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Better Call Saul – 4×06: la morte di Giselle e la libertà di Viktor

Giallo. Questo episodio di Better Call Saul è letteralmente ricoperto di giallo. Lo troviamo ovunque. È il giallo dell’evidenziatore di Kim, del succo di Jimmy, del contenitore dei mestoli nella cucina. Il giallo compare nello studio di Howard, nel ristorante in cui Jim e Kim pranzano, sull’abito della proprietaria del nail saloon, nello stanzino di Jimmy e nella scena finale (filtrato dai lampioni). È ovunque. O quasi. Un caso? No.

Per capirne meglio il senso bisogna innanzitutto soffermarsi sulla sua gradazione.

È sempre, immancabilmente la stessa, anche dove non dovrebbe esserlo (come per la spremuta). Si tratta di un colore fortemente desaturato in cui la quantità di verde e rosso è molto elevata. Di scena in scena, oggetto dopo oggetto i valori tonali del giallo coincidono in maniera sconvolgente: è sempre lo stesso tono.

Better Call Saul

C’è dell’altro. Il colore compare puntualmente ma solo in precise e studiate circostanze. Solo, cioè, nelle scene in cui è presente contestualmente Jimmy. Ma perché questa esplosione di giallo? E perché proprio questa gradazione? Prendiamo in esame alcune parole pronunciate in un’intervista dalla costumista di Better Call Saul . “Gli individui che si ritengono dal ‘lato giusto della legge’ hanno colori militari quali il blu marino e il verde. Gli altri, i truffatori e delinquenti, il rosso, l’arancione e il colore del deserto del New Mexico. Saul cavalca le due sponde: il suo colore è il marrone”.

Abbiamo già detto in passato del blu di Kim e della cravatta di Howard.

Una cravatta che di recente è diventata nera. Simbolo del lutto inconsolabile e del senso di colpa. Anche in questo episodio di Better Call Saul, Gilligan ci mostra il nero che introduce un Howard stanco, avvilito e senza forze. Un ‘buono’ vittima di un fallimento che si è autoimposto dopo la morte di Chuck. I ‘buoni’ soffrono, sembra dirci Vince Gilligan. Muoiono dentro, a causa della loro sensibilità in un mondo insensibile. Perfino Howard.

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A maggior ragione Kim, complice, in passato, di Jim e rinnegata di Chuck e della Legge. In apertura di puntata abbiamo potuto apprezzare tutto il suo slancio passionale. Quella gioia per l’avvocatura che la rende “sorella” di Chuck. Di contro Jimmy è irrimediabilmente precluso dal loro mondo. “Presto sarai come loro [rivolto a Kim]”. Quel “loro” segna lo stacco, il divario insuperabile tra due mondi. Quello di Jimmy, tutto compromessi e raggiri e quello di Chuck (e poi di Kim). Il mondo cioè della dura, insensibile ma giusta Legge.

Jimmy in quel mondo non c’è mai entrato davvero.

Tornando sui suoi passi (significativo anche questo) ed entrando nella biblioteca sceglie di intraprendere la carriera da avvocato. Ma perché? Proprio per quel senso di inadeguatezza nei confronti di Chuck. Vuole renderlo orgoglioso. Vuole che lo sguardo che il fratello gli rivolge nel dialogo a tre con Kim, uno sguardo di disprezzo e snobismo, sparisca. E vuole anche e soprattutto che Kim resti con lui.

In quel passato c’è un senso di angoscia e costrizione. Jimmy è come un lupo in gabbia. La telecamera ci restituisce questa sensazione tramite il geniale uso di un filtro.  Un filtro che desatura (come nel giallo) il colore. Che lo rende smorto e avviluppante. È lo stesso filtro, tanto per rendere l’idea, che viene usato in molti thriller per sottolineare la tensione e trasferire disagio nello spettatore.

Il disagio qui, però, non è solo il nostro ma è soprattutto quello di Jimmy.

Di un uomo che voleva (e tuttora non può) essere avvocato a modo suo. Nessuno può accettarlo a causa dei suoi metodi. Non ha potuto Chuck, tantomeno Howard e la Davis & Main. Perché Jim è un estemporaneo, incosciente e geniale teleimbonitore sempre pronto a qualche scorciatoia.

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Kim nella sua volontà di ritrovare integrità lo costringe involontariamente a essere qualcuno che non è. La distanza tra i due è sempre maggiore. Anche in questo episodio è il letto a farsene espressione. Stavolta è Kim a restare alzata mentre Jimmy dorme. “Non ti ho sentita venire a letto”. Kim non c’è mai stata. L’ennesima costruzione registica da capogiro fa sì che Jimmy tenda la mano e la appoggi sulla spalla di Kim. L’ultimo tentativo di ricostruire i ponti.

Ma quel ponte è ormai tagliato e il braccio troppo distante e teso. Il gesto risulta innaturale, rigido. Così come stride terribilmente (e volutamente) il “Tesoro”, parola d’affetto rivolta a più riprese da Jimmy a Kim. Stride tanto più perché così raramente pronunciata in precedente e significativamente ripetuta ora che la distanza tra i due è massima. Una distanza segnata anche dalle continue cene a domicilio di questa stagione di Better Call Saul. Kim e Jim non vivono più la quotidianità.

Non c’è più complicità nel vedere un film, cucinare insieme (Kim rifiuta perfino la spremuta), vivere insieme.

Non ci sono e non potranno esserci più Viktor e Giselle in Better Call Saul (“Speravo che in realtà potessimo essere solo Kim e Jimmy oggi”). Jimmy è solo, Kim lo ha abbandonato. Ma lo ha fatto per lui. Potrebbe sembrare una provocazione, una giustificazione, ma non lo è. Kim ama davvero Jimmy. Ma d’improvviso riesce a comprendere. Guardando quel foglio su cui il futuro Saul ha appuntato i loro due nomi, Kim capisce. Nessuna branca della professione lo convince davvero.

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Il sorriso appena accennato si trasforma in uno sguardo serio mentre l’inquadratura si stringe sul volto di Kim. L’avvocatessa ora ha capito quell’atto primo di Jim. Quel suo ingresso nella biblioteca. Le sue motivazioni erano determinate dagli altri, non da quello che voleva (e vuole) lui. “Fa quello che è giusto per te”, consiglia a Jimmy. E lo pensa davvero. Lei, intanto, ha già fatto ciò che è meglio per lui. Lasciandolo andare. Privandolo dei legacci morali che lo tenevano avviluppato. Ora Jim non le deve più giustificazioni (il lavoro, lo psicologo, …). Ora Jim è libero.

Kim è ‘blu’, è una buona. Non può più essere Giselle. Si dedica a patrocini gratuiti perché “Mi piace e sono anche brava. E così aiuto delle persone”. Significativamente nella lingua originale troviamo l’espressione “I like it, I’m good at it”. La stessa usata da Walt nella 4×06 di Breaking Bad. Due volti contrapposti e simmetricamente antitetici, Walt e Kim. Il bene e il male.

Ma dicevamo del giallo desaturato.

Un colore generato dall’incontro di altri due: il rosso e il verde. Nel simbolismo di Gilligan le tonalità di colore che si collocano al di là (rosso) e al di qua (verde) della legge. Jimmy è ormai libero di essere a cavallo tra le due posizioni. E la scritta “Exit”, presente tanto nel negozio di cellulari quanto nel nail saloon, segnala e suggerisce al protagonista l’abbandono della strada, lavorativa e sentimentale, intrapresa. La stessa insegna “Exit” apparsa nel momento in cui Chuck aveva perso il processo. Un’immagine che anticipava profeticamente la sua uscita di scena. Anche qui siamo di fronte a un’uscita di scena: quella del vecchio Jimmy che fa spazio al nuovo Saul.

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Qualche parola merita anche la resa registica dell’incontro di Fring con Salamanca. La capacità di rendere tesissima l’immagine di un braccio fermo (quello di Hector). E il citazionismo di Gus che si alza dalla sedia facendo leva con le mani sui braccioli. Lo stesso gesto che compirà al momento della sua ultima apparizione in Breaking Bad, proprio davanti a Hector. Il cui dito, però, in quel caso si muoverà. Per l’ultima e risolutiva volta.

Un saluto agli amici di Better Call Saul – Italia

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