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5 Serie Tv che non si sono mai piegate al fanservice

C’è una scelta che un produttore e un autore devono prendere quando lavora a una serie tv: seguire la propria idea o ascoltare i fan.
Non è certo un male ascoltare le critiche, quando sono argomentate. È una cosa completamente diversa, invece, snaturare un prodotto per accontentare più pubblico. Cosa che non si ha nemmeno la certezza funzioni. Peaky Blinders è solo uno dei prodotti che ha creduto in se stesso fino in fondo, a discapito di tutto e di tutti.

Non tutte le platee sono adatti a tutti i prodotti, e chi lo ha capito è riuscito a infondere un forte senso distintivo nella propria serie tv.
Quest’oggi vi porteremo in esame cinque serie che non si sono mai piegate al fanservice o alle richieste dei fan. Che hanno combattuto anche probabili cali di ascolti o forti dubbi da parte del pubblico.
E che, nel bene o nel male, hanno portato a termine (o porteranno) la propria storia. Non necessariamente quella che volevano i fan.

1) Mr. Robot

Mr Robot

Il primo esempio da portare è senza dubbio Mr. Robot. Il prodotto di Sam Esmail si è concluso dopo quattro lunghe stagioni, e lo ha fatto all’insegna di una parola: sicurezza.

L’idea iniziale del suo produttore era semplice: voler raccontare la sua storia. E possiamo dirvi che, nonostante tutto e nonostante tutti, ci è riuscito.

Mr. Robot appare da subito un prodotto complicato in quanto la storia viene raccontata attraverso un narratore inaffidabile. È una visione di un mondo attraverso un solo paio di occhi, e questo non è stato d’aiuto per raggiungere il grande pubblico.
La seconda stagione in particolare è quasi impossibile (mentre l’ultima è stata analizzata qui). Non per la qualità del prodotto ma per questa grande bolla di domande che restano in testa allo spettatore.

Sam Esmail è andato incontro a una perdita di una parte del pubblico proprio per questa visione complicata che la serie propone. Ma i fedeli che hanno seguito il tutto con pazienza, hanno trovato la spiegazione a tutte le loro domande.

Mr. Robot non è la serie per chi vuole tutto e subito, e neanche quella per chi vuole tutto a metà. Non otterrete nulla finché non sarà necessario, e per quanto questo sia frustrante, rende il viaggio finale magico e soddisfacente.

Perché sì, Esmail ha dato ai fan ciò che volevano: risposte.
Ma lo ha fatto coi suoi tempi e i suoi modi: distruggendoci il cervello negli ultimi episodi.

2) Mad Men

Peaky Blinders

Altro grande esempio lo troviamo con Mad Men. Il prodotto di Matthew Weiner ha preso una decisione forte nella scelta di prendersi i suoi tempi.
La trama di Man Men è veramente semplice: tratta della vita di un gruppo di pubblicitari che lavorano in un’agenzia di settore. Ciò che rende questa serie così forte e amata è la potenza dei personaggi e del contesto storico dov’è ambientata.

Una New York del 1960 che ci accompagna per sette stagioni, senza mai interrompere il proprio stile narrativo. La lentezza della serie, che per molti poteva risultare pesante ed essere causa di lamentele, non abbandona mai Mad Men.
Il viaggio introspettivo di Don Draper e degli altri personaggi viene portato avanti coi giusti tempi. È anche per questo che, senza accelerazioni improvvise, la qualità del prodotto è sempre rimasta ineccepibile nelle mani di Weiner.

I personaggi non vengono mai snaturati, non troviamo mai sottotrame incoerenti con lo stile del prodotto. E neanche le richieste più incalzanti dei fan giungono a buon fine.

Un esempio? Il controverso rapporto tra Pete e Peggy. Nonostante le speranze degli spettatori, non è mai andato oltre quel rapporto sessuale con cui la donna rimane incinta. I mezzi sguardi durante gli anni non hanno portato a nulla, se non a un lungo silenzio della donna sulla gravidanza.

Con Mad Men si seguono le regole dell’autore, senza alcuna eccezione.

3) BoJack Horseman

BoJack Horseman è completamente diversa da qualsiasi altra serie di questa lista. Perché Raphael Bob-Waksberg ride in faccia ai fan, e lo fa in due modi diversi.

Non serve spendere altre parole su questo dramma che per sei stagioni ha angosciato le anime dei fan. Eppure lo faremo lo stesso.
BoJack è un personaggio sbagliato. Non perché scritto male o incoerente. È letteralmente un errore fatto personaggio.

Ha una vita in miseria, rapporti tossici con le persone intorno a sé, instabilità emotiva. Episodio dopo episodio la depressione del cavallo-uomo viene versata addosso a un pubblico inerme. La speranza che BoJack cambi, che maturi, che si arrivi a un punto di svolta è angosciante.

Perché da speranza diventa una preghiera: vedere qualcuno distruggersi in quel modo crea un vero e proprio dolore nello spettatore. E ovviamente Bob-Waksberg ha scelto di arrivare fino in fondo con la propria idea, ma come?

Si, come? Perché BoJack ci uccide non una ma ben due volte?

Perché, man mano che la serie prosegue, il fan spera nell’happy ending che rsiolva quella dannata vita. Un Happy Ending che diventa letteralmente impossibile da tirare fuori. E quando a due episodi dal finale i fan stanno perdendo le speranze, morendo la prima volta, arriva la svolta.

Episodio 15, penultimo, finale drammatico perfetto. Un Bojack incosciente, con un episodio intero che si svolge nella sua psiche in modo spettacolare. Eccolo. Non abbiamo avuto il finale felice, ma abbiamo quello emozionante… no!

Bob-Waksberg dice no, perché quello è il penultimo episodio, e Bojack non muore. L’Horseman torna in vita. Ritorna alla sua vita, e niente finale emozionante. Perché nell’ultima scena Bojack perde anche i rapporti con la sua migliore amica. L’ultima che ancora credeva in lui. Ed è lì che la serie si chiude: con l’amaro, con il futuro incerto, con l’impossibilità di vedere una reale evoluzione del personaggio.

Secondo rifiuto del fanservice del creatore della serie. Perché se non l’aveste ancora capito: se cercate qualcosa in Bojack, troverete delusione. Quello sì che sa farlo bene.

4) Peaky Blinders

peaky blinders

Se c’è qualcosa che il prodotto intorno a Thomas Shelby ci ha insegnato è che l’amore non vince contro ogni cosa.
Peaky Blinders di Steven Knight non usa mezze misure quando deve esprimere un concetto. La rabbia e la crudezza della vita dei Peaky Blinders nell’Inghilterra del 1919 lasciano poco spazio alla felicità dei fan.

Steven Knight da buon cavaliere ha difeso a spada tratta le fondamenta della serie. L’odio, lo scontro sociale e la lotta tra gang rimangono il centro di Peaky Blinders, nonostante il pubblico avesse sperato nel futuro felice.

Perché Peaky Blinders illude i fan, e poi perfora il loro cranio con un proiettile sparato a sangue freddo.
La storia d’amore tra Thomas e Grace è stato uno dei risvolti più belli della serie. L’uomo trova finalmente l’amore, una compagna, qualcuna con coi condividere la vita.
Una coppia che aveva cementificato il proprio rapporto in un mondo crudo e freddo. Ma la malavita non fa sconti a nessuno e, quando Grace muore, qualcosa nel cuore degli spettatori si rompe.

Knight era consapevole di aver creato un arco narrativo che chiunque adorava. Nessuno magari sperava che la loro relazione continuasse per sempre in un mondo così ostico. Ma la morte di Grace arriva rapida, senza alcuna pietà, e prestissimo. L’amore sincero tra i due dura poco più di una stagione, e non è abbastanza.

Una stagione in più avrebbe fatto la differenza, qualcos’altro a cui appigliarsi, qualcosa da ricordare. Ma non era nella visione del mondo del produttore. Nella sua visione c’è morte. E morte abbiamo avuto.

5) Better Call Saul

Peaky Blinders

Ma il perfetto esempio di sicurezza nei propri mezzi è quello di Vince Gilligan col suo ultimo prodotto.
Lo spin-off di Breaking Bad non è stato uno spin-off di Breaking Bad per molto tempo.

Spieghiamoci meglio. L’idea alla base era creare un prodotto canonico all’interno dell’universo narrativo di Walter White. Ovviamente precedente alla serie sopracitata, e incentrato sul personaggio di Saul Goodman.

Il principale punto di forza di Better Call Saul è uno: chi l’ha iniziata aspettandosi apparizioni continue dei personaggi di Breaking Bad, è rimasto deluso. La serie parte con una storia propria, si costruisce la sua piccola parte di mondo, e soprattutto all’inizio non si appoggia oltremisura sulle cose che già conosciamo del prodotto originale.

Ci sono volute quattro stagioni per avvicinarsi alla collisione dei due prodotti, anche se alcuni fan avrebbero urlato di gioia anche se avessero visto il tutto già nei primi episodi. Vince Gilligan ha sfornato un prodotto che ha una sua identità e funziona anche come stand alone. Nulla gli avrebbe impedito di regalare fanservice continuo con citazioni e apparizioni varie, se non l’integrità morale dell’autore.

Fedele al suo stile narrativo: lento, preciso e profondo. Better Call Saul si regge sulle proprie gambe, e definirla spin-off ormai è un vero e proprio insulto.
Tant’è che c’è persino chi ha scoperto Breaking Bad proprio da questa serie. Fate un po’ voi.