proprio del TARDIS, chi non è rimasto a bocca aperta nel vederne la nuova versione?

Diciamo che da “serie britannica di fantascienza a basso budget” ne ha fatta di strada. Anche grazie all’arrivo di un colosso come Disney+ che la trasmette in streaming e ne ha alzato notevolmente il budget a disposizione. E se da un lato rimangono gli animatronic e i costumi delle varie creature che sono sempre più credibili, dall’altro gli effetti speciali e visivi hanno raggiunto un livello davvero altro.

Ecco che The Star Beast ha tutto quello che abbiamo rimpianto nell’era Chibnall e tutti gli elementi che rendono questo show un cult assoluto. Ne omaggia la storia essendo sempre capace di rinnovarsi pur non tradendo mai la sua tradizione; sa affrontare con positività e tenerezza le sfide della società contemporanea in quelle divertenti ma profonde avventure del Dottore; è in grado di conquistare con la sua struttura semplice ma coinvolgente intere generazioni di spettatori. Soprattutto, non dimentica il cuore, la sua componente più fondamentale. Per questo urliamo a squarciagola, perché ci era mancato come l’aria: bentornato Doctor Who.