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Narcosantos: da una parte all’altra del mondo

Abbiamo guardato Narcosantos, l’ultimo prodotto Netflix made in Corea del Sud (mica tanto in realtà), e ne siamo rimasti colpiti per una serie di elementi interessanti che fanno capire quanto sia cresciuto il mercato coreano e, soprattutto, quanto questo sia ormai in grado di ibridarsi con i generi tipicamente più “occidentali”, non solo per caratteristiche ma anche per ambientazioni e stereotipi del caso. La storia è originale ma volutamente ed esplicitamente romanzata e spettacolarizzata in pieno stile americano, colorata da quel pulp tarantiniano di cui, in fin dei conti, non ci si stanca mai.

Narcosantos: sette religiose, droga e citazioni mai banali

narcosanstos
Narcosantos

In fatto di sette religiose di matrice cristiana in Corea del Sud se ne intendono, a quanto pare. Ed è forse questo il principale esempio di contaminazione della serie, che decide di raccontare fatti realmente accaduti al di fuori dal paese asiatico in modo decisamente occidentale. A partire dalle avvincenti e sfiancanti scene di inseguimenti e sparatorie, passando per un gusto splatter volutamente accentuato e i continui rimandi all’immaginario gangster di fine anni ’90 primi 2000, oltre che qualche chicca di ancor più recente ispirazione. Già dal titolo della serie si evince il diretto riferimento al genere nel mondo della serialità. Un titolo sfrontato e irriverente che si appella alla serie più famosa del panorama (ovviamente e rigorosamente made in Netflix) suggerendo una visione più religiosa e mistica, che poi è l’aspetto principale su cui si concentra Narcosantos. Per quanto si tratti di un tema trito e ritrito sia al cinema che in tv, la religione posta al centro dei traffici internazionali di droga, è sempre uno spunto interessante per gli amanti del genere, che si aspettano di incontrare personaggi bizzarri e personalità memorabili, come effettivamente accade in Narcosantos, con il vero protagonista della storia, Jeon, padre di una inquietante setta religiosa, trasformata per lo più in una fedele armata di cui si serve per spacciare cocaina nel Suriname (luogo in cui è ambientata la storia) e negli Stati Uniti.

Narcosantos

La trama è ispirata alla assurda (vera) storia di Jo Bong-haeing, di cui non si trova granché su internet, un signore della droga espatriato in Suriname e capace di costruire un impero plagiando le menti della comunità coreana e nativa del luogo. L’eroe per caso è invece Kang In-gu, onesto cittadino e  grande lavoratore che tenta la fortuna in Suriname gettandosi nel business dell’importazione di pesce, finendo per trovarsi tra due fuochi, narcos da una parte e intelligence coreana dall’altra, costretto ad aggrapparsi alle sue innate capacità di controllo e senso degli affari, per riuscire a sopravvivere a una delirante e sanguinosa guerra e poter far ritorno a casa da moglie e figli. Per i più acculturati (si fa per scherzare), la trama sarebbe perfettamente riconducibile all’universo del videogame Far Cry, sia per quanto riguarda la comunione di tematiche con il quinto capitolo, sia per una certa somiglianza di Jeon con John Seed (sarà mica una coincidenza?), oltre che con lo stesso Pagan Min, per eccentricità e follia.

Narcosantos non è il classico k-drama

narcosantos
Narcosantos (640×360)

Probabilmente l’avrete già capito, Narcosantos non rispecchia granché del filone k-drama che ha invaso le principali piattaforme streaming nell’ultimo anno. Se prima si parlava di una contaminazione interna, nel senso che i prodotti tipicamente coreani, per struttura e temi trattati, abbracciavano sempre di più l’influenza del mondo occidentale, nella serie diretta da Yoon Jong-bin si va persino oltre, sperimentando un genere tipicamente americano e ambientando l’intera serie lontano dalle trafficate vie di Seul e dintorni, oltre che ricorrendo alle tantissime citazioni di cui vi parlavamo nel precedente paragrafo. La serie però, se analizzata da un punto di vista più tecnico, è tutt’altro che da considerarsi un semplice esperimento. Innanzitutto perché presenta un cast di alto livello, con alcuni tra i principali attori coreani, a partire da Park Hae-soo, tra i protagonisti dei due colossal Squid Game e La casa di carta: Corea, fino ad arrivare a Hwang Jung-min, che sforna un’interpretazione davvero intensa e apprezzabile nei panni dell’eccentrico santone Jeon. Il cast si arricchisce di attori statunitensi e cinesi e denota un interessante volontà di allargare i confini del già vasto pubblico di cui gode la produzione televisiva coreana, tramite il motore di Netflix, che si dimostra sempre più attento a questa “globalizzazione seriale” che stiamo vivendo. A livello di trama c’è ben poco di originale, se non appunto il fatto che si venga a scoprire solo oggi che un predicatore folle coreano sia andato fino in Suriname per attuare il proprio piano diabolico, plagiando la mente delle persone servendosi della droga e facendosi strada tra i principali cartelli sudamericani. Ciò che forse più di tutto fa restare ben saldo Narcosantos al filone del k-drama è il suo tone of voice esplicitamente ironico, con diversi personaggi macchiettisti e la percezione dell’assurdo che si ha in praticamente tutte le situazioni che si vanno a creare. Ed è qui che sta il buon lavoro fatto dagli interpreti, che nonostante l’appartenenza a un genere saturo come il crime, riescono a rendere l’ironica della serie mai banale o forzata, creando quasi un’ibridazione nell’ibridazione che però discende totalmente da uno stile coreano che, com’è ormai ben chiaro a tutti, ha mire espansionistiche sempre più elevate.

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