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Avrei voluto sapere molte cose in più prima di rimanere ossessionata da Peaky Blinders

È l’oscurità a creare molte volte il sentiero fondamentale per riconoscere la meta.

La strada che Peaky Blinders ha creato non ha parallele, è unica, con moltissime deviazioni e innumerevoli punti morti.
Basta tornare indietro, anche solo di un passo, per accorgersi del tempo indefinito, che non segue nessun ordine cronologico, ma tanti spazi soggettivi. Ogni storia ha una sua dimensione temporale.
Mai la stessa, sempre cosparsa di flashback, a dimostrazione di quanto il passato sia in fin dei conti la risorsa iniziale e insieme l’obiettivo finale.
Si torna sempre indietro, in un’infinita coazione a ripetere, con l’inseguimento dei nostri errori, che scompaiono solo un attimo prima di apparire di nuovo, per distruggere il silenzio di un’innocente felicità.

Cosa, se non la vita vissuta, tormenta i nostri sogni, e ci insegue alla luce del giorno? Nulla se non il ricordo di ciò che è stato e che accadrà di nuovo. Nulla quindi, se non chi eravamo, saprà dirci quante probabilità abbiamo di sopravvivere e adattarci al tormento di un’esistenza nuova eppure già vissuta.

È questa la vera essenza della trama di Peaky Blinders. Si sopravvive con impressa nella mente l’immagine sbagliata e terrificante di un passato mai finito, mai concluso.

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Avrei voluto saper tornare indietro, per conoscere e per credere all’orrore di una guerra che per molti arde ancora. Guardare il passato per comprendere la colpa dei sopravvissuti e lo scheletro di un tempo solo cronologicamente finito. Osservarlo da lontano, perché da più vicino distruggerebbe chiunque. Anche chi adesso vive del solo ricordo testimoniato e che si ciba dei tormenti delle storie altrui. Come me, come noi, ormai dipendenti da un mondo che non ci appartiene.

Come la realtà muore nei racconti, così dissimula speranza in chi la ascolta. La vediamo rivelata, a poco a poco, portata in scena ad anni di distanza e che rappresenta nella storia piccoli frammenti di ciò che è stato.

Avrei voluto avere la capacità di mettere insieme questi frammenti, uno a uno, saperli sopportare e amare. Ma la rottura in Peaky Blinders è distanza, è il trauma della paura dell’instabilità e non si cerca null’altro, se non la completezza, anche se rattoppata con pezze e ornamenti di fortuna.

Conoscere i protagonisti di questa storia avrebbe forse attutito l’impatto. O forse avrebbe fatto divampare ulteriormente le fiamme, causando un’esplosione addirittura più grande, più grave di quella che è stata finora.

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Niente e nessuno sembra essere in grado di proteggersi dall’intensità della storia di Peaky Blinders, dalla forza dirompente di un racconto che, nonostante la violenza e le profane deviazioni, continua a tentare mente e corpo.

Forse bastava anche solo sapere cosa sarebbe successo subito dopo essersi innamorati di un’epoca eticamente sbagliata e di personaggi lontani, veramente tanto, dal livello minimo di moralità. Riconoscere il tempo e le difficoltà da affrontare aiuta a giudicare più oggettivamente, forse in maniera più veritiera, tutto ciò di cui siamo stati testimoni. Gli scontri violenti, gli omicidi perpetrati quasi con tono indifferente, le stragi premeditate, tutto forse avrebbe avuto più senso. Anche se farsi domande nella guerra non porterà mai a risposte sensate. Non possono rimanere nascoste neanche le differenze individuali intervenute nell’affrontare una catastrofe; diviene quasi automatico pensare a come noi avremmo reagito, a quale sarebbe stata la nostra sorte prima di vedere quella dei protagonisti di Peaky Blinders.

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È una storia reale, uno di quei racconti che un tempo sono stati presente e che ora non possono che rivivere nei ricordi e nei capolavori seriali e cinematografici. Quello che avrei voluto sapere prima di rimanerne ossessionata è la realtà. Cosa nel passato ha causato tutto? Quanto di quello che vediamo è reale? Quanto della follia che c’era è possibile rimettere in scena? Cosa è cambiato? E perché sembra tutto così fatalmente contemporaneo anche a secoli di distanza?

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