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Il finale di Prison Break è una delusione da ogni punto di vista

Prison Break
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Attenzione: evitate la lettura se non volete imbattervi in spoiler sulla 5×09 di Prison Break 

Ora possiamo affermarlo con rabbia e delusione: Prison Break non ha avuto il finale che avrebbe meritato. Behind The Eyes, ultimo atto della serie creata da Paul Scheuring, ci ha lasciati senza parole, impietriti di fronte alla dissoluzione di un capolavoro che ha lasciato un segno indelebile nella serialità moderna. È venuta meno l’armonia di una serie unica nel suo genere, messa da parte in nome di un’esigenza commerciale che poco ha a che fare con l’arte. I motivi che hanno portato a questo disastro sono molteplici e si riconducono facilmente alla genesi di un revival che avrebbe avuto senso d’esistere solo con condizioni diverse.

I difetti strutturali della 5×09 sono gli stessi che hanno caratterizzato l’intera operazione nostalgia (ne avevamo parlato diffusamente in un approfondimento di due settimane fa, lo trovate qui), con l’aggravante di una trama sforata spesso nel becero fan service (caratteristica inusuale per una serie cinica come Prison Break) ed una conclusione abbozzata e insoddisfacente. Il nodo focale è la fretta: nove episodi non sono risultati sufficienti per coprire in modo credibile l’intero arco narrativo (intrigante e all’altezza dei precedenti, se non si tiene in considerazione l’esecuzione) e, ad esclusione dell’ottavo episodio (finalmente impeccabile come ai vecchi tempi), ci ha privato della spinta emotiva con la quale abbiamo vissuto la resurrezione di Michael Scofield e il confronto con Poseidon.

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Da questo conseguono tutti i limiti di una stagione monca. Per esempio la necessità di forzare alcune situazioni per sviluppare la narrazione e, in secondo luogo, la caratterizzazione dei nuovi personaggi, mai all’altezza dei mostri sacri creati nella prima era: da Jacob, deludentissimo villain di stagione che impallidisce di fronte alla maestosità del Mahone della seconda stagione, ai vari Whip, Ja e Sheba, ai quali è stato impossibile affezionarsi sia per questioni di tempo che di scrittura. I casi più eclatanti riguardano tuttavia il figlio di John Abruzzi, Luca, sfruttato brutalmente come banale escamotage per riportare negli Stati Uniti i nostri eroi, e, ancora di più, il primogenito di Michael, degno erede del padre tenuto mestamente sullo sfondo a più riprese.

Ognuno di questi personaggi aveva un potenziale enorme, ma sono stati utilizzati unicamente per portare avanti una storia incapace di reggersi sulle proprie gambe. Un po’ come Lincoln Burrows, uscito distrutto dalla quinta stagione di Prison Break. Nei primi quattro anni si era rivelato essere il contraltare ideale di Michael, al quale contrapponeva in modo efficace la forza bruta dei muscoli. Nella quinta invece, è stato poco più di una macchietta, degno dei peggiori action americani.

Ora non ci resta che tirare le somme. Probabilmente la sesta stagione di Prison Break non vedrà mai la luce e il peggior season finale della sua storia sarà il series finale meno desiderato. Un peccato, perché un capolavoro con una conclusione indegna non è un vero capolavoro, e la macchia rischia di essere indelebile. A meno che non si faccia un passo indietro e ci si convinca che Michael Scofield sia morto sette anni fa e Poseidon non sia mai esistito. Oppure si preghi in ginocchio un network che non sia la Fox e si speri in un nuovo atto. Nella speranza che in quel caso si creda realmente nelle potenzialità di una resurrezione. E si ponga rimedio ad una stagione piena di rimpianti.

Antonio Casu 

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