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Ozark, la recensione della strabiliante terza stagione

La prima stagione era stata quella della paura. Paura del nuovo che avanzava. Paura di morire subito, per errori di un socio che si era dimostrato troppo stupido anche solo per pensare di stare al fianco di Marty Byrde. Paura che quell’idea geniale tirata fuori all’improvviso per salvarsi il culo alla fine non avrebbe funzionato. La seconda stagione era stata quella della curiosità. Curiosità per un mondo criminale in cui i Byrde – soprattutto Wendy – cominciavano a pensare di poter stare anche più a lungo termine, a non essere solo di passaggio nella snervante attesa di tornare alla comoda e noiosa vita di prima. La terza stagione è stata quella della consacrazione. Della consacrazione dei Byrde come criminali d’alto rango oltrechè d’alta borghesia, e di Ozark come la miglior serie original Netflix che sia mai stata creata. E non solo per gli alti livelli di regia, fotografia e recitazione di praticamente tutti gli attori.

La definizione di Ozark come la Breaking Bad di Netflix, che tanto ha fatto discutere in questi anni, e tanto ha fatto storcere il naso tanto a chi Breaking Bad la ama alla follia quanto a chi invece ha sin da subito apprezzato Ozark, al di là di Breaking Bad, è ancor più calzante dopo questa terza stagione rilasciata ieri dalla piattaforma. E non è niente di sminuente per Ozark, che mantiene ben salda ed evidente la sua identità. E’ semplicemente la verità.

Non capita spesso che una serie riesca a farti stare in tensione anche mentre uno dei personaggi si prepara la colazione. In questo, Ozark e Breaking Bad si assomigliano maledettamente. Senza il bisogno di tirar fuori colpi di scena paralizzanti in ogni puntata, perchè hanno il dono di paralizzarti con la sola attesa di quel che sarà. Di innescare nello spettatore quell’ansia innaturale per cose che accadono – o non accadono – dentro uno schermo. Di essere totalizzanti, ma con fare calmo e al contempo sinistro.

La terza stagione di Ozark è cominciata all’insegna di un unico personaggio: Wendy Byrde. Dominante sin dal principio, con un lato oscuro crescente ma che in fondo avevamo previsto sarebbe venuto fuori in questo modo dopo il finale della seconda stagione. Wendy non è una Skyler. Wendy è una che ha covato per tutta la vita tantissime cose, e che vuole di più. Ambiziosa ai limiti dell’irrazionale, la moglie di Marty decide a un certo punto che le competenze del marito sono un modo per far sì che i Byrde riescano ad entrare definitivamente nel mondo criminale. Non per uscirne, dopo un inatteso e movimentato periodo di forzata permanenza. Wendy è intelligente, carismatica e assatanata. Il lato oscuro di Wendy si evidenzia già dalla prima puntata, quando entra nella sua vecchia casa e si vedono le sue due personalità perfettamente conviventi: quella vecchia e costretta, che entra in punta di piedi e rifà il letto, come in preda a un rigurgito di coscienza e nostalgia della vecchia vita. E quella nuova, che invece con l’incalzare di una musica rockeggiante disfa il letto, mette a soqquadro la casa, beve una birra e lascia là la bottiglia, uscendo dalla casa senza chiudere la porta, in pieno stile ‘criminale vera’.

La roboante evoluzione di Wendy ci ha fatto credere che Ozark avesse cambiato protagonista. Il suo impatto monopolizzante con Omar Navarro, al cui cospetto diretto finiscono ben poche persone, sembrava l’ennesima conferma di questo switch. Col fluire delle puntate però abbiamo capito che si trattava soltanto di un ri-equilibrio della situazione: Ozark, da questa stagione in poi, avrà due protagonisti posti perfettamente e simmetricamente sulla stessa linea. Non c’è uno che prevale sull’altro. Marty e Wendy sono due soci criminali, alla pari, 50 e 50. Non come Walter White e Jesse Pinkman: per davvero.

Ma Wendy e Marty non sono nemmeno gli unici criminali della famiglia. Anche i figli, cresciuti con la consapevolezza di ciò che fanno – e sotto sotto anche di ciò che sono – i loro genitori, partecipano alla festa. Dando talvolta suggerimenti sulle strategie criminali da adottare, in una surreale situazione familiare di connivenza mista a compiacimento. Il tutto contornato da una patina di tranquillità borghese, nei modi e nei toni.

In una continua partita a scacchi con tutti, nemici e alleati, dalla mafia di Kansas City a Helen Pierce, passando per Ruth, Darlene Snell e ovviamente il cartello Navarro oltrechè l’FBI, Marty e Wendy Byrde diventano le facce legali dell’illegalità. L’involucro apparentemente pulito che nasconde la più tetra putrescenza. Reagendo in modo diverso all’ormai inevitabile evoluzione. Marty è controllato ma intimamente passivo. A differenza di Walter White, non usa le sue qualità per soddisfare la sua brama di potere ma al contrario è semplicemente consapevole che nella situazione in cui si trova certe cose vanno fatte, per non peggiorare ulteriormente la condizione sua e della sua famiglia.

Marty gestisce, si barcamena tra questo e quel problema con un impressionante controllo. Sembra quasi asettico: non vorrebbe veramente che succedesse quel che sta succedendo, ma ha il phisique du role per fare quel che sta facendo: se non sei come lui in questa situazione scoppi. E’ talmente razionale da sapere che farsi prendere dal panico non può fare altro che peggiorare la sua situazione, e quindi mangia patatine mente si sollazza sul divano tra una telefonata e l’altra, nonostante le sue telefonate decidano direttamente o indirettamente la sua vita e anche quelle degli altri. Marty è re di Ozark, anche se non vorrebbe minimamente quella corona.

Wendy la corona la vuole eccome. Annebbiata dalla sua brama di potere, dal suo sempre meno controllabile narcisismo sfrenato, tenta di espandersi sotto ogni punto di vista, a partire da quello politico. E incappa in errori che forse non potrà mai perdonarsi, come quello di far uccidere suo fratello. Un uomo buono ma incontrollabile, al punto da rivelare alla inconsapevole figlia di Helen Pierce tutto quello che sua madre fa ed è davvero: presupposto, quest’ultimo, che non può mai essere sostenibile se sei ormai parte integrante di un Cartello della droga.

Così Wendy agisce, dà la sua approvazione per l’esecuzione. Distruggendo se stessa, ma agevolando la sua scalata criminale. Se ne pentirà amaramente forse. O forse no. Forse ha ottenuto quel che voleva, costi quel che costi. L’esecuzione dell’odiata Helen, ad opera di uno dei sicari di Navarro a casa di Navarro e davanti ai suoi occhi, è la conferma definitiva: Wendy, assieme al marito Marty, è arrivata in cima. Si è consegnata all’abbraccio del male, nel momento in cui il grande boss ha messo – letteralmente – le mani sulla sua famiglia per dimostrargli fiducia e apprezzamento. Da questo non si torna più indietro. E in cosa possa evolvere Ozark dopo questo non lo possiamo sapere, ma siamo qua frenetici e assatanati come Wendy nell’attesa di vedere il prossimo capitolo. Proprio come succede coi grandi capolavori.

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