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Prison Break 5×04 – La grande evasione è appena cominciata

La nuova puntata di Prison Break 5 ha segnato un punto di svolta fondamentale per lo svolgimento di questa misteriosa trama.

Tutti i fili nei complessi piani delle geniali menti di Scofield e Poseidone si stanno collegando. L’unica cosa totalmente certa è che la grande evasione di Prison Break è appena cominciata.

L’intero esercito dell’ISIL ci ha appena dichiarato guerra.

L’episodio è un crescendo di tensione e sensazioni di disfatta. Rivelazioni continue, risposte finalmente arrivate allo schermo, colpi di scena.

Ogni punto ci porta sull’orlo del collasso come il paese stesso. Tutti i tasselli che compongono questo puzzle, però, servono a mostrarci la vera natura di ognuno dei personaggi che conosciamo da anni o abbiamo imparato a conoscere in pochi episodi.

Si dice che nel momento in cui tutto sta per finire un uomo ha la possibilità di mostrarsi per quello che è veramente. Ecco quindi le varie personalità che emergono da questa analisi.

Noi siamo già all’inferno Ramal. La domanda è: vuoi uscirne?

Lincoln è una persona che si preoccupa per ciò che conta davvero. La famiglia, le persone che lo hanno aiutato, un bambino sconosciuto sono fondamentali indice di un cuore grande almeno tanto quanto l’uomo che lo porta nel petto. Egli ha fatto alcune scelte: salvare Sheba e non presentarsi all’incontro all’officina, salvare le ragazze comprando biglietti anche per loro e dimostrare di valere a chi dubitava delle sue azioni. Questo comportamento, voluto per un fine più grande (salvare Michael), ma comunque adottato, è la sua salvezza. Grazie alle buone azioni compiute, il padre di Sheba accetta di dargli una mano. Ogni buon gesto non rimane senza ringraziamento.

Al contrario Ibrahim, il giudice federale che concede la libertà a Kaniel Outis, dimostra egoismo e si approfitta della fede in lui riposta. Una carta senza valore in cambio di una via d’uscita sicura. Una condanna a morte in cambio un’ancora di salvezza.

Sull’orlo del precipizio gli uomini urlano, gridano, si fanno la guerra invece di collaborare. La prigione di Ogygia è il precipizio, le celle di isolamento sono l’orlo. Ognuno dei protagonisti può scegliere il proprio destino.

C’è chi prova a rimanere senza prendere in mano la situazione, come la guardia che alla fine viene uccisa. Oppure c’è chi fugge abbandonando gli altri al proprio destino e rimanendo vittima della propria codardia. C’è chi incita alla lotta senza ottenere nulla se non un arma nel petto. Chi inganna, chi agisce con prepotenza per schiacciare gli altri, chi non guarda più in là della propria cella. Persone come Abu Ramal che affermano di avere fede, ma cedono subito di fronte agli scossoni del terreno. O come Sid e Ja che, costi quel che costi, hanno imparato a fidarsi di chi lo merita davvero.

Non è che ho paura di morire, solo non voglio esserci quando accadrà.

Poi c’è Michael Scofield, la leggenda di Prison Break.

Kaniel Outis non esiste più. Michael non si arrende. Né con un coltello puntato alla gola, né davanti ad una porta sbarrata. C’è sempre un piano di fuga, una mossa segreta, un asso nella manica da poter mettere sul tavolo. Non abbandona i suoi uomini, cosa che alla fine si rivela la scelta giusta. Non rinnega il suo essere e così riesce a abbracciare nuovamente Lincoln.

Nell’altra parte del mondo invece si muove Poseidone. Un’organizzazione? Una nuova Compagnia? Una strutturata società operante in campo internazionale? Nulla di tutto questo.

Te lo dico io cos’è Poseidone. Uno di quei miti che girano nel sistema. Un agente in incognito talmente intoccabile e sommerso che non lo troveresti in un sottomarino. Da qui il soprannome. Parliamo di un solo uomo, ok? Un falco a cui a quanto pare non piace l’approccio della Casa Bianca agli affari esteri e ha deciso di occuparsene lui stesso. Non con eserciti o invasioni, ma facendo uccidere una singola persona, facendo eleggere una singola persona, facendo uscire una singola persona di prigione. […] Poseidone non è più con la CIA. Segue solo la sua ideologia.

E chi poteva essere se non il signor Jacob Ness, l’ideatore e il formulatore de la ‘teoria dei giochi’. Non era Michael Scofield il protagonista di quello schema mentale, ma lui stesso.

Ha costretto alcune delle sue pedine a 7 anni di schiavitù, ad essere quasi dimenticati dalla storia e dal mondo, a collaborare o a morire insieme. Ne ha ingannate altre con l’amore, la comprensione, i consigli, la gentilezza. La maschera che indossa è tale da lasciar sorpreso anche lo stesso T-Bag.

Non sarebbe assurdo se alla fine si scoprisse il vero contribuente per la protesi di Bagwell.

Jacob potrebbe aver finanziato l’operazione, includendo un chip per il controllo, indirizzando chiunque verso Michael. Così Lincoln e Sara non sarebbero stati i soli a cercarlo fino in capo al mondo. 

-Facevo lo stesso prima, uccidevo per una menzogna.

-E ora cosa fai? Muori per la verità?

-L’uomo per sua natura vuole capire il senso delle cose e tu lo capirai o lo capirà lei. E poi la menzogna dovrà uccidere tutta la verità.

La tanto preannunciata morte di uno dei personaggi principali amati dal pubblico non poteva che arrivare così fulminea e inaspettata. Dopo aver dato le dovute spiegazioni a T-Bag e indirettamente anche a noi, Paul Kellerman arriva al suo capolinea.

(non si potrebbe mai dire, visti i suoi trascorsi, ma mettiamola così: quell’ultimo colpo è arrivato in testa)

Non è stato lui ad ingannare Sara, ma il suo assistente. L’intero Dipartimento di Stato è probabilmente in mano a Poseidone e ai suoi contatti. Un’autentica macchina da guerra ha ingabbiato lo stesso Paul, l’uomo in grado di far saltare tutta la Compagnia di cui faceva parte.

Michael Scofield sembra quindi aver davanti un nemico imponente, un nemico a cui non deve giungere voce della sua evasione. Un nemico che in mano niente di meno che la sua famiglia. Dopo Mahone, dopo sua madre, ecco Poseidone, l’uomo in grado di giocare a scacchi internazionali.

Il prezzo di questa verità è ovviamente altissimo. L’abbraccio finale e l’affermazione ‘è mio fratello’ sono il sigillo sulle ultime parole di Kellerman. Non si può vivere per una menzogna, non fino alla fine. Però si può morire per la verità. Egli lo ha dimostrato.

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