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Unstable ci ricorda che il talento di Rob Lowe avrebbe meritato una carriera diversa

Da un paio di settimane è presente sul catalogo Netflix la prima stagione di Unstable, workplace comedy creata da Victor Fresco (tra le altre cose creatore di Santa Clarita Diet e Better Off Ted), Rob Lowe e il figlio, John Owen.
Le otto puntate raccontano la storia di uno scienziato straordinario, Rob Lowe, che si ritrova devastato dalla morte della moglie e, di conseguenza, incapace di produrre idee geniale. Per cercare di salvaguardare il frutto del suo lavoro e il laboratorio di ricerca all’avanguardia da lui fondato la sua direttrice finanziaria, Sian Clifford, decide di affiancargli niente meno che il figlio, John Owen Lowe. Padre e figlio, che da sempre sono ai ferri corti, si riavvicinano elaborando il lutto e imparando ad accettare l’uno i difetti dell’altro.
La serie, un prodotto godibile che fa ridere ma anche riflettere, sta riscuotendo un buon successo di pubblico seppure non sia nulla di particolarmente nuovo né divertente. Ciò che salta subito all’occhio, però, è l’interpretazione di Rob Lowe, davvero ben riuscita. Il fatto che l’attore americano sia all’ennesimo ruolo comico, o comunque un po’ sopra le righe, fa riflettere.

La carriera di Rob Lowe inizia quando aveva soltanto dodici anni: una minuscola parte in una produzione teatrale per la quale venne pagato centocinquanta dollari. Nel 1979, invece, fa la sua prima apparizione alla televisione nella sitcom trasmessa dalla ABC A New Kind of Family, nella quale interpreta uno dei tre figli di Eileen Brennan, giovane madre vedova costretta a condividere la casa con un’altra madre per risparmiare. La serie durò soltanto undici episodi: “in tutta sincerità non saprei dire quanto abbia influito sulla mia carriera questo ruolo. Di certo era molto brutta come sitcom“, ammette l’attore.
Nel 1983 interpretando il protagonista in Thursday’s Child, un intenso film per la televisione diretto da David Lowell Rich, Rob Lowe svolta la sua carriera. Il ruolo è quello di giovane adolescente, capitano della squadra di football del liceo, al quale viene diagnosticata una malattia cardiaca molto grave la cui unica via di guarigione passa attraverso il trapianto di cuore. Tratto da una storia realmente accaduta, l’interpretazione dell’attore gli valse la candidatura al Golden Globe.
Nello stesso anno viene scelto da Francis Ford Coppola per il ruolo di Sodapop “Soda” Curtis in The Outsiders, I ragazzi della 56a strada il titolo in italiano, accanto a un cast di giovanissime stelle emergenti: C. Thomas Howell, Ralph Macchio, Matt Dillon, Patrick Swayze, Emilio Estevez e Tom Cruise.

Nel 1984 lavora insieme a Jodie Foster in The Hotel New Hampshire, scritto e diretto da Tony Richardson, tratto dall’omonima novella di John Irving mentre l’anno successivo è di nuovo parte di un film corale: St. Elmo’s Fire, scritto e diretto da Joel Schumacher. Sul set Rob Lowe ritroverà Emilio Estevez al quale si aggiungono, tra gli altri, Andrew McCarthy, Demi Moore, Andie MacDowell e Mare Winningham. Come The Outsiders anche St. Elmo’s Fire è un film di formazione ma a differenza della pellicola di Coppola quella di Schumacher fu un disastro completo: critiche negative, e alcune anche molto feroci nei confronti del regista, sebbene al botteghino il film sia riuscito a incassare oltre 37 milioni di dollari a fronte di una decina di spesa. Come ciliegina sulla torta a Rob Lowe venne assegnato un Golden Raspberry Awards, meglio conosciuto come Razzie Award, per il peggior attore non protagonista.
Dopo About Last Night con Demi Moore e James Belushi interpreta Rory, un disabile mentale, nella pellicola Square Dance diretta da Daniel Petrie. Per questo ruolo otterrà la sua seconda nomination a un Golden Globe come miglior attore non protagonista.

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The West Wing 640×360

La carriera dell’attore sembra lanciatissima verso incredibili vette. Rob Lowe non ha nemmeno trent’anni ed è considerato uno dei sex symbol di Hollywood. Una vicenda personale che lo coinvolge nel 1988, però, fa sì che i produttori prendano le distanze da lui. E sul finire del 1990 inizia un periodo di disintossicazione dall’alcol. Per l’attore ci sono solo parti in film di secondo piano escludendo la sua presenza nel primo adattamento in una miniserie del libro The Stand di Stephen King, insieme a Gary Sinise e Molly Ringwald.
Dal 1999 al 2003 è Sam Seaborn nella rivoluzionaria The West Wing di Aaron Sorkin. Il suo personaggio, inizialmente, avrebbe dovuto essere il protagonista. Tant’è che il pilot è incentrato tutto su di lui. Ma nel corso della prima stagione, con il crescendo corale di un cast d’eccellenze comprendente – tra gli altri – John Spencer, Allison Janney e Martin Sheen, fu difficile per gli autori farlo spiccare. Anzi, col passare del tempo il ruolo di Rob Lowe, che ottenne la sua unica candidatura a un Emmy (oltre a due per i Golden Globe) proprio per questo ruolo, venne sempre meno preso in considerazione tanto da portare l’attore a lasciare la serie alla quarta stagione per far rientro alla settima. Il suo ritorno fu un evidente segno che l’abbandono non aveva creato attrito né con la produzione né con gli altri attori.

Negli anni Duemila, tolti alcuni insuccessi sia cinematografici che televisivi, Rob Lowe ha inanellato una serie di successi abbastanza sorprendenti. Non tanto per la qualità dell’interprete quanto per il ruolo intrapreso. Dopo la serie drammatica Brothers & Sisters l’attore è stato, a sorpresa, scelto per interpretare Chris Traeger in Parks and Recreation. La sua presenza, inizialmente vista con molto scetticismo, si è rivelata un vero coup de théâtre. Nessuno, infatti, si aspettava che fosse in grado di sostenere così lungamente un ruolo comico. Ma la performance dell’attore, che inizialmente avrebbe dovuto partecipare a otto puntate distribuite tra la fine della seconda e l’inizio della terza stagione, ha fatto sì che gli autori si concentrasse e sviluppassero meglio il suo personaggio. La critica è stata entusiasta di vedere Rob Lowe in un ruolo così esilarante tanto da definirlo “uno dei migliori personaggi comici del decennio” e “una delle sue più brillanti interpretazioni“.
Successivamente è protagonista di The Grinder, insieme a Fred Savage. Sebbene la serie non sia andata oltre le ventidue puntate della prima stagione la coppia di protagonisti è stata addirittura paragonata a Tony Randall e Jack Klugman de La strana coppia, serie di grandissimo successo degli anni Settanta.

Nato nel 1964, Rob Lowe è stato considerato per tutta la sua carriera un bello tanto da rientrare tra le cinquanta persone più belle al mondo nel 2000, uno a cui la natura aveva regalato un bel viso, due splendidi occhi azzurri e un fisico da far invidia a Mister USA. Una fortuna, senza dubbio. Al tempo stesso un marchio dal quale difficilmente è possibile smarcarsi. Oltretutto, col tempo, sembra migliorare, come il vino!
Quando sei bello tutti immaginano che la tua vita sia semplice, che la tua bellezza serva ad aprirti quelle porte che altrimenti resterebbero chiuse. E non hai nessun diritto di lamentarti“, una considerazione rilasciata dall’attore in una intervista all’indomani del grande successo in Parks and Recreation. Perché, secondo l’intervistatore, il pubblico e la critica erano rimasti incredibilmente sorpresi dalla prova dell’attore. Tutti tranne lui, ovviamente. Il quale, in altre interviste ha dichiarato che per anni, effettivamente, è stato ossessionato dal suo aspetto fisico convinto che sarebbe stato l’unico modo per sfondare nel mondo del cinema e della televisione. Ma che, col passare degli anni, è riuscito a superare questa ossessione e, anzi, farne un punto di forza in chiave ironica. Come il suo personaggio in 9-1-1: Lone Star, che ha una cura maniacale per i suoi capelli (e un cancro ai polmoni derivato dall’esser stato tra i primi a raggiungere le Twin Towers l’Undici settembre del 2001).

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911: Lone Star 640×360

La verve comica di Rob Lowe, anche se ormai dovrebbe esser risaputa e riconosciuta, resta una sorpresa per i più. Eppure, come abbiamo potuto vedere da questa breve panoramica, non si tratta di casi isolati ma di una scelta ben precisa che lo ha portato a una sorta di seconda vita.
Ci sono un sacco di pregiudizi sui belli. Che non abbiano argomenti di cui parlare, che non possano essere interessanti, che siano sostanzialmente persone vuote, prive di spessore. E, naturalmente, non possano essere divertenti“, afferma l’attore. Certo, le sue parole potrebbero suonare un po’ astiose ma chi meglio di lui potrebbe affermare eventuali difficoltà artistiche? È certo che la sua carriera ne ha risentito come ha risentito del problema della dipendenza da alcol. Ma i preconcetti hanno sicuramente influenzato le varie produzioni che lo hanno relegato per lunghi anni a ruolo di bello e dannato obbligandolo, in un certo senso, a reinventarsi per poter sopravvivere.

Proprio questo reinventarsi è la dimostrazione che Rob Lowe, oltre a possedere un talento puro è anche capace di analizzare se stesso e il mondo che lo circonda. Verso la metà dei primi anni Duemila ha creato una linea di bellezza per uomini sopra un certa età. Un business di una certa caratura che l’ha portato a porsi alcune domande, in particolar modo su chi utilizzasse questo genere di prodotti. Essendone il primo fruitore e provandone un certo imbarazzo, l’attore ha pensato bene di ricavarne qualcosa che potesse aiutarlo nella sua carriera di interprete: “La vanità fa parte di me. Ma sono anche abbastanza autoironico. Guardarmi allo specchio mentre mi mettevo le creme per la pelle mi ha fatto pensare che l’unica maniera per controbilanciare l’opinione che il pubblico e gli addetti ai lavori avevano di me era quella di prendermi in giro“. E così ha fatto, impersonando una serie di personaggi che possedessero le qualità di un adone sulle quali poter creare gag spassose che facessero divertire il pubblico.
Scelte creative che dimostrano quanto Rob Lowe sia un attore che avrebbe meritato una carriera diversa, certo. Ma al tempo stesso come essere creatori della propria fortuna, e della propria carriera, possa essere un vanto che pochi attori hanno sul serio.